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Da "Umanità Nova" n.7 del 27 febbraio 2000

inform@zione

Firenze: convegno contro gli inceneritori

Prima di tutto ridurre i rifiuti-stop agli inceneritori vecchi e nuovi
Oltre settanta tra comitati popolari ed associazioni ambientaliste provenienti da tutta Italia, riuniti a Firenze sabato 19 febbraio 2000 per l "Incontro nazionale sui rifiuti e contro le scelte inceneritoriste", hanno costituito il Coordinamento nazionale dei comitati e delle associazioni ambientaliste contro la politica di incenerimento dei rifiuti e le produzioni nocive, per la messa al bando delle sostanze nocive, in favore di concreti programmi di prevenzione, riduzione, recupero e riciclaggio.

Il Coordinamento ribadisce che l'incenerimento è il primo e più grosso ostacolo a riduzione, recupero, riciclaggio dei rifiuti e che, nonostante il gran parlare di un'Italia che ricicla, nella realtà sta andando avanti l'Italia che brucia!!

Il Coordinamento assume come punti fondamentali ed irrinunciabili:

* la centralità della salute umana, della sua tutela e della prevenzione sanitaria, che non possono in alcun modo essere sottomesse alle ragioni economiche e alle regole del Mercato. Gli effetti delle sostanze tossiche che escono dagli impianti di incenerimento e che si accumulano nelle matrici ambientali, nella catena alimentare e nel corpo umano (diossine, furani, metalli pesanti....), sono un ulteriore e pesante attacco alla salute umana e alla integrità degli ecosistemi e del territorio;

* una data certa per la dismissione degli impianti di incenerimento esistenti e l'immediato avvio di una approfondita e seria campagna di controlli sulle matrici ambientali di riferimento degli impianti in esercizio o dismessi, da parte delle varie Arpa e delle Usl competenti;

* l'opposizione a tutta la filiera dell'incenerimento (bricchettaggio, cdr = combustibile derivato da rifiuti, combustione di biomasse, processi di cocombustione in impianti non dedicati, riutilizzo delle centrali Enel...), un netto no alla costruzione di nuovi impianti di incenerimento di rifiuti, sia speciali che urbani, pericolosi e non pericolosi, e all'utilizzo del cdr in impianti industriali, a causa dei problemi sanitari ed economici che queste scelte comportano ; l'opposizione alla concezione ed alla pratica del sistema integrato, che privilegia nei fatti l'incenerimento;

* la preoccupazione per il proliferare delle procedure semplificate di autorizzazione per gli impianti di smaltimento, nonché per il rinvio dell'entrata in vigore del sistema tariffario sui rifiuti: il coordinamento chiede con forza la cancellazione delle procedure semplificate, nel segno della tutela della salute e di una reale ed operante democrazia;

* l'attivazione di concrete politiche di riduzione della produzione di merci superflue e/o dannose (ciò che non si può recuperare o riciclare non deve essere prodotto) e l'avvio, esteso a tutto il territorio nazionale, delle raccolte differenziate per frazioni omogenee con il sistema porta a porta (concretamente realizzabile e l'unico in grado di farci arrivare a percentuali del 60/70%), finalizzate al riciclaggio ed al recupero dei materiali. Ciò potrà essere raggiunto solamente bloccando le proroghe all'utilizzo delle discariche per rifiuti tal quali e utilizzando i fondi a disposizione del Conai;

* la centralità del recupero di materia, che non può essere messo sullo stesso piano del recupero di energia dai rifiuti, sia in ordine alle leggi della fisica e all'opzione ecologica, sia in riferimento alla precisa gerarchia imposta agli stati membri dalle direttive comunitarie; la centralità di politiche industriali per produzioni pulite e per aumentare il ciclo di vita dei prodotti;

* la necessità della proliferazione di una impiantistica "dolce": riciclerie, ecocentri, impianti di compostaggio delle frazioni umide, impianti di separazione del multimateriale; la necessità di far decollare l'industria del riciclo/recupero sia al centro-nord, che soprattutto al sud del paese. La mancanza di industrie che utilizzino carta, plastiche, ferro ecc. nel meridione, blocca nei fatti le azioni di recupero e riciclaggio;

* la denuncia del finanziamento previsto dal Ministero dell'Industria per impianti alimentati a cdr con recupero energetico, scelta economicamente insostenibile;

* la necessità di aprire iniziative, da parte dei comitati e delle associazioni, sul fronte dei rifiuti speciali (industriali, ospedalieri, agricoli ecc.), in risposta alle richieste già avanzate dagli industriali di aprire impianti di incenerimenti a piè di fabbrica in molte parti del paese;

* la necessità di sottoporre i piani regionali ed i piani provinciali o di ATO (Ambito territoriale ottimale) a procedure di valutazione strategica, cioè alla valutazione di impatto ambientale e sanitario non dei singoli impianti, ma delle scelte pianificatorie.

L'assemblea ha deciso :

- la costituzione di una rete nazionale di collegamento, di cooperazione reciproca e di mobilitazione, con l'apertura di un sito web e che ha già una posta elettronica reterifiuti@tiscalinet.it;

* la predisposizione di una piattaforma (carta di Firenze sui rifiuti) che sia la base per l'apertura di una vertenza nazionale rispