![]() Da "Umanità Nova" n.40 del 12 dicembre 1999 Condannati a consumareC'è stato un periodo, attorno agli anni Sessanta, in cui il consumo era oggetto di grande attenzione da parte sia degli studiosi dei fenomeni sociali sia dei militanti rivoluzionari più attenti alle dinamiche dello scontro di classe. Titoli come "i persuasori occulti" e simili rendono conto di una preoccupazione allora diffusa della nascita di una nuova schiavitù in sostituzione per certi versi e in aggiunta per certi altri all'alienazione del lavoro. Sto parlando della reificazione, o della dipendenza dalla merce. L'affermazione della "società dei consumi" ha generato, a suo tempo come oggi, delle importanti risposte subculturali: il movimento hippy, le comunità rurali negli Stati Uniti, il punk. È vero che nel frattempo l'ottimismo della crescita, dello "sviluppo", ha subito qualche duro contraccolpo: la crisi del petrolio, la percezione dei limiti dello sviluppo, l'inquinamento ambientale, le oscillazioni congiunturali e la crisi strutturale dell'economia. Nondimeno, continuiamo a presupporre la crescita economica come una fatale e desiderabile necessità per assicurare il benessere. Incentivazione della produzione, rilancio economico, incremento dei consumi sono un po' ovunque, tanto a destra come a sinistra, le parole d'ordine regnanti. Un aumento del 2% soltanto del PNL comporta però in soli 35 anni un raddoppio della produzione economica. Che cosa ciò significhi in termini di sfruttamento di materie prime e di inquinamento è abbastanza evidente, ma spesso si dimentica un altro aspetto: già l'attuale livello di produzione e di consumo non potrebbe essere applicato a tutto il pianeta.[1] In altre parole: se tutti i cinesi si mettessero a utilizzare l'aereo come lo facciamo noi, ne conseguirebbe un immediato tracollo del traffico. Allora o ammettiamo che noi abitanti dei paesi industrializzati abbiamo il diritto del privilegio rispetto agli altri esseri umani e lasciamo loro le briciole della nostra grande abbuffata o ripensiamo i concetti di produzione e consumo. Laddove le rivendicazioni di meno lavoro e più salario all'interno di un sistema di produzione capitalista ci possono sembrare sacrosante (benché non abbiano nulla di "rivoluzionario"), già rivendicare il diritto al pieno impiego o il diritto al lavoro deve apparire perlomeno paradossale a chi ha celebrato prima di tutto il diritto all'ozio [2]. La preoccupazione così rimane quella di garantire condizioni di sopravvivenza "accettabili" all'interno del sistema capitalista, ossia condizioni di vita tali da poter disporre di mezzi e di tempo per accedere ai consumi. Ora la mia tesi è che, proprio sul versante dei consumi, il capitalismo ci stia preparando una trappola mortale. Per spiegarmi, vorrei utilizzare in modo forse un po' improprio, il concetto di "fabbrica diffusa". Con questo concetto intendo descrivere l'estensione del dominio capitalista dalla produzione alla riproduzione. Se Henry Ford voleva per i suoi operai dei salari che consentissero loro di comprare le auto che producevano, oggi il capitale deve inventarsi una strategia per poter erogare a tutti i cittadini (del mondo industrializzato) i mezzi per acquistare quanto i robot produrranno in futuro. Ho attribuito un po' provocatoriamente la proposta del reddito di cittadinanza al capitale benché trovi oggi i suoi alfieri in anticapitalisti come Gorz perché non solo è in quell'ambiente che è nata ma soprattutto perché è quel sistema che vuole puntellare. Se la Sony nel 2005 produrrà mezzo miliardo di Playstation III ci vorrà pur qualcuno che possa comprarle, altrimenti la Sony licenzierà 20.000 operai e mancherà dei profitti per pagare le tasse; mancando dei profitti per pagare le tasse lo stato non potrà più pagare il fottuto reddito di cittadinanza a tutti quei fuchi che se ne stanno in giro a far niente e si beccano miliardi di yen al mese, e se i fuchi non si beccano più il reddito di cittadinanza perché lo stato non ha i soldi per pagarlo non compreranno neppure più i tarallucci del Mulino Bianco e così finalmente quelli del Mulino Bianco la pianteranno di propinarci quegli insulsi spot tutte le sere e in fin dei conti non tutto il male vien per nuocere. Ebbene sì, stiamo parlando di consumi, consumi che vanno garantiti anche dal punto di vista della sicurezza del godimento minacciato dall'impoverimento di ampi strati della popolazione in seguito alla contrazione e alla precarizzazione del lavoro salariato [3]. Quale miglior anestetizzante che la creazione di un legame indissolubile con l'ordine economico e con lo Stato tramite l'erogazione di un reddito di cittadinanza all'interno, con l'esercito ai confini per proteggere il benessere dalla fame e dalla sete degli esclusi del Sud? Vorrei proporre alla vostra attenzione la definizione del reddito di cittadinanza come "prosecuzione della guerra di classe con altri mezzi." Fenomenologicamente non credo sia difficile dimostrare come la crescita economica, a partire dal secondo dopoguerra perlomeno, si sia in larga misura basata sul saccheggio del nostro "tempo libero". Per moltissime persone, passare un sabato pomeriggio in un centro commerciale è diventato un "passatempo", così come d'altronde le imprese mirano a trasformare la pratica dell'acquisto in evento carico di valenze simboliche attive fino a livello di sinapsi irriflesse. Lo "shopping" è una delle forme preferite di occupazione del tempo libero e non solo da chi è danaroso. Il dominio sul tempo libero: ecco la nuova fonte di reddito che tendenzialmente potrebbe sostituire il plusvalore arraffato sul sudore degli operai nelle fabbriche. Se il capitale ti dà le trenta ore lavorative, è perché le altre trenta se le è già riprese dal tuo tempo libero. Vorrei tanto non doverlo dire e da vecchio rockettaro me ne vergogno un po' ma lo sapevate che ci sono alcuni gruppi metal che si fanno quotare in borsa come se fossero un'acciaieria? È in questo senso che parlo di "fabbrica diffusa". La nuova macchina per timbrare il cartellino è la cassa all'uscita del supermercato. La nuova organizzazione di controllo sociale si chiama consumo. In Svizzera è molto diffusa la "carta cliente" che non è solo un sistema di fidelizzazione ma anche un perfetto sistema di controllo delle abitudini individuali e collettive di consumo. Pagando alla cassa con la carta, il contenuto del tuo carrello della spesa fornisce al computer dell'azienda tutte le informazioni necessarie per personalizzare l'offerta nei tuoi confronti per esempio tramite l'invio di mailing mirati. Inoltre, tutto è abbinato a un sistema di buoni erogati in funzione dei consumi individuali, nel senso di "più consumi e meno spendi". Si potrebbe quindi dire che la frazione di minor spesa monetaria che tu hai (che "risparmi") consumando di più è una frazione di salario che ti viene erogato in virtù dei tuoi consumi. In altri termini, ti pago per consumare. Quanto i periodi di obsolescenza di un prodotto possano essere compressi è ben illustrato dai cellulari (come del resto il software per computer, i modelli di auto e le firme dell'abbigliamento). Negli anni sessanta, dicevo, c'era ancora chi si preoccupava del nostro grado di dipendenza psicologica da questi "persuasori occulti"; oggi invece si direbbe che economisti, sociologi e politologi marxisti si siano del tutto dimenticati che già Marx aveva constatato che "è più facile produrre il superfluo che il necessario", e questo perché "il capitalismo è il ruffiano che producendo oggetti sempre nuovi e sempre nuovi bisogni istiga gli uomini a prostituirvisi" [4]. In "L'uomo a una dimensione", Marcuse ci ricorda come "le persone trovano la loro anima nella loro automobile, nel giradischi ad alta fedeltà, nella casa a due livelli, nell'attrezzatura della cucina. Lo stesso meccanismo che lega l'individuo alla sua società è mutato, e il controllo sociale è radicato nei nuovi bisogni che essa ha prodotto." [5] Ciarpame d'altri tempi? Può darsi, ma vorrei che i fautori del reddito di cittadinanza si esprimessero chiaramente su questo punto, poiché mi pare che manchi ancora una risposta a quanto sostiene Marcuse, ossia che "il termine 'totalitario' (...) non si applica soltanto ad una organizzazione politica terroristica della società, ma anche a una organizzazione economico-tecnica, non terroristica, che opera mediante la manipolazione dei bisogni da parte di interessi costituiti", e ancora: "Nella società opulenta i controlli sociali esigono che si sviluppi il bisogno ossessivo di produrre e consumare lo spreco (...) talché sotto il governo di un tutto repressivo, la libertà può essere trasformata in un possente strumento di dominio". [6] Questo non significa misconoscere la persistenza, accanto alla "fabbrica diffusa", di aree di sfruttamento del lavoro, anzi. Il sistema sta sostanzialmente orientandosi in direzione dello sviluppo del modello nazista dei lager di produzione (come le maquilas per esempio) sostituendo per gli eletti al piacere di morire in guerra quello non meno morboso di morire soffocati da un taralluccio Mulino Bianco davanti alla TV. Il problema che volevo sollevare si pone quindi in questi termini: i cosiddetti nuovi paradigmi, quali il reddito di cittadinanza, non sono forse perfettamente funzionali a questo tipo di sviluppo? È chiaro che anch'io non butterei nel cesso i duemila euro al mese che lo Stato mi manda senza che debba muovere un dito. Però a quel punto che differenza ci sarebbe tra me il topo in gabbia che ha appena abboccato a un pezzo di groviera? Appunto. Voglio dire: per poter erogare il reddito di cittadinanza occorrono macchine atte a finanziarlo, ossia transazioni finanziarie internazionali (Tobin tax), imposta sul valore aggiunto (consumi), imposte sui capitali, imposte sul reddito ecc. Insomma, tutte forme di finanziamento che presuppongono un capitalismo fiorente, con transazioni, speculazioni, consumi e capitali da tassare. Allora, ecco il punto, per poter introdurre questo reddito noi dobbiamo auspicare che il sistema capitalista funzioni nel migliore dei modi, tanto che uno sciopero, un boicottaggio, una sommossa o anche solo rivendicazioni limitanti l'accumulo di mezzi atti a finanziare il reddito di cittadinanza lo metterebbe a rischio. Significa che noi "consumiamo" nel senso letterale del termine il nostro tempo acquistando i beni e i servizi prodotti nelle fabbriche altamente automatizzate o nelle aree a bassissimo reddito del Sud, altrimenti il sistema s'inceppa. Significa che il consumo diventerà il nostro "obbligo sociale" di domani, come oggi lo è il lavoro. E io mi chiedo, e chiedo anche voi, compagne e compagni, per quale maledizione ci siamo meritati una prospettiva del genere? Peter Schrembs
[1] Meadows, Donella e Dennis, Randers, Jorgen, Oltre i limiti dello sviluppo, Il Saggiatore, Milano 1993. Per un approccio libertario alla problematica vedi, oltre che la sterminata bibliografia di Murray Bookchin, anche P.M., Bolo Bolo, L'Affranchi, Salorino, 1987 [2] Creagh, Ronald, L'anarchisme en mutation, in Actes du colloque international La culture libertaire, Grenoble, mars 1996, Atelier de création libertaire Lyon 1997, p. 38
[3] Rifkin, Jeremy, La fine del lavoro, Baldini e Castoldi, Milano 1995; Gorz, André, Miserie del presente - ricchezza del possibile, Manifestolibri, Milano 1998
[4] Heller, Agnes, La teoria dei bisogni in Marx, Feltrinelli Milano, 1977, p.54
[5] Marcuse, Herbert, L'uomo a una dimensione, Einaudi, Torino, 1968, p. 29. Murray Bookchin riprende per ampi tratti questa argomentazione.
[6] Ibid, pp. 23 e 27
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