Da "Umanità Nova" n.38 del 28 novembre 1999
Il Caucaso è lontano
Il silenzio dei pacifisti
Non credete a quanto hanno riferito i media italiani: durante il vertice
dell'OCSE di Istanbul non c'è stato nessun litigio tra Eltsin e Clinton,
tantomeno si è sfiorata la rottura tra la superpotenza americana e
l'orso russo. Basta leggere la cronaca pubblicata del francese "Le Monde" per
rendersi conto che il litigio è stato solo una sceneggiata inventata
dalla stampa italiana per giustificare il ruolo silenzioso di D'Alema e Dini
che non hanno fatto nulla per criticare i massacri russi. Secondo il giornale
francese, nel suo territorio Clinton ha usato toni molto pacati per convincere
"l'amico Boris" a usare una mano meno pesante per risolvere la crisi cecena,
mentre i leader europei non hanno neppure minacciato le rituali "sanzioni
economiche", temendo che il presidente russo se ne andasse dal vertice
"sbattendo la porta".
Così mentre a Grozny e nel resto della Cecenia proseguivano senza sosta
i bombardamenti aerei e terrestri, a Istanbul Clinton, Chirac, Schroder, Blair,
D'Alema, ecc. firmavano insieme a Eltsin un documento "pacifista", una specie
di manuale della nonviolenza, che comprende, tra l'altro, un accordo sulla
riduzione delle armi convenzionali in Europa che limita fortemente la
concentrazione di armi russe... nel Caucaso del Nord. Un oltraggio alle decine
di migliaia di profughi ceceni che . tra l'indifferenza generale, sopravvivono
nelle fredde tendopoli costruite ai confini dell'Inguscezia.
In un precedente articolo (UN n. 36 del 14 novembre) ho sostenuto la tesi che
la seconda guerra cecena sia stata fortemente voluta dal clan di Eltsin per
rafforzare la propria immagine in vista delle elezioni legislative di dicembre
e di quelle presidenziali previste nella primavera del 2000. La manovra ha
avito successo: la popolarità della guerra è molto alta in Russia
e le quotazioni di Eltsin e della sua banda sono in netto rialzo. La grande
stampa russa, anche quella di opposizione, fa muro intorno alle ragioni della
guerra. Come sempre la prima vittima del furore patriottico, nazionalista e
xenofobo è la verità. I politicanti di ogni colore non fanno
altro che parlare dei bombardamenti per "eliminare i terroristi", mentre i
massacri dei civili sono attribuiti sempre ai guerriglieri ceceni. Si tratta di
menzogne ripugnanti che guardano da vicino la tristemente nota propaganda
staliniana e comunista.
I veri protagonisti sono però i generali. Da due mesi sono onnipresenti
su TV e giornali, ripresi in tenuta mimetica di fronte a carri e cannoni.
Sembra che lo stato maggiore russo abbia un piano preciso per "risolvere" la
questione cecena: 1) bombardare massicciamente città e paesi,
costringendo i civili a lasciare in massa il paese; 2) accerchiare
progressivamente le forze cecene, riducendole in sacche urbane di resistenza,
annientandole poi con l'uso di armi nuove, un misto di esplosivi ed armi
chimiche.
Non so se questo piano esista davvero o si tratti di "disinformazione" prodotta
dai servizi segreti occidentali. In effetti però sembra che i generali
russi abbiano perfettamente compreso la lezione data dalla NATO nella guerra
per il Kosovo: i russi usano sistematici e distruttivi bombardamenti da lontano
che non impegnano le truppe di terra ma fiaccano la resistenza dei ceceni.
I militari russi sentono odore di rivincita dopo la disfatta del 1996: "Per me
questa guerra è soprattutto il modo per restaurare l'onore offeso della
patria" ha pomposamente dichiarato Vladimir Chamanov, comandante delle truppe
aviotrasportate, mentre il capo delle truppe russe nel Caucaso del Nord ha
tuonato "Posso radere al suolo la Cecenia in una settimana". Forti del sostegno
della cosiddetta opinione pubblica i generali hanno moltiplicato le minacce di
dimissioni nel caso che il governo di Mosca decida di fermare le operazioni
militari per iniziare negoziazioni di pace. Le minacce, dal sapore
concretamente golpista, si inseriscono pesantemente nei contrasti tra i
militari e i politici del Cremlino come dimostra l'intervista rilasciata a "Le
Monde" dall'eminenza grigia del clan Eltsin, Boris Berezovski. Quest'ultimo,
accusato da più parti di aver finanziato i guerriglieri ceceni
istigandoli alla guerra, ha proposto un piano di pace che possa mettere fine
alle operazioni militari.
La situazione è ingarbugliata. Forse anche per questo gli americani non
si preoccupano della crisi cecena e sperano che i russi si impantanino nel
Caucaso come è avvenuto nel 1994/1996 e come era successo negli anni '80
in Afghanistan. Dietro la guerra, i massacri, le ondate di profughi ci sono gli
oleodotti petroliferi. Come ho cercato di chiarire nel precedente articolo la
questione cecena fa il gioco degli americani che proprio grazie alla crisi
caucasica sono riusciti a convincere le compagnie petrolifere impegnate nel mar
Caspio sulla convenienza del nuovo oleodotto Baku-Ceyan.
Infine una necessaria notazione: il movimento pacifista italiano appare
paralizzato. Non vorrei che questa "paralisi" risenta del solito stupido
antiamericanismo che caratterizza certi vetero marxistileninisti che purtroppo
ancora riempiono tanti circoli e associazioni pacifiste e antagoniste. Il
Caucaso è lontano e i guerriglieri ceceni sono spesso dei fanatici
religiosi con i quali non abbiamo niente a che vedere, ma le sofferenze della
popolazione cecena, la tracotanza del militarismo russo, l'indifferenza delle
diplomazie occidentali meritano, secondo me, una risposta chiara da parte di
chi si batte contro le guerre per costruire un mondo migliore.
M. Baldassarri
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