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Da "Umanità Nova" n.7 del 27 febbraio 2000

Riflessioni su Haider e dintorni
Le seduzioni del populismo

Il grande successo elettorale di Jörg Haider e del suo partito ha scatenato una vera e propria levata di scudi contro l'ingresso in un governo europeo di "neo-nazisti", così come vengono definiti il leader carinziano e i suoi amici del Fpö (Partito della Libertà). Se ne è parlato molto e se ne continua a parlare, l'Unione europea ha ammorbidito le sue posizioni di condanna, ma rimane il minacciato ostracismo all'Austria come deterrente contro scivolate "antidemocratiche" di Vienna. Siccome Umanità Nova ha già dedicato due articoli alla questione Haider e all'atteggiamento ipocrita delle democrazie europee ("Un nazista nell'Europa di Schengen", n.5 del 13/2/2000 e "Un immenso cimitero", n.6 del 20/2/2000) che in larga misura condivido, vorrei passare oltre, dopo aver rilevato, di passata, la straordinaria capacità delle democrazie borghesi dell'occidente industrializzato di espungere dal novero della normalità e dei comportamenti tollerati tutti gli sviluppi più conseguenti ed espliciti delle proprie politiche sociali ed economiche, specialmente quando si verificano a casa altrui. Tanto per intenderci un Bossi in casa è tollerato - anche perché può essere pedina fondamentale nelle contese elettorali - mentre all'estero diventa xenofobo, sciovinista, antidemocratico e sommamente pericoloso. Ma qui scivoliamo nelle ovvietà più assolute e conviene passare oltre.

Qualche breve riflessione di carattere più generale, invece, qui pare essere necessaria.

In primo luogo mi sembra che emerga con forza il problema dei nazionalismi in quanto contrappeso ideale non solo alla cosiddetta globalizzazione, ma anche alla particolare ridefinizione geo-politica di vaste aree che passa sia per la macroregionalizzazione che per l'espansione di zone d'influenza (economico-politica) di singoli capitalismi nazionali. Vedere una contraddizione tout-court tra questi vari fenomeni mi sembra singolare in quanto questi attengono piani diversi e attraversano tutte le sfumature dal prettamente economico al politico, al militare, e in quanto, al di là della contingente inconciliabilità, convivono in un grande processo di ristrutturazione capitalistica a livello mondiale. Continuare a contrapporre, come contraddizioni insanabili, nazionalismo a globalizzazione, così come, su un altro piano, liberismo e neo-welfarismo, mi sembra tutto sommato una scorciatoia che porta poco lontano.

In secondo luogo, direi che gli avvenimenti austriaci riportano in primo piano il problema, spesso irrisolto, a sinistra, della natura sociale dei movimenti di destra, anche quella più estrema. Nessun regime autoritario, fascista, sciovinista o quanto altro ci venga in mente, si è mai affermato senza ancorarsi - ancorché in modo distorto e malsano - a problemi reali, materiali di gran parte del corpo sociale, ivi comprese le massi popolari e considerevoli settori della working class. E qui non parlo di consenso elettorale semplicemente, né di pura acquiescenza, ma di una condivisione di fondo di alcuni punti di programma. La storia è piena di queste cose. L'antifascismo di prammatica - anche se condivisibile nei sentimenti, nelle motivazioni e negli intenti - riesce spesso ad occultare problemi di inadeguatezza di una prospettiva rivoluzionaria a radicarsi nel terreno di classe. Cosa che spesso un populismo demagogico di destra invece riesce purtroppo a fare.

Infine, in terzo luogo, mi pare che, paradossalmente, questi rigurgiti di destra estrema, antieuropeista, regionalista, particolaristica, gettino una luce un po' fosca sulla "seattlemania", ovvero sulla tendenza ad individuare un nuovo livello di scontro "internazionalista" contro la globalizzazione, ovvero nell'alleanza, pur contingente e temporanea, di tutti gli scontenti e di tutti gli incazzati contro i processi di concentrazione decisionale a livello planetario, siano essi i sindacalisti ultra-corporativi e conservatori dell'AFL-CIO, ambientalisti di varia natura, gruppi pacifisti religiosi, piccoli agricoltori o compagni di varie estrazione. Se al prossimo appuntamento contro il G8 o il WTO troveremo Haider e soci qualche problema ce lo dovremo pure porre. Le motivazioni reali non sono un fattore secondario, se la lotta di classe non riassume tutta la sua centralità non ci sono escamotage che possano impedire ai mille rivoli, che confluiscono in appuntamenti come quello di Seattle, di ritornare a disperdersi senza lasciare traccia, ma solo un po' di confusione in più.

Doctor Invincibilis



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