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Da "Umanità Nova" n.41 del 19 dicembre 1999

Oltre Seattle

Il fallimento del Millenium Round è una tappa di lancio del movimento di contro-globalizzazione dal basso che si è manifestato inaspettatamente in grande a Seattle, e in piccolo un po' dappertutto. Guai a pensare di aver vinto anche una sola battaglia. È infatti probabile che nel WTO gli accordi erano lungi dal consolidare le varie anime interne; è altresì plausibile che in Europa la forza militare degli stati non sarebbe stata colta di sorpresa e non avrebbe fatto nemmeno arrivare le centinaia di migliaia di manifestanti a Ginevra o a Parigi o a Londra. Inoltre, quanto in agenda era stato deliberato nel dicembre 1996 a Singapore, senza che nessuno fiatasse (se non gli addetti ai lavori), i il movimento arriva quindi, purtroppo, con tre anni di ritardo.

E nonostante ciò, detto questo per evitare di accendere facili entusiasmi dopo la bella impresa di Seattle, occorre mantenere desta l'attenzione per evitare che, a poco a poco, clandestinamente e separatamente, possano passare altrove ciò che si è riusciti a non far passare a Seattle. Infatti è opportuno soffermarsi non tanto sulle contraddizioni interne al fronte globalizzante (ossia che globalizza a forza, volenti o nolenti, in un lasso di tempo che probabilmente smusserà e scioglierà i dissensi e le contraddizioni interne), quanto sulle differenze di una rete virtuale e pratica al contempo di controglobalizzazione, dove troviamo tutto e il contrario di tutto, dalla destra di Pat Buchanan agli anarchici. Ed è bene in questo momento che tutto si tenga insieme entro le maglie piuttosto larghe della rete planetaria stessa.

Tuttavia è bene soffermarci sul nostro fronte comune. Vale cioè la pena chiedersi sino a che punto il movimento anarchico e libertario è in questa rete, come vi si integra (o vi si inserisce episodicamente), con quali apporti di idee e strategie che devono dialogare gradualmente con altre idee e altre strategie, se non vogliamo isolarci e se non vogliamo passare, noi, per settari o inguaribili "ideologizzati".

La presenza anarchica e libertaria a Seattle è fuori discussione. Tuttavia già si notano tentativi "perbenisti" di prendere le distanze dagli aspetti mano "moderati" della protesta, addebitati quasi esclusivamente agli elementi anarchici, quasi a volerli tenere a distanza senza riconoscere la "rabbia" come una delle componenti di ribellione al capitale globale (specie quando la "rabbia" si volge contro beni materiali altamente simbolici delle imprese transnazionali: una violenza paraluddista su cui riflettere: la seduzione rovesciata del consumismo). È chiaro che solo la rabbia fa fare lunga strada a tutti quanti, però è altrettanto chiaro che essa è parte integrante e che soprattutto la componente anarchica e libertaria non deve farsi ghettizzare sino ad essere identificata come la esclusiva "imprenditrice" che si "auto-appalta" il settore " violento", come se essa fosse condannata per destino o tara genetica a non poter affermare, avanzare ed esprimere linee strategiche di attacco al capitale globale e al pianeta unico statuale e sovrastatuale in termini più elaborati e più lungimiranti della mera e legittima rabbia. Le intelligenze non devono risiedere solo in "Le Monde diplomatique" (tanto per fare un esempio a caso).

È infatti sui contenuti della lotta al capitale che si gioca la battaglia contro stati potenti e capitali sovrani. E qui già emergono vistose differenze, che si intrecciano al momento senza stagliarsi chiaramente, in parte riconducibili a retroterra classicamente ideologici. Una parte intende semplicemente (si fa per dire, beninteso) ridare poteri ai governi nazionali per ridimensionare la forza della "finanza barbara" (titolo di uno dei tanti libri sulla globalizzazione, per intenderci). Si tratta di una versione neowelfarista di sinistra riformista e illuminata che passa attraverso le istituzioni della sinistra ufficiale mondiale, sia pure prevalentemente all'opposizione, e che seduce anche chi, non appartenendo agli storici partiti, subisce il senso di impotenza e si affida a un altro (contro?)-potere forte, quale è e dovrebbe essere lo stato, per volgerlo e piegarlo contro il capitale finanziario, facendo ritornare indietro le lancette dell'orologio all'era pre-Thatcher. Soprattutto senza considerare che lo stato è complice attivo della dismissione dei suoi poteri in favore delle imprese private transnazionali.

Un'altra strategia, più non governativa, mira a riformare in modo illuminato e con la pressione lobbystica dal basso le istituzioni informali e formali del pianeta, quelle che contano come il WTO, la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l'ONU, per dare al termine globalizzazione un contenuto non escludente e più vicino a tutti gli abitanti della terra, e quindi non solo al quinto più ricco, più privilegiato, più alfabetizzato e consapevole, più potente militarmente.

Infine, più sparpagliati, esiste una terza opzione che tende, senza pretese di uniformità ideologica e organizzatrice, a dare voce ai senza voce nei mille sud del pianeta, comprese le sacche di sud nell'occidente ricco e svogliato. Dare potere ai senza potere è indubbiamente più affine al modo libertario e anarchico di sentire i problemi mondiali, ma resta la perplessità che non si intravede un filo conduttore che trasversalizzi su tutti i livelli dell'azione diretta (informativi, solidali, e organizzativi, perché no?) i senza voce, aiutandoli a trarre fuori da se la rabbia e la progettualità che viene loro oppressa dall'impossibilità di potersi confrontare ed esprimere visto che preoccupazione esclusiva è la pura e dura sopravvivenza.

Come componente anarchica e libertaria organizzata questo è, ritengo, uno dei temi strategici e di contenuto da dover affrontare, insieme alla riflessione sulla nostra posizione di anarchici del nord del mondo, e quindi della necessità di radicare controcorrente una controglobalizzazione di respiro e di segno libertario, individuando strumenti di analisi, di lettura, di informazione puntuale, di comprensione, di argomentazione, di persuasione (perché no?) idonei a rendere praticabile come terreno di lotta proprio qui al nord un arco di problemi altamente conflittuali, come lo sono tutti i problemi legati alla globalizzazione, allo sviluppo sociale, alla povertà del mondo, allo sfruttamento del lavoro, alla depredazione delle risorse naturali, e via dicendo, dalla quale globalizzazione il nord ha tutto da guadagnare, mentre il nostro obiettivo dovrà essere quello di eliminare il privilegio (di cui pure godiamo le briciole, ma sempre tanto rispetto ai sud) muovendo dal campo privilegiato nel quale ci troviamo casualmente a vivere e quindi a lottare.

Ecco l'esigenza prioritaria di concepire una strategia libertaria contro la globalizzazione e di farla viaggiare in una rete specifica che sappia integrarsi e con/fondersi nell'ampia rete globale di cui Seattle '99 è l'emblema più appariscente e, speriamo, destinato a sortire effetti duraturi e imprevedibili nel tempo.

Salvo Vaccaro



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