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Da "Umanità Nova" n.38 del 28 novembre 1999

Finanziaria, taglio delle pensioni, libertà sindacali
Intervista a quattro esponenti del sindacalismo di base

Finanziaria, lotta contro il taglio delle pensioni e per le libertà sindacali vedono il sindacalismo di base impegnato in questo ultimo scorcio d'autunno sui posti di lavoro e nelle piazze Su questi temi, tentando di approfondire potenzialità e limiti del sindacalismo di base, abbiamo intervistato alcuni compagni attivi in campo sindacale.

Luca Ferrero, sindacalista della CUB di Torino, tecnico elettronico, esordisce ricordando la nascita del sindacalismo di base: "Nel '92 e nel '93 decine di migliaia di lavoratori, in seguito agli accordi tra governo e CGIL, CISL e UIL su scala mobile e politica dei redditi decisero che non era più possibile continuare a sostenere CGIL, CISL e Uil nella loro pratica concertativa e accettare politiche liberiste, cui la sinistra storica era ormai sottomessa. In quegli anni le piazze e le assemblee non erano affatto tranquille. È la stagione straordinaria dei bulloni, in cui progressivamente si passa dalla contestazione alla costruzione di un alternativa ai sindacati di stato. La sentita necessità di contrastare la svendita di diritti, salari e condizioni di lavoro conquistate in anni di lotte spinse molti di coloro che di queste conquiste erano stati protagonisti a costruire nuove strutture sindacali. La CUB, Confederazione Unitaria di Base, nasce nel '92 con l'apporto di compagni che spesso oggi sono sparpagliati nell'infinito arcipelago del sindacalismo di base. Le lotte contro la svendita delle pensioni hanno rappresentato il momento decisivo che ha determinato in molti la non prorogabilità della costruzione di un nuovo soggetto sindacale."

A questo punto il discorso si sposta sulle odierne potenzialità del sindacalismo di base: "Nel breve e medio periodo - prosegue Luca - il sindacalismo di base può essere determinante nel permettere ai lavoratori di tutelarsi dalle ristrutturazioni aziendali (per restare in Piemonte possiamo parlare di: esternalizzazioni Fiat, OP computer, acciaierie come Ast e Ilva, GFT, Beloit), dalla spinta verso la precarizzazione, dall'abbattimento della quota di reddito salariale ridistribuito a vantaggio della quota di reddito da profitti, nel lottare per la libertà di rappresentanza sindacale. Si tratta di lavorare per un sindacato libero dai partiti e fatto da lavoratori che si autogestiscono." "Un ruolo importante giocato del sindacalismo di base - argomenta Luca - lo abbiamo visto in occasione della recente guerra nei Balcani, quando lo sciopero contro la guerra indetto dai sindacati di base ha portato nelle piazze migliaia di lavoratori. In quel contesto non si poteva certo pensare che contro la guerra bastassero le manifestazioni del sabato pomeriggio: occorreva una risposta forte quale quella data da lavoratori che liberamente si astengono dal lavoro, che scioperano nelle fabbriche, negli uffici, nei luoghi ove si producono sfruttamento e sostegno economico e politico ai signori della guerra."

Il discorso poi scivola sui limiti che oggi il sindacalismo di base registra: "I limiti del sindacalismo di base li abbiamo sotto gli occhi: non si cresce a sufficienza e si rischia quindi di perdere la fiducia in un'alternativa di massa. Il sindacalismo di base continua a frantumarsi in mille rivoli, ognuno tende a coltivare il proprio orticello in modo sempre meno autonomo da partiti e partitelli politici e ne consegue che entrano in ballo secondi fini. Da questo punto di vista la CUB, nel suo insieme, ha un buon livello di autonomia. Inoltre permane una impostazione organizzativa verticistica, a spese di un sindacato che riesce a far crescere i propri aderenti" Esaminati i limiti soggettivi che oggi attraversano il sindacalismo di base, passa a quelli oggettivi: "In occidente la fine di un ciclo produttivo, che aveva nell'operaio e nella catena di montaggio i punti cardine, sposta il baricentro della contraddizione dalle fabbriche alla società. Chi si occupa del mondo del lavoro deve oggi prestare maggiore attenzione al precariato ed alla disoccupazione, ma non è facile, perché è arduo attuare una ricomposizione in ambiti sociali in cui sono assenti processi identitari forti. Inoltre la paura è molta, questo insieme ad una diffusa indifferenza e alla mancanza di una legge che permetta di eleggere liberamente dei propri rappresentanti (la proposta di legge di Gasperoni è stata definitivamente affondata dalla rottura della Cisl) non favorisce certo la ricomposizione. Diventa quindi importante intervenire sul territorio con modalità includenti e linguaggi rinnovati che oggi faticano molto a farsi strada anche a causa della lunga storia sindacale della maggior parte dei dirigenti".

