Da "Umanità Nova" n.4 del 6 febbraio 2000
Intervista ad un compagno del Molino di Lugano
La protesta globale a Davos
Il Forum Economico Mondiale giunto quest'anno al suo
trentesimo appuntamento si prefiggeva che "nel XXI secolo l'economia e la
politica diventino più rispettosi dell'ambiente, più sociali e
più umani. (...) Lo spirito di Davos vuole porre le basi per un mondo
migliore, operando in modo costruttivo e non distruttivo e demagogico.
Perciò le discussioni di quest'anno verteranno sul tema
dell'umanizzazione della globalizzazione". Questa dichiarazione comparsa su
diversi quotidiani svizzeri del 30 gennaio 1999 riassume la volontà di
ricoprire con una patina buonista le attività del WEF, organismo che
raccoglie 2000 partecipanti autonominatisi "global leaders" i cui incontri
mirano a promuovere contatti informali tra lobby economiche e dirigenti
politici, ordire programmi di sfruttamento internazionali a suon di miliardi e
prendere decisioni di vasta portata senza consultare i diretti interessati.
In genere il forum vero e proprio non è che una vetrina in cui i vari
leader fanno dichiarazioni di principio (quest'anno per la prima volta è
intervenuto il presidente degli Stati Uniti) su questioni di interesse
generale. Dietro la vetrina scintillante allestita nella famosa località
sciistica di Davos vengono altresì stretti accordi, siglate intese,
programmati investimenti e politiche che si prefiggono l'ottimizzazione dei
profitti per i grandi e il conseguente peggioramento delle condizioni di vita
per miliardi di persone che probabilmente non hanno neppure mai sentito parlare
del WEF.
Quest'anno sia la vetrina, sia gli incontri di corridoio rappresentavano
un'occasione importante per i padroni del mondo, impegnati a riprendere il filo
dei negoziati rottosi a Seattle e, contemporaneamente, a dare una spolverata
all'immagine un po' offuscata durante l'incontro del Millennio dei primi di
dicembre.
Ma la rete di contatti, relazioni e coordinamenti rivelatasi capace di far
saltare il vertice di Seattle e l'anno precedente di organizzare le grandi
manifestazioni che in varie località del mondo erano riuscite a far
andare in soffitta il progetto del M.A.I. (Accordo Multilaterale sugli
Investimenti), anche a Davos è riuscita, nonostante la fitta nevicata e
l'ancor più fitta barriera poliziesca, a far sentire la propria voce, a
sconfiggere la finzione vergognosa dello "Spirito di Davos" tanto sbandierato
dagli organizzatori del Forum.
La manifestazione internazionale, che raccoglieva l'adesione di vari gruppi,
associazioni dalla Francia, dall'Italia, dalla Germania e dalla stessa Svizzera
era stata vietata dalle autorità del cantone dei Grigioni, che avevano
minacciato l'intervento dell'esercito contro i manifestanti. I promotori
avevano deciso che il corteo si sarebbe svolto ugualmente.
Tra gli organizzatori erano i compagni del Centro Sociale "Il Molino" di
Lugano, che avevano preparato vari pullman e coordinato con i compagni
provenienti dall'Italia, dalla Francia e dalla Germania la partecipazione
all'iniziativa.
Abbiamo sentito telefonicamente un compagno del Molino reduce dalla
manifestazione che ci fatto una cronaca di quest'importante giornata di
lotta.
"I problemi sono cominciati sin dalla sera precedente la manifestazione,
perché la ditta da cui avevamo preso in affitto i pullman per Davos,
resasi conto che non eravamo sciatori in partenza per una vacanza sulle nevi,
hanno ritirato la disponibilità dei pullman. Per fortuna in serata siamo
riusciti ad affittarne degli altri. La mattina del sabato, verso le 8, siamo
partiti per Davos. Eravamo circa in 130. A Landquart avevamo appuntamento con
gli altri compagni ma i francesi non sono arrivati perché bloccati per
quattro ore dalla polizia a Ginevra. Ci raggiungeranno poi a Davos. A Klosters
siamo stati fermati dai poliziotti e quindici di noi sono stati identificati:
ci hanno anche dato fotocopia riproducente l'articolo 260 del Codice Civile
Svizzero che regolamenta le manifestazioni pubbliche. Arrivati a Davos ci siamo
diretti verso la sede del Forum e dopo 200 metri ci siamo trovati di fronte un
primo blocco di polizia che abbiamo superato senza troppe difficoltà;
fatti altri 400 metri ci siamo trovati di fronte un secondo blocco, piazzato a
circa 50 metri dall'hotel Seehos, dove erano alloggiati i partecipanti: Questo
secondo blocco era più deciso ma siamo riusciti e superarlo ugualmente e
ci siamo diretti verso il Palazzo dei Congressi dove ci aspettava un terzo
blocco che non siamo riusciti, malgrado ripetuti tentativi di forzarlo, a
superare.
Esponenti dei Verdi, Rifondazione e Confederation Paysanne hanno tentato
inutilmente una mediazione, fallita la quale il grosso del corteo si è
diretto all'hotel Seehos. Il gruppetto rimasto davanti al terzo blocco viene
colpito con proiettili di gomma e al pepe, intanto davanti all'albergo vengono
rovesciate le transenne (una vola contro una vetrata) e si tiene un'assemblea
con vari interventi. I media hanno riferito di un atteggiamento vandalico ma in
realtà l'unica azione è l'assalto al McDonald che esponeva uno
striscione con una scritta dal sapore provocatorio "pensare globalmente,
mangiare localmente": lo striscione viene strappato e dato alle fiamme. Palle
di neve sono state lanciate contro la polizia.
Sul piano politico la manifestazione è pienamente riuscita nell'intento
comune a tutti i manifestanti di smascherare "lo spirito di Davos", ossia la
facciata buona della globalizzazione in cui i potenti si rendono disponibili
alla risoluzione dei problemi del pianeta. Costoro non rappresentano nessuno e
non hanno legittimità a parlare a nome degli altri. Clinton parla in
pubblico di umanizzazione, dichiara di volersi far carico di coloro che vivono
con un dollaro al giorno, mentre su un piano ben più concreto gli USA e
la Svizzera hanno siglato un accordo in materia di proprietà
intellettuale e biotecnologie. Il vero scopo, al di là delle
dichiarazioni ufficiali, è riprendere il cammino interrotto a Seattle.
Non si può mica credere che governanti, capitalisti, militari,
economisti si trovino per fare gli interessi di tutti. Bisognava denunciare
tutto questo, smascherare la falsità dei "word players". Sulle
modalità di lotta c'erano posizioni diversificate, che però non
sono entrate in conflitto. L'importante era far sentire loro il fiato sul
collo: siamo riusciti."
Ci salutiamo con il compagno del Molino, dandoci appuntamento per il prossimo
incontro del WTO.
Red. To
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