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Da "Umanità Nova" n.02 del 23 gennaio 2000
Dibattito
Niente può fermare una rivoluzione consapevole
Il dibattito in corso che si sta sviluppando attorno alle questioni poste in
discussione per i prossimi convegni precongressuali della FAI soffre, a mio
parere, di un eccessivo distacco analitico.
Se é vero che per analizzare il contesto sociale, economico e politico
contemporaneo é necessaria un'analisi la più precisa possibile e
che, quindi, per condurre quest'analisi é necessario il freddo della
ragione perché il caldo della passione potrebbe indurci a leggere il
reale con la lente deformata del pregiudizio é altrettanto vero che, per
dirla in una battuta, per andare da Roma a Milano é poco conveniente
passare per Tokyo a meno che la persona in viaggio non abbia come obiettivo il
viaggio stesso.
L'attuale natura del dominio politico e dello sfruttamento economico non
differisce, se non per alcuni particolari, dalla secolare storia del dominio.
Le guerre sono combattute con armi più efficaci ma non mutano la natura
dell'atto distruttivo, aggressivo e oppressivo e, come nella storia passata,
anche quella antica, sono guerre di conquista o quantomeno, tattiche, per
ribadire logiche di dominio. Lo sfruttamento economico ha modalità
"nuove" ma la relazione di dominazione e di rapina che si determina fra
sfruttatore e sfruttato non differisce sostanzialmente dal passato. Le
condizioni di vita della popolazione sfruttata sono, innegabilmente, migliorate
(questo vale soprattutto nei paesi industrializzati) ma il divario di
condizioni e possibilità fra ricchi e poveri si é, se possibile,
accentuato. La dominazione politica veste oggi i panni della democrazia (quando
non necessitino, per il potere, soluzioni marcatamente autoritarie) che, lungi
dall'essere un sistema politico libertario e partecipativo, é lo
strumento della dominazione delle oligarchie sui popoli.
D'altra parte all'ultimo congresso dell'Internazionale delle Federazioni
Anarchiche, svoltosi a Lione nel 1997, la commissione incaricata di redigere il
documento conclusivo "sulla fase" (commissione di cui facevo parte) dopo aver
vagliato pagine di documenti, dopo un nutrito dibattito plenario ed un fitto
dibattito all'interno della commissione stessa sintetizzava così: "....
la mondializzazione del capitalismo e la messa in atto di organizzazioni
statali sopranazionali non sono fatte per soddisfare i bisogni
dell'umanità ..." e proseguendo "... sul piano economico questo sistema
é caratterizzato da un numero sempre più ristretto di imprese che
formano degli oligopoli ... che orientano il mercato e gestiscono [sono
gerenti, se vogliamo esseri fedeli più al senso che alla traduzione] il
sistema economico mondiale ... per trarne il massimo profitto ...". Per fare
ciò, prosegue il documento dell'IFA, "... s'appoggiano sulla
capacità di controllo sociale, militare, poliziesco e religioso degli
stati e sul controllo ideologico esercitato dai media ..." e ancora "... la
mondializzazione del capitalismo é la prosecuzione su scala mondiale del
movimento secolare di concentrazione del capitale inerente a tutti i sistemi
concorrenziali ...". Nel descrivere la realtà contemporanea fatta di
sistemi economici e produttivi articolati dalla piccola, alla media fino alla
grande impresa che assume sempre più i caratteri di pura holding
finanziaria in documento sintetizzava "... dalla più piccola impresa
fino alla più grande holdings si danno legami capitalistici [i quali
legami] sono rapporti di dominazione e di sfruttamento ...". La sintesi
generale del documento recitava una formula classica (che alcuni compagni hanno
addirittura giudicato arcaica): " Il sistema delle relazioni economiche attuale
é un sistema di sfruttamento in cascata ... [che] si basa su una fine
[nel senso di fitta trama] gerarchizzazione degli statuti [delle normative,
delle leggi, delle consuetudini] sociali e dei redditi ...". L'obiettivo del
documento dell'IFA che proseguiva in una serie articolata di punti non era
quello analitico ma quello ideologico e politico o, per dirla tutta,
antiideologico e antipolitico: di destrutturazione e di critica sia
dell'ideologia liberista che di quella neo socialdemocratica e di
destrutturazione e di critica della politica degli stati e delle agenzie
multinazionali.
Pur nella sua sinteticità, a mio parere, il documento coglieva gli
aspetti essenziali e reali della dominazione.
