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Da "Umanità Nova" n.40 del 12 dicembre 1999

L'azione diretta vince!
A Seattle la protesta ha fermato i padroni del mondo

A Seattle è stata vinta una scommessa su cui in tanti avevamo puntato ma senza credere che fosse davvero possibile farcela. Fermare, ritardare, scompigliare il tavolo dei padroni del mondo erano slogan ripetuti con la forza della convinzione, con l'urgenza etica e tragicamente materiale di chi guarda i ricchi farsi sempre più ricchi ed i poveri diventare sempre più poveri, con l'impeto di chi vede i bambini schiavi, i disperati morire nei container, le frontiere aperte ai capitali e chiuse di fronte a uomini, donne e bambini, con la spinta a difendere l'ambiente dalla distruzione e dalla predazione selvaggia ed irreversibile. Per mesi attraverso i cinque continenti si è allargata ed infittita la rete della resistenza, la rete della solidarietà, la rete orizzontale in cui si sono mescolati ed incontrati saperi, culture, progetti con la volontà di creare un fronte di resistenza transnazionale come il capitale. Per tutti l'appuntamento di fine novembre ha rappresentato una tappa importante nella lotta contro il capitale e gli stati. Ma nessuno, credo, pensava che le manifestazioni organizzate nella stessa Seattle e, contemporaneamente in migliaia di città e paesi dei cinque continenti potessero davvero far ingolfare il motore ben oliato avviato dai fautori del libero commercio. In molti speravano che il terzo incontro interministeriale dell'Organizzazione Mondiale del Commercio - WTO si arenasse per l'incapacità delle maggiori potenze, Stati Uniti ed Europa in primo luogo, a trovare un punto di accordo soddisfacente, che in sostanza l'incontro di Seattle fallisse per le contraddizioni ancora aperte tra i vari stati. La spinta alla globalizzazione, all'apertura di nuove frontiere del "libero commercio" trovava, e trova ancora delle resistenze in istanze protezionistiche presenti tra i propri stessi sostenitori. Non è certo casuale che la stessa nascita del WTO, programmata nell'immediato dopoguerra, si sia realizzata soltanto nel 1995. Alcuni commentatori della stampa nostrana, sempre pronti a cercare spiegazioni dietrologiche capaci di ridare senso ed ordine ad avvenimenti tanto inattesi da sfuggire al controllo dell'apparato militare del paese più potente del mondo, si sono affrettati a spiegare che, forse, gli Stati Uniti volevano il fallimento del vertice di Seattle. Costoro hanno ipotizzato che gli USA, ma non solo loro, preferissero la vecchia pratica delle trattative dirette, sottobanco, senza dover attendere l'avallo di un organismo transnazionale dalle regole formalmente democratiche. Questi commentatori della domenica dimenticano che la posta in gioco all'interno e tramite il WTO va ben al di là dell'abbattimento di qualche barriera doganale o della penetrazione commerciale in nuove aree del pianeta. La favoletta liberista che promette benessere crescente derivante dal moltiplicarsi degli scambi, la buona novella che dopo due secoli di devastazioni e fallimenti il capitalismo continua ad annunciare, non è che la facciata di un progetto di predazione sistematica per il quale necessitano l'avallo (ed i robusti manganelli) degli stati. Se la "libertà" degli scambi diviene obiettivo imprenscindibile e, al contempo, filosofia dominante a livello planetario, non è sufficiente che cadano le barriere doganali, che vengano eliminati i dazi: occorre che ogni ostacolo venga rimosso. Gli "ostacoli" di cui stiamo parlando sono ormai da tempo del tutto espliciti: nel mirino del WTO sono la salvaguardia della salute pubblica, le garanzie in materia di alimentazione, ambiente, i diritti sindacali. Alla fin fine il diritto stesso di esprimere dissenso potrebbe essere messo in discussione. Catastrofismo? Purtroppo no. Essere obbligati a mangiare carne agli ormoni, cibi geneticamente modificati senza neanche la possibilità, sapendolo attraverso un'etichetta, di fare obiezione di coscienza alimentare non è una previsione pessimistica ma una realtà quotidiana. Una legge di tutela ambientale mette a rischio i profitti di una multinazionale? Nessun problema: il WTO sancisce che la legge venga modificata. Fantascienza? No è già successo. Nel '97 il WTO obbligò gli USA a modificare una legge in materia salvaguardia dell'aria (cfr. UN 38 pag. 5). Gli esempi si potrebbero moltiplicare anche solo fotografando la realtà odierna ma quello che stanno preparando per il futuro sarà anche peggiore. Magari con quel pizzico di ipocrisia umanitaria che talora non guasta per ingraziarsi le anime belle dell'elettorato attivo del nord del mondo. Di fronte alla protesta montante l'eclettico Clinton si è affrettato ad annunciare provvedimenti contro il lavoro minorile nel sud del mondo. Padre-padrone generoso, il presidente americano si preoccupa dei bambini. Ma la filosofia del WTO non comporta che ogni paese debba sfruttare al massimo le proprie risorse? Tradotto in altri termini: se l'unica risorsa di un paese sono le braccia infantili a bassissimo costo, occorrerà che tale risorsa venga utilizzata al massimo se si vuole restare "sul mercato". Le anime tenere del primo mondo prescrivono che i bambini non debbano lavorare? Vorrà dire che tutto procederà come prima ma illegalmente. Tranne magari essere periodicamente multati per fare quello che il mercato richiede ma regolamenti internazionali sanzionano.

