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Da "Umanità Nova" n.37 del 21 novembre 1999

La terrificante normalità quotidiana
Morire di proibizionismo

Un diciottenne muore dopo una serata in discoteca a causa degli effetti di una pastiglia di ecstasy. Nelle settimane successive si scatena una campagna stampa in cui un tragico fatto di cronaca diviene occasione per il consueto attacco alla "cultura dello sballo", ai giovani, alle discoteche... Qualche editorialista si spinge al punto di chiedere la chiusura dei locali da ballo. La conseguenza più eclatante di questa campagna è l'inclusione dell'ecstasy nell'elenco delle sostanze di cui è proibito l'uso. I nostri valenti professionisti dell'informazione spazzatura non mancano di far notare che l'ecstasy, così come qualsiasi altra sostanza proibita, può essere tagliata con ingredienti nocivi e, QUINDI, è pericolosa. Forse qualcuno ricorda lo scandalo che qualche anno fa coinvolse alcuni viticoltori, che misero in commercio vino al metanolo che provocò la morte di alcune persone, per non parlare della tristemente famosa "mucca pazza", che vide molte persone ammalarsi e anche morire per aver mangiato carne proveniente da allevamenti in cui erano stati utilizzati mangimi contenenti proteine animali che erano la causa del morbo nelle bestie. Nel primo come nel secondo caso vennero tolti dal commercio i prodotti adulterati ma nessuno si sognò di includere il vino e la carne bovina nell'elenco delle sostanze proibite perché nocive. In realtà sappiamo bene che l'attenzione per la salute pubblica non è certo al centro delle preoccupazioni dei nostri governanti: basta osservare lo stato dell'assistenza sanitaria per rendersene conto. In effetti l'ecstasy è stata proibita perché in grado di modificare la percezione in modo non gradito alla morale dominante. Psicofarmaci di ogni genere, che i medici prescrivono in quantità industriali non rientrano certo nel novero delle sostanze vietate per legge. Come sempre, anche nel caso doloroso del ragazzo di Brescia, si tende a confondere l'effetto con la causa. Se si muore per l'assunzione di droghe tagliate con veleni o perché in quantitativi non verificabili da parte di chi le consuma, la responsabilità diretta è, oltre ovviamente di chi ne approfitta per lucro, dello stato che, proibendo, obbliga alla clandestinità e quindi ai rischi che dalla clandestinità derivano. Come spesso accade, anche grazie ad un'informazione distorta ed interessata, si finisce per guardare il dito e non ciò che indica. Negli ultimi anni la stessa stampa ha creato una serie di mostri utili a nascondere la crudezza della realtà. Basta pensare agli scafisti, cui è affibbiata la responsabilità delle quotidiane tragedie che accadono nel mare Adriatico, dimenticando che gli scafisti, così come i clandestini, altro non sono che il prodotto dell'Europa di Schengen, che erige muri, crea divieti, trasforma i migranti in clandestini da perseguire e da spazio a nuove mafie, a nuovi affari illegali e lucrosi sulla pelle dei tanti disgraziati che hanno la sola colpa di voler cercare una possibilità di vita oltre i muri della Fortezza Europa.

Fumare hashish o tabacco, bere vino o iniettarsi eroina, sono questioni che afferiscono alla sfera individuale, alle scelte che ciascuno fa per se e nelle quali non è in alcun modo opportuno che altri e, sopra tutti, lo Stato con i suoi divieti, interferisca. Quello che invece riguarda l'insieme sociale è la salvaguardia della salute di ciascuno di noi, quella salute in nome della quale lo Stato si ritiene autorizzato a fissare divieti, a stabilire ciò che è lecito produrre, commerciare ed usare e ciò che non lo è. Intendiamoci: non si vuole certo qui sostenere che alcune delle sostanze proibite non siano dannose, anche se è notorio che ad esempio i maggiori danni provocati dalla maijuana sono quelli derivanti dalla mescolanza con il lecitissimo tabacco. Quello che vogliamo sottolineare è che il proibizionismo, ben lungi dal preservare la salute, è tra le cause prime della sua compromissione. Il divieto quindi, oltre che ingiusto, non è solo inutile ma anche pericoloso. Risulta pertanto evidente che l'obiettivo delle periodiche campagne stampa e dell'altrettanto periodico agitarsi dei politici contro "l'abuso" di droghe derivi da un giudizio stolidamente moralista su comportamenti e stili di vita che, alla fin fine, ben poco hanno a che fare con la contestazione dell'ordine vigente. Le discoteche non sono certo covi di sovversivi ma solo lo svago per gente che ogni lunedì va a lavorare in fabbrica o in ufficio e il cui grado di sindacalizzazione nulla ha a che fare con l'aver bevuto vino o fumato hashish. D'altro canto è spesso capitato che fosse proprio lo stato a favorire la diffusione di droghe pesanti come mezzo per minare gruppi di opposizione o giustificare il controllo di aree di possibile emergenza sociale. Mentre il crescente clima di intolleranza sociale fa sì che le manifestazioni antiproibizioniste che periodicamente vengono organizzate in alcuni centri sociali divengano pretesto per interventi violenti della polizia che viene sguinzagliata contro ragazzi che di solito sono rei di aver coltivato qualche modesta piantina di canapa indiana.

Lo scenario che abbiamo di fronte è tanto folle quanto considerato "normale" da una pubblica opinione troppo a lungo addomesticata da informazioni distorte. Da un lato vediamo ogni giorno persone che si ammalano o muoiono a causa degli effetti del proibizionismo, che porta a consumare droghe tagliate con sostanze velenose; dall'altro lo stesso Stato che proibisce la marijuana trova lecito che siano commercializzati nei supermercati alimenti geneticamente modificati senza neppure l'indicazione della provenienza sull'etichetta.

Sono le regole del mondo rovesciato nel quale ci tocca vivere, dove una serata in discoteca diviene motivo di allarme sociale e i veleni che ogni giorno mangiamo, respiriamo e beviamo rappresentano la terrificante normalità quotidiana.

Rosa Saponetta



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