I capitalisti contemporanei che tanto si ammantano di modernità e di
falsa coscienza avrebbero fatto invidia a sir Drake, corsaro sì ma della
regina. La figura retorica e romanzesca della scorribanda effettuata per
depredare, incendiare ed uccidere é quella che meglio di qualsiasi
analisi descrive l'essenza dei capitalisti, grandi e piccoli. Così come
accadeva in Mesopotamia più di 3000 anni fà o in Egitto 2000 anni
fà e, via via, fino ai giorni nostri pirati e lanzichenecchi sono le due
facce delle medesima pratica di espropriazione effettuata con violenza ed
arroganza. I pirati lavorano "in proprio", i lanzichenecchi "in conto terzi" ma
per chi ha la malaugurata sorte di incontrarli non fà molta differenza.
La differenza di venire sgozzato da una lama "autonoma" piuttosto che da quella
di uno scherano del signore di turno.
Senza volerci allargare tanto (pur cogliendo i caratteri essenziali che
accomunano le diverse realtà nazionali) possiamo fermarci alla nostra
realtà di casa per evidenziare i caratteri contemporanei dello
sfruttamento e del dominio.
I grandi capitalisti, in Italia, sono poche decine. Si definisce grande
capitalista la persona (a volte la famiglia) che possiede patrimoni al di sopra
del migliaio di miliardi di lire. Vi é poi una schiera più
allargata di uomini d'affari e, alla faccia delle rivendicazioni femministe, di
donne di successo. Sono alcune migliaia di persone che hanno patrimoni di
qualche centinaia di miliardi. Qui in mezzo cominciamo a trovarci le persone
che D'Alema ama definire la classe dirigente del paese. E' un'alta borghesia
che sogna (e spesso compra) i blasoni dell'aristocrazia. Nella logica mafiosa
del "padrone e sotto" questi signori stanno sotto i grandi capitalisti. Sono
quindi essi degli sfruttati? Giammai, invidiano, non vi é dubbio, i
grandi capitalisti ma accettano la loro condizione di sudditanza in attesa del
colpo di fortuna (o del raid finanziario prossimo) per prenderne il posto.
La schiera dei ricchi si allarga alle persone (o, ancora, alle famiglie e
famiglie in senso lato, ivi compresa la nozione mafiosa di famiglia) che
posseggono patrimoni dell'ordine delle decine di miliardi. Statisticamente, in
Italia, sono qualche centinaio di migliaia di persone. Una borghesia intermedia
che lega le sue fortune ai servigi che compie all'alta ed altissima borghesia
(si va per gradi visto che l'aristocrazia é stata definita
statisticamente estinta). In questa casta troviamo l'intera classe politica e
padronale in senso lato. In realtà molti componenti di questa classe
sono semplici funzionari di gruppi imprenditoriali multinazionali ma che godono
di riconoscimenti economici dell'ordine del miliardo all'anno. Essendo questo
il terzo gradino della scala gerarchia (e reddituale!!!) vi alberga una
più diffusa cultura servile. E' questo il corpo sociale e culturale,
nonché il crogiolo ideologico del moderno sistema di dominazione.
Mutatis, mutandis, possiamo ricalcare questa fotografia per descrivere gli
assetti di potere sia in Francia che in Germania, per non parlare della Russia
o delle Grecia. Ma analogamente possiamo parlare del Giappone e, usando una
scala più alta (almeno i redditi devono essere moltiplicati per cinque),
degli Stati Uniti d'America.
L'ideologia borghese (oggi ampiamente riecheggiata da tutti i partiti
socialisti) ci insegna che se é vero che il mondo é fatto a
scale, vi é chi scende e chi sale, quindi l'importante é
garantire a tutti "pari opportunità" di scalare la piramide gerarchica
(e reddituale, lo ripeterò fino alla noia). L'ideologia borghese si
dimentica di prendere in considerazione che chi sta in alto non vuole scendere
in basso e che in alto non c'é posto per tutti. D'altra parte accetta
(bisogna darne atto) che chi sta in alto e non fà nulla per restarvi
debba (sia naturale che) scendere in basso, fino alla rovina. E' la sorte delle
famiglie decadute, delle pecore nere delle grandi famiglie borghesi, di
avventurieri ai quali la sorte ha voltato le spalle. Sì, perché a
quelli che la sorte li aiuta, pur restando avventurieri, si trova sempre un
posto a sedere nel salotto buono.
Non ho lo spazio per dilungarmi nella descrizione delle relazioni delle classi
dominanti ma credo di aver dato sufficienti argomenti per denunciare, cosa
nient'affatto moderna, la falsità della coscienza borghese. Così
come non é affatto moderna la logica che questa classe utilizza per il
mantenimento dello status quo. Così come oggi il mito neo liberista Bill
Gates si é fatto da sé, anche diverse centinaia di anni fà
Vercingetorice era diventato re d'Italia partendo dal nulla.