La funzione del WTO in materia economica è in certa misura analoga a quella delle Nazioni Unite sul piano politico e militare. Il WTO nasce per costruire un corpus legislativo internazionale che consenta il dispiegarsi delle pratiche liberiste all'interno di regole universalmente accettate e sottoscritte. Come l'ONU fornisce copertura politica e morale alle avventure militari della NATO, così il WTO sancisce che il liberismo è l'orizzonte economico (ed etico) dal quale non è lecito che nessuno prescinda.

Quello che nessuno si aspettava, quello che noi non osavamo sperare ed i padroni del mondo sicuramente non temevano era che la protesta dal basso divenisse la vera protagonista a Seattle. I riflettori dei media sono stati obbligati a spostarsi dalla sala conferenze alle strade e alle piazze, i giornalisti hanno dovuto respirare il fumo acre dei lacrimogeni, calarsi in una scena che nessun copione aveva previsto. Gli striscioni dei sindacalisti e degli ambientalisti, le bandiere rosse e nere degli anarchici, la brutalità della polizia e dell'esercito hanno sostituito i discorsi ufficiali, le trattative più o meno esplicite, le contrattazioni di bottega. La retorica della cerimonia di inaugurazione è stata cancellata dal fragore di una piazza che ha preso voce ed è divenuta protagonista. Certo non è il caso di indulgere ad eccessivi trionfalismi perché la partita non è che all'inizio. Il Millenium Round, così come quelli che lo hanno preceduto, è un ciclo di negoziazioni destinato a durare anni, in cui i giochi sono ancora tutti aperti. Indubbiamente il fatto che l'incontro di Seattle, destinato a definire l'agenda sulla quale i 134 membri del WTO lavoreranno nei prossimi anni, si sia concluso senza alcun documento ufficiale è certamente un fatto positivo sul quale l'impeto della protesta non ha mancato di influire. La manifestazione di Seattle e le altre svoltesi nei vari angoli del pianeta hanno dimostrato che l'ingranaggio del WTO, il tavolo dei padroni del mondo, deve e può essere inceppato. L'azione diretta ha vinto. A noi tutti l'impegno a proseguire la lotta, nella consapevolezza che oggi più che mai è necessaria una spinta forte, radicale, la costruzione dal basso di un'alternativa conflittuale all'esistente. Un'alternativa rivoluzionaria.

Maria Matteo



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