Ugo Barbero, dello Slai Cobas di Torino, impiegato all'INPS esordisce ricordando come lo Slai Cobas abbia le proprie radici nella stagione dei bulloni: "Noi nasciamo in opposizione alle burocrazie sindacali ed abbiamo sempre privilegiato questo aspetto. La gente all'inizio degli anni '90 era incazzata con le burocrazie sindacali, soprattutto a Milano e a Napoli, ma anche a Torino, dove capitava di vedere gente insospettabile con l'impermeabile e con l'ombrello contestare le burocrazie sindacali: purtroppo a Torino l'egemonia della sinistra CGIL ha frenato il radicalizzarsi della piazza. Da quella lotta nasce il nostro sindacato. All'epoca si pensava ad un forte espansione che però per noi come per il resto del sindacalismo di base non c'è stata. Oggi purtroppo la gente non crede sia più possibile contrastare quello che sta avvenendo. Teniamo però conto del contesto: un governo di cosiddetta sinistra, un governo che tutti criticano, ma forse sentono meno nemico finisce con il creare immobilismo. Quando Berlusconi ha parlato di tagli alle pensioni le piazze si sono riempite, quando la "sinistra" le ha tagliate davvero ci siamo mossi in pochi. Purtroppo la sinistra al potere è stata vista da molti come il male minore: per me e per altri compagni questa è stata la conferma delle convinzione che quando si va al potere si finisce col gestirlo in sintonia con gli interessi del capitale. Oggi tutta la sinistra da quella di governo a Rifondazione si muove nell'ottica della compatibilità: diviene quindi difficile dar vita a movimenti di opposizione radicale. Il gioco delle parti tra padronato, sindacati di stato e governo fa sì che ad esempio il passaggio alle pensioni contributive finisca con l'essere avvertito come una necessità che si dovrà prima o poi accettare per frenare la crescita del debito pubblico. E questo capita sebbene tutti sappiano che la perdita ci sarà e sarà secca." Ugo prosegue parlando di questa finanziaria: "Tutti dicono che questa è una finanziaria debole e sembra una finanziaria quasi neutrale, ma invece continua a funzionare la logica del carciofo foglia a foglia e leggendola con attenzione si scopre che ci sono soldi per i padroni, che la diminuzione dell'aliquota Irpef è compensata dall'introduzione di tasse comunali e regionali, e così via. In realtà siamo di fronte ad un attacco continuo alle condizioni di vita dei lavoratori di fronte al quale la risposta appare oggi debole". Ugo a questo punto affronta le tematiche relative alla grande frammentazione del sindacalismo di base: "Per noi è sempre stata centrale la questione della rappresentanza, diversamente dai sindacati confederali in cui il lavoratore è un semplice iscritto e non conta nulla nelle decisioni che le burocrazie prendono per lui. La nostra è una visione consiliare del sindacalismo e per noi è sempre stata più importante la rappresentanza di tutti i lavoratori che non quella di sigla, a differenza di altri sindacati di base: ho sempre pensato che per diventare come la CGIL basta avere la rappresentanza: poi vengono le segreterie, i posti di comando, i distaccati che non sanno più cosa vuol dire lavorare..." Ugo poi passa ad esaminare le prospettive del sindacalismo di base: "Io non ho mai creduto alla creazione di una federazione dei sindacati di base, perché non ha mai funzionato, però penso che si potrebbero realizzare delle sinergie a livello territoriale su punti di intervento specifici, affrontando problemi concreti come quello del precariato sul quale noi tutti balbettiamo. Un altra questione importanza è la legge sulla rappresentanza in discussione in parlamento, che prende a modello quella del pubblico impiego, peggiorandola. Si tratta di cominciare a lavorare e poi magari le cose matureranno." Ugo conclude citando Adorno: "mi ha colpito una frase nella quale egli distingue tra il principio di realtà e quello di giustizia. Il principio di realtà è quello che ti fa accettare la realtà com'è, ed è quello dominante in quest'epoca; invece il principio di giustizia è creativo e apre alla possibilità della trasformazione, perché è quello che, al di là dell'esistente individua la norma dell'agire nella giustizia. É questo che oggi, indipendentemente dalle singole posizioni dei compagni, manca: il dire 'è giusto e quindi ci dobbiamo provare'."