Anche i dati da me utilizzati non sono un mistero per nessuno visto che ogni
anno il buon Giuseppe De Rita ce li fa conoscere tramite il suo CENSIS.
Il problema reale é, se quanto affermo é vero, cosa impedisce
(solo per restare in Italia) a sessanta milioni di persone di annientare alcune
centinaia di migliaia di persone o, per essere meno truculenti, di ridurle
all'impotenza?
Non vi é dubbio che uno degli impedimenti é l'ideologia borghese
che permea la cultura di massa e che vuole identificare la vittima con il boia,
nell'aspirazione della vittima a divenire boia egli stesso per salvare la
propria pelle. Non vi é altrettanto dubbio sul fatto che seicentomila
uomini armati (solo per restare in Italia, a tanto ammontano gli scherani dello
Stato) possono tenere sotto controllo sessanta milioni di persone sia
attraverso la repressione diretta che tramite l'infiltrazione nei gruppi
rivoluzionari e la provocazione. Vi é poi la pletora dei preti (quelli
di curia e quelli di partito) che addormentano le coscienze con le loro litanie
e blandiscono le intelligenze con discorsi in latinorum o in modernese forbito.
Ultimo ma non ultimo vi é la consapevolezza che anche quando si fosse
fatta una rivoluzione in Italia (o ancor peggio se in una città o in una
regione) ci si troverebbe bombardati dai Tomahawk, dagli Harrier, dalle bombe
intelligenti della NATO e, qualora gli stati europei o i popoli europei
impedissero un intervento internazionale, basterebbe l'esercito americano che
ha bombe a sufficienze e gas chimici in abbondanza per distruggere l'intero
globo.
Quindi ancora una volta ed anche questa volta senza scoprire nulla di nuovo, i
caratteri della dominazione sono quelli del terrore e dell'oppressione.
La storia ci insegna altrettanto che per mezzo della sola oppressione e del
solo terrore nessun potere per quanto pervicace e crudele può resistere
alla rivolta popolare. Che cosa ci manca allora?
Ci manca la consapevolezza della possibilità rivoluzionaria e nello
stesso tempo la chiarezza sugli obiettivi che la rivoluzione deve perseguire.
Non ho mai incontrato una persona (a meno che non fosse un capitalista, magari
in erba, un prete, magari rosso, uno sbirro, magari del SIULP) che si ritenga
soddisfatta dello stato di cose presenti e che non aspiri ad un radicale
mutamento delle relazioni sociali. Tutte le persone con le quali parlo sono dei
rivoluzionari in pectore. Io, di solito, non frequento esclusivamente dei
circoli anarchici.
Ma tutte queste persone ed anche molte compagne e compagni, quando si arriva al
nocciolo della questione evidenziano un problema oggi ancora irrisolto. Non
é solo il comprensibile e condivisibile timore della repressione e dei
bombardamenti che frena l'azione rivoluzionaria é soprattutto il timore
che dopo un tale spargimento di sangue (perché é di sangue e non
di primule che si parla quando si parla di rivoluzione), la storia si ripeta
come prima. Che nella rivoluzione si riformino, come ci ha insegnato la storia,
dei gruppi, delle caste, delle classi che riprendano lo storico movimento della
dominazione e dello sfruttamento. Al di là della polemica possibile
dobbiamo riconoscere ad Enrico Berlinguer di aver colto il sentimento popolare
quando ha voluto vedere nella democrazia con "venature di socialismo" un limite
invalicabile dell'azione politica della sinistra. Quel limite invalicabile che
é determinato dalla compatibilità della lotta di classe con il
permanere del sistema di dominazione e sfruttamento. Oltre quel limite oggi
c'è il nulla della distruzione ma soprattutto c'è il nulla di
un'idea di socialismo che si vuole morta.
Fino a quando non riusciremo a rendere l'idea della rivoluzione non solo
possibile ma soprattutto desiderabile il nostro ruolo, oggettivamente,
potrà essere solo quello della sinistra socialdemocratica, di una
sinistra che, per quanto radicale ed antagonista, ha il limite invalicabile
della compatibilità con il sistema.
Oltrepassare questo limite é il nostro compito storico, per dirla con il
buon Malatesta: ... gli uomini, volendo e sapendo, possono mettere fine ai mali
sociali che li affliggono.
Afone Oscar
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