|
Da "Umanità Nova" n.6 del 20 febbraio 2000
La voce dei lettori
"Missione Arcobaleno: botta e risposta
A proposito di Missione Arcobaleno
La lettera che segue interviene in merito all'articolo di A. Ruberti "Un
Arcobaleno di vergogna" pubblicato su UN 4 del 6 febbraio 2000: la pubblichiamo
con una risposta dello stesso Ruberti.
Mi chiamo Ilaria ,sono studentessa di architettura e faccio la mia tesi in un
paesino a sud di Durazzo. Ero in Albania quando la missione Arcobaleno aveva
già costruito i campi e accoglieva i kosovari profughi.
Se posso dirvi quel che penso, vi dico che quella gente ha lavorato bene (per
quel che ho visto) e credo che i kosovari accolti non mi smentirebbero. Sempre
meglio degli emirati arabi che distribuivano corani e poco cibo. Sempre meglio
delle istituzioni locali albanesi che lasciavano quella gente ammassata negli
stadi, senza nemmeno i materassi.
L'Albania è un paese dove i nostri cazzi di parametri
funzional-logistici, se ne vanno tutti a fare in culo. Quella gente ha fame,
è indurita, non ha il senso dello stato, è capace di mettere
qualunque missione occidentale in difficoltà.
Noi siamo stati molto bravi a pagare il pizzo e sdoganare i containers. I
bacchettonissimi nordeuropei che eticamente trovavano inammissibile pagare un
pizzo agli albanesi per sdoganare gli aiuti, hanno lasciato marcire parecchi
più aiuti di noi.
Io arcobaleno non la condivido perché è l'altra faccia delle
bombe Nato, non per quelle minchiate che si dicono in tv di questi tempi. Che
l'inquisitissimo protettore civile si sia messo dei soldi in tasca o meno,
questo non lo so. Il mio capo l'ha conosciuto e dice che sarebbe capacissimo.
So anche che a Valona non ci si può comportare come a Milano. Ho visto
la Caritas rifiutarsi di distribuire gli aiuti agli albanesi, solo
perché non erano profughi kosovari.
Quelli si erano fatti dare le tessere dai kosovari rientrati in Kosovo, dopo
che li avevano ospitati per mesi nelle loro misere case. Io quando quelli della
Caritas non mi vedevano distribuivo tutto quello che riuscivo a dare. Quelli
avevano più fame dei profughi.
Caro A. Ruberti, cara redazione di Umanità Nova, occhio a non cadere nei
cazzutissimi luoghi comuni della stampa becera.
vi abbraccio,
Ilaria Gabbi
Nel suo intervento Ilaria affronta, in maniera largamente condivisibile, una
parte delle questioni legate alla "Missione Arcobaleno". Non siamo i
bacchettoni gerarchizzati della Caritas e non ci scandalizziamo nel sapere che
una parte degli aiuti sono andati a dei poveracci albanesi. Anzi, francamente,
ci fa piacere. Non ci scandalizziamo neppure nel vedere il saccheggio del campo
di Valona, fatto in gran parte da povera gente che ha cercato di arraffare
quanto era possibile. Ci scandalizziamo invece di fronte ai 915 contenitori
pieni di aiuti rimasti a marcire nel porto di Bari. Ci scandalizziamo di fronte
allo scempio fatto alla base di Comiso. Ci scandalizziamo nel sapere che per
costruire il campo di Valona è stato speso quattro volte di più
di quanto era servito per costruire il campo di Kukes 1, anche se questo era
molto più grande. Ci scandalizziamo e consideriamo vergognoso
l'atteggiamento del "protettore civile" Barberi, come lo definisce Ilaria, che,
con il sostegno dei suoi sponsor politici (D'Alema e Jervolino), ha cercato di
insabbiare le porcherie compiute nella gestione di questa missione. Una
missione, che come tutte le missioni umanitarie volute dagli Stati in questi
ultimi 25 anni, è stata solo un modo più furbo per coprire
volontà egemoniche e imperialiste. I non più giovani ricordano
che nell'estate del 1978 l'Italia inviò due navi militari italiane nel
mar della Cina per recuperare i profughi vietnamiti. Ebbene quella spedizione
fu propagandata come missione umanitaria, mentre in realtà era solo il
primo passo della politica interventista e militarista a tutto campo sviluppata
negli anni '80 e giunta a completa maturazione nella seconda metà degli
anni '90. Quindi cara Ilaria, la nostra condanna della Missione Arcobaleno
è, esattamente come dici tu, la condanna dell'"l'altra faccia delle
bombe Nato". Siamo convintissimi che tanti volontari hanno fatto un ottimo
lavoro per alleviare le sofferenze dei deportati kosovari (e delle popolazioni
albanesi). Da parte nostra abbiamo cercato di fare quanto già facemmo ai
tempi della guerra in Bosnia quando la FAI si fece promotrice in Italia di una
raccolta internazionale di fondi destinati alla città "multietnica" di
Tuzla: sostenere quanti, come ad esempio "Medici senza frontiere", hanno
rifiutato di collaborare con gli Stati che da una parte offrivano "aiuti
umanitari" e dall'altra portavano terrore e distruzione in Serbia e Kosovo.
A. Ruberti
| |