Incontriamo, nella sede del movimento libertario di Parma, Massimiliano Ilari, militante del locale Sindacato Uffici vari dell'Unione Sindacale Italiana (USI-AIT).

"La nostra posizione - esordisce Massimiliano - è sempre stata di opposizione intransigente a tutti i provvedimenti, di carattere governativo, padronale o confederale, che nuocessero a salari, servizi, condizioni di vita dei lavoratori. Questa Finanziaria, coerente con la linea adottata dai governi negli anni '90, fossero essi di destra o di pseudo-sinistra, vede, proprio negli ultimissimi giorni, ulteriori regali al padronato in termini di sgravi fiscali e progressive diminuzioni del costo del lavoro, pagati ancora una volta, tanto per cambiare, da tutti noi, che siamo in attesa di ulteriori tagli annunciati sulle nostre pensioni. In questo senso assistiamo alla vergognosa sceneggiata sul TFR, che vede opposte le cosiddette 'parti sociali' sulla migliore maniera per privarci dei diritti conquistati con più di un secolo di lotte operaie. Da una parte le tre confederazioni di regime CGIL-CISL-UIL, preoccupate dei magri risultati economici dei loro fondi pensionistici integrativi, propongono, in linea con la loro condotta antioperaia, di toglierci il TFR per andare a rimpolpare le magre pensioni di cui loro stessi ci hanno derubato. Dall'altra parte il loro interlocutore più caro, la Confindustria, non ci sta a far gestire a loro un immenso capitale di cui ora dispongono le aziende (quello delle trattenute per il salario differito, appunto), e punta a chiedere invece ulteriori tagli in termini di contributi, che porterebbero automaticamente i lavoratori a doversi rivolgere ai fondi integrativi, nonché a finanziamenti pubblici. La sintesi è che chi è giovane, precario o a reddito medio-basso, può ormai scordarsi un sistema previdenziale degno di questo nome."

Massimiliano affronta quindi il tema dello smantellamento del welfare, rimpiazzato ormai dal concetto di "sussidiarietà": "Questa è un'altra grossa fregatura, e si vede soprattutto nel settore dove lavoro io, cioè le cooperative sociali. Se prima il welfare non era granché, perché si trattava solo di una parziale restituzione di quello che veniva prelevato con la pressione fiscale, ora siamo ancora più in basso. Le amministrazioni pubbliche si liberano di tutti i servizi, dall'assistenza alle municipalizzate, per darli in appalto a cooperative con le quali si ottiene un abbattimento notevole del costo della mano d'opera, tramite sgravi fiscali ma anche tramite un contratto nazionale, quello delle cooperative sociali, che prevede paghe da fame per i livelli medio-bassi e tra l'altro è in attesa di rinnovo già da due anni. I lavoratori delle cooperative, poi, sono spesso precarizzati, e privati di gran parte dei diritti sindacali tramite l'ambigua formula del "socio-lavoratore". Massimiliano poi prosegue: " È una tendenza che viene giustificata con l'ingresso nell'UE e le pressanti necessità legate all'euro ed ai mercati internazionali. La verità è che sono riusciti a fare a tutti gli effetti l'internazionalismo dei padroni, e non solo a livello europeo, vedi per esempio il prossimo incontro del WTO a Seattle, dove la loro Internazionale cercherà di accordarsi su come garantire a pochi potenti un migliore e più garantito sfruttamento delle risorse del pianeta a scapito dei molti, tramite l'imposizione di accordi commerciali che smentiscono i loro stessi presupposti liberali. La scommessa a questo punto è rafforzare l'internazionalismo degli sfruttati, proprio questo fine settimana siamo di ritorno dalla riunione periodica della Associazione Internazionale dei Lavoratori (AIT/IWA) a cui aderisce l'USI, in cui si è parlato anche di questo. Per il sindacalismo autogestionario e di base restano ancora, credo, le carte migliori da giocare. Oggi - prosegue Massimiliano - è necessaria che la lotta per la difesa delle condizioni di vita e di lavoro dei ceti subalterni, per la libertà sindacale sia espressa dall'azione diretta, dal rifiuto della delega e delle burocrazie sindacali. La solidarietà fra sfruttati, l'organizzazione federalista e libertaria delle nostre strutture, sono punto focale di un progetto di sindacato che a mio avviso non deve essere solo vertenziale, ma mirato alla trasformazione della società, alla fine dello sfruttamento dell'uomo sui suoi simili. Oggi la scommessa è l'internazionalismo."

Donato Romito, lavoratore della scuola dell'Unicobas di Pesaro, esordisce sulla finanziaria: "La Finanziaria 2000 replica le finanziarie del decennio. Inflazione giù e riduzione del debito. Tendenza dello Stato alla devoluzione del welfare al mercato, introduzione della sussidiarietà (la finanziaria che "restituisce" ai cittadini, no?). I collegati su previdenza e TFR? Si dice che il sistema previdenziale salterà nel futuro (il 15,5% sul PIL nel 2035 contro il 14,3% di oggi!), ma si omette di ricordare che è previsto un calo della spesa nei prossimi 5 anni e che la riforma Dini (1995) sta ottenendo risparmi superiori al previsto. Il taglio delle pensioni apre al trasferimento obbligatorio del TFR nei fondi pensione, ma i lavoratori non godrebbero del TFR né subito (finisce nei fondi), né alla fine della propria vita lavorativa (in quanto già corrisposto). La previdenza pubblica dev'essere al di sotto del 40%, perché si sviluppino i fondi pensione e gli altri strumenti di investimento. Lo Stato devolve la gestione della previdenza al mercato, ma garantisce un intervento di sussidiarietà, magari "equo"!" Donato poi prosegue sulla scuola: "Nella scuola il costante taglio degli organici (circa l'1% in meno per il 2000) non ha certo scopi di risparmio, ma di riduzione della presenza della scuola pubblica nel paese. I provvedimenti di drenaggio dei flussi di cassa non vanno a colpire chissà quali spese pazze, ma la normale attività didattica e le retribuzioni per lavoro aggiuntivo. Questi risparmi diventeranno così risorse per la "parità". Lo Stato devolve la gestione della formazione al mercato, ma garantisce una quota sussidiaria di scuole pubbliche. Già avviene per le scuole materne, via Enti Locali. Libertà ed equità sono i valori stravolti. Che ognuno si costruisca liberamente la propria previdenza o la propria formazione, e se proprio non ce la fai, aiutati che... lo Stato equo un po' ti aiuta.

Inoltre - prosegue Donato, affrontando la questione sindacale, - opporsi è più difficile per le difficoltà del sindacalismo di base. Costretto a lottare per riprendersi le libertà sindacali e a trovare una soluzione alla frammentarietà. Ci vorrebbe un patto federativo. Una consulta permanente, una piattaforma su salario/orario, welfare, rappresentanza. Da costruire dal basso senza restare locale. Dai luoghi di lavoro per attrarre gli incerti e i delusi. Sarebbe il minimo necessario, ma esistono notevoli ostacoli. Alcuni sono da ricercare nella origine e nella storia di ciascun sindacato alternativo. Altri nella provinciale pratica dei veti incrociati e nella iattura delle scissioni.. Altri ancora nel ritenere sufficiente, nei fatti, un radicamento solo categoriale, aziendale o locale. Tale scelta ha certamente portato ad un saldo insediamento di alcuni sindacati a livello territoriale, con riscontri lusinghieri nelle elezioni delle RSU o con incremento degli iscritti. Ma tutto ciò è insufficiente per poter pensare di porsi come reale forza alternativa per il mondo del lavoro. L'unità dei lavoratori è da sempre un obiettivo strategico dei libertari. Ed è altra cosa dall'unità sindacale. É compito degli anarchici presenti nei vari sindacati di base favorire il coordinamento e le possibilità di intesa intorno ad un piattaforma che si ponga come referente reale e visibile per lavoratrici e lavoratori, precarie e precari, disoccupate e disoccupati. É compito degli anarchici proporre un progetto di federabilità delle lotte e delle organizzazioni di base."

a cura dei compagni della redazione di Torino, Bologna e Reggio Emilia



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