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Da "Umanità Nova" n.01 del 16 gennaio 2000

La sindrome del Kosovo

Il militare Salvatore Vacca, morto recentemente di leucemia, potrebbe essere la prima vittima della "Sindrome del Kosovo".

Secondo infatti quanto dichiarato dalla madre alla trasmissione di RAI3 "Reporter", egli sarebbe morto in seguito ad esposizione agli effetti dello scoppio di un ordigno americano caricato con uranio impoverito.

La notizia, ignorata dalla generalità dei media, è stata ripresa successivamente solo da "Liberazione" e da "il Manifesto" ed attende ancora conferme ufficiali, così come quella secondo altri 70-80 militari italiani con sintomatologie analoghe a quelle presentate dal militare deceduto, sarebbero stati segretamente internati e tenuti sotto osservazione in un ospedale-lazzaretto.

Torna quindi obbligatorio occuparsi dell'impiego militare dell'uranio impoverito, già utilizzato su vasta scala in Iraq, in relazione alla guerra NATO contro la Jugoslavia, ricorrendo anche alle informazioni fornite da "Scienziate e scienziati contro la guerra" (scienzaepace@iac.rm.cnr.it) in "Imbrogli di guerra", edito dalla Odradek di Roma (lire 20.000).

Come sappiamo, l'uranio impoverito è un prodotto di scarto -altamente tossico e radioattivo- del processo di arricchimento dell'uranio impiegato nelle centrali nucleari e nella fabbricazione di bombe atomiche che negli USA ha trovato una "soluzione" di smaltimento-riciclaggio attraverso l'inserimento di tali scorie in proiettili d'artiglieria, missili, mine, bombe e munizionamento aereo.

I risultati di tale impiego erano conosciuti da decenni come testimonia un rapporto dell'US Army del '79 secondo cui questo avrebbe messo in pericolo "non solo le persone nelle immediate vicinanze, ma anche quelle che si trovano a distanza sottovento: (...) le particelle (...) si depositano rapidamente nei tessuti polmonari esponendo l'ospite ad una dose tossica crescente di radiazioni alfa, capace di provocare il cancro e altre malattie mortali".

Per queste ragioni, ed anche in conseguenza degli effetti altamente inquinanti per l'ecosistema dei territori colpiti, l'uso militare dell'uranio impoverito è notoriamente stato messo al bando da ogni convenzione e trattato internazionale sugli armamenti, ma nonostante ciò sicuramente gli USA e la Gran Bretagna l'hanno sperimentato per quasi un decennio nei bombardamenti contro l'Iraq, risultando una delle principali cause della "Sindrome del Golfo" che ha contaminato anche 90.000 militari USA, e sempre gli USA hanno ammesso di averne fatto largo ricorso in Bosnia, Kossovo e Serbia.

Sull'impiego dell'uranio impoverito nell'ultimo conflitto balcanico, sono state quindi fatte alcune ipotesi scientifiche.

Secondo Nicola Pacilio e Carlo Pona dell'ENEA, "l'ipotesi più ragionevole che si può fare è che ad ogni 'raffica' - dove per raffica intendiamo il rilascio completo dell'uranio impoverito caricato su un missile Tomahawk, o nelle bombe a guida laser GBU-28, o nelle munizioni per i PGU-14/B API montate sugli A-10 - vengono 'sparati' circa 400 kg. di uranio impoverito".

Per cui, come dichiarato da Marco Saba, giornalista ed esponente del Comitato Stop all'uranio 238, "secondo le stime in nostro possesso si parla di circa un centinaio di tonnellate di uranio impoverito riversato nei Balcani. E' comunque difficile un calcolo preciso perchè gli americani, a differenza di quello che è successo in Iraq - dove hanno segnalato le zone in cui sono stati sparati i proiettili - non hanno mai presentato alcuna mappa dei bombardamenti né per quanto riguarda la Jugoslavia, né tanto meno per quanto successo in Bosnia nel '94 - '95. E' però probabile che nel Kosovo, dove si trovano le truppe americane, l'uranio sia assente".

Da qui l'allarme nel mondo scientifico non asservito (si veda la denuncia pubblica dell'Ordine dei Medici di Padova per la presumibile presenza nell'Adriatico di ordigni con uranio impoverito, fosforo ed altri agenti chimici); da citare a riguardo un articolo della BBC News in cui lo scienziato britannico Roger Coghill ha previsto almeno 10.000 morti per forme cancerogene determinate dall'uranio impoverito in Kosovo.

Tutto quindi lascia prevedere che nei prossimi anni, sia tra i militari presenti nell'area balcanica durante il conflitto che tra le attuali truppe d'occupazione, si vedranno in replica gli effetti combinati dei bombardamenti ad uranio impoverito e dell'inquinamento generalizzato seguito alla distruzione di raffinerie e industrie chimiche, nonchè della sperimentazione di nuove armi (vedi, ad esempio, le bombe alla grafite), analogamente a quanto già successo nella guerra del Golfo, senza parlare delle conseguenze sulle popolazioni civili, sia serbe che kosovare.

E tale probabilità sarà più elevata per i militari italiani a cui sono state assegnate zone a più alto rischio, a dimostrazione del fatto che la paga di mercenario NATO è comprensiva anche dell'indennità per uranio impoverito.

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