![]() Da "Umanità Nova" n.36 del 14 novembre 1999 Salario, sempre peggio per i lavoratori dipendentiLa scorsa settimana l'Istat ha diffuso le rilevazioni delle retribuzioni relative al mese di settembre. Secondo tali rilevazioni l'indice delle retribuzioni orarie contrattuali è salito a 112,2 (base dicembre 1995=100), facendo registrare un aumento dello 0,2 rispetto ad agosto. Nei confronti del settembre dell'anno passato, l'incremento di salari e stipendi si alza quindi al 2,1%. L'aumento delle retribuzioni contrattuali è stato determinato quasi esclusivamente dagli effetti di alcuni rinnovi contrattuali, in particolare da quelli dell'industria conciaria, del commercio e dei trasporti marittimi. Nelle grandi imprese il costo del lavoro è già sceso sotto zero, mentre per l'insieme dei lavoratori dipendenti l'ISTAT prevede, in base agli aumenti già programmati dei contratti in vigore alla fine di settembre, risulta pari all'1,8%, un tasso solo lievemente superiore a quello previsto per l'inflazione. Come abbiamo visto, questi dati sono messi in relazione con l'andamento dell'inflazione, con l'aumento dei prezzi al consumo. Io credo che questa operazione non sia corretta. Il salario è una forma di reddito, e deriva direttamente dalla partecipazione al reddito complessivo prodotto; mentre il sistema dei prezzi rappresenta l'incontro sul mercato tra i costi di produzione e la misura dei valori, la moneta. Anche se esiste un legame tra andamento dei prezzi dei beni di consumo e prezzo della forza-lavoro, esso tutt'al più esprime il potere d'acquisto del salario, ma non ci dice niente né sulla distribuzione del reddito fra i vari fattori della produzione, né sulla partecipazione del lavoro al processo di produzione. Se noi invece consideriamo l'andamento dei salari rispetto all'andamento dei profitti industriali, che è la forma in cui le classi privilegiate si appropriano del pluslavoro estorto all'interno del processo di produzione, vediamo che, prendendo per buone le statistiche offerte dagli stessi economisti borghesi, la dinamica del profitto è di molto superiore a quella del salario. Il salario reale, se sono corrette le statistiche dell'Istat, rimane sostanzialmente immutato, e ciononostante il salario relativo diminuisce. Il reddito del proletariato è caduto rispetto al reddito delle classi dominanti, l'operaio, per una minore quantità di valore di scambio che riceve dal capitalista, deve produrre una quantità di valore di scambio maggiore di prima. La parte che va al capitale, in rapporto alla parte che va al lavoro, è cresciuta: la distribuzione della ricchezza sociale fra capitale e lavoro è divenuta ancor più diseguale. Il potere della classe capitalistica sulla classe operaia è aumentato; la posizione sociale del lavoratore è peggiorata, è stata sospinta un gradino più in basso rispetto a quella del capitalista. Tiziano
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