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Da "Umanità Nova" n.37 del 21 novembre 1999

La fine del Trattamento di Fine Rapporto?

All'inizio della scora settimana Sergio Cofferati, segretario della CGIL, ha animato il dibattito economico con la proposta di versare direttamente quanto attualmente viene accantonato per il TFR (la vecchia liquidazione) ai fondi pensione a meno che i lavoratori non ne chiedano esplicitamente una destinazione diversa o che si trovino altre soluzioni nella contrattazione di categoria.

Immediatamente i dirigenti della CISL e della UIL hanno manifestato il loro accordo con questa proposta e altrettanto ha fatto il governo mentre la Confindustria e le altre associazioni padronali si sono dette contrarie con l'appoggio del Polo.

Al fine di poter dare un giudizio non troppo superficiale su quest'argomento, ritengo opportuno fornire alcuni, molto schematici, elementi di giudizio sull'oggetto del contendere.

Al momento i fondi pensione sul mercato sono 872 ed hanno raccolto 462 miliardi di lire. Si tratta di un risultato straordinariamente modesto. Esaminando i dati che riguardano i quattro fondi pensione più importanti si rileva che i lavoratori iscritti versano in media il 4,% della loro retribuzione. Fra i lavoratori industriali coloro che hanno fatto questa scelta sono il 9% fra quelli che hanno meno di 30 anni, circa il 20% fra quelli che hanno fra 45 e 50 anni, meno del 4% fra coloro che hanno più di 54 anni. Gli uomini sono, in proporzione, quattro volte più numerosi delle donne.

In buona sostanza, la previdenza integrativa non decolla. C'è stato un discreto, anche se comunque modesto, numero di adesioni fra i lavoratori di mezza età che temono un taglio secco delle pensioni ed hanno retribuzioni mediamente più alte, un interesse inesistente fra coloro che alla pensione sono più vicini, un interesse decisamente modesto fra i giovani lavoratori che hanno retribuzioni più basse e vedono la pensione come un problema lontano. Considerazioni analoghe si possono fare per le donne: retribuzioni mediamente più basse, maggior incidenza del lavoro precario, persistenza di un ruolo ausiliario del lavoro, e del reddito, femminile nel nucleo familiare.

Il tutto in un paese che si caratterizza per una forte propensione al risparmio come dimostra il recente successo della vendita delle azioni dell'ENEL.

Insomma, a fronte di un reddito da salari modesto i lavoratori non sembrano affatto entusiasti per i fondi pensione nonostante la riduzione tendenziale delle pensioni a livelli miserevoli.

A questa attitudine l'apparato dei sindacati di stato cerca di porre rimedio con l'operazione proposta da Cofferati. Trasformare gli attuali contributi per il TFR in versamenti ai fondi pensione ne accrescerebbe in maniera straordinaria la rilevanza economica. Dal punto di vista di CGIL-CISL-UIL, si tratterebbe di un affare straordinario visto che contrattano le caratteristiche dei fondi pensione e ne sono uno diretti gestori. In prospettiva, un "capitalismo dei fondi pensione" farebbe di chi li controlla i principali soggetti sul mercato finanziario dando, quindi, ai sindacati di stato un ruolo di prima grandezza nel governo dell'economia nazionale.

I lavoratori salariati avrebbero da questa operazione la magra consolazione di vedere una minor riduzione delle pensioni a fronte della perdita della buona uscita e, per di più, vedrebbero ancora più legata la loro retribuzione all'andamento dell'economia e, in particolare, della borsa con i rischi economici e le ricadute politiche che possiamo immaginare. Basta pensare, a questo proposito, a cosa significa il rilancio dell'azionariato da parte dei dipendenti in diverse ed importanti aziende.

A questo punto, dobbiamo domandarci perché la Confindustria si opponga con tanto vigore ad una misura certo non sovversiva, anzi.

Le ragioni sono, a mio parere, evidenti. In primo luogo, nonostante alcuni limiti, il denaro dei lavoratori versato per il TFR è una risorsa gestita dalle aziende. La Confindustria, di conseguenza, preme come di consueto, per avere in cambio ulteriori finanziamenti pubblici.

Accanto a queste ragioni, come dire, di bottega o, se si preferisce, di immediato interesse, la Confindustria è mossa da considerazioni, come dire, strategiche. La sua azione, infatti, è volta ad ottenere la riduzione del costo del lavoro attraverso la contrazione della pressione contributiva. Il ragionamento di parte padronale è, se vogliamo, semplice ed elegante: ridurre la spesa contributiva permetterebbe alle imprese di accrescere i loro profitti e, nel contempo, accelerando il taglio delle pensioni costringerebbe i lavoratori ad entrare nel mercato della pensione integrativa.

Si realizzerebbe, di conseguenza, lo stesso obiettivo dei sindacati di stato ma in maniera diversa e rispettando le "leggi del mercato". Che queste leggi, in realtà, non godano dell'attributo dell'esistenza, che la massa delle retribuzioni sia oggetto di operazioni decise dall'alto, che i padroni si approprino, in questo come in molti altri casi, del nostro denaro non impedisce alla stampa padronale di assumere atteggiamenti "liberali".

Dal punto di vista dei lavoratori, che è l'unico che ci interessi, la situazione è chiara:

- entrambe le soluzioni proposte prevedono un taglio delle retribuzioni, visto che il TFR è salario;

- gli sgravi ai contributi pensionistici sono un modo per incrementare i profitti delle imprese a spese dei lavoratori;

- la pensione integrativa, lasciando da parte ogni altra considerazione, non è sostenibile per i lavoratori a basso salario, a maggior ragione se, in forme diverse, precari. Se consideriamo che, da anni, i contratti riservati ai giovani lavoratori sono in maggioranza, come si suol dire, anomali, il cerchio si chiude.

Si tratta, allora, di riaffermare, in primo luogo, la difesa delle retribuzioni nel loro carattere unitario (salario diretto, salario indiretto, salario differito).

Questa difesa non è possibile se non si agisce con forza per ricomporre l'unità dei lavoratori operando contro la precarizzazione della forza lavoro sia nelle forme legali che in quelle illegali. In altri termini, non è accettabile che i giovani lavoratori debbano privarsi di una quota consistente della propria retribuzione in vista di una pensione sempre più lontana ed a rischio.

In ogni caso, la destinazione del denaro dei lavoratori va decisa dai lavoratori stessi e, di conseguenza, il denaro desinato al TFR va versato direttamente in busta paga e non affidato ad una contrattazioni fra soggetti che, in modo diverso, sono estranei agli interessi dei lavoratori che pretendono di tutelare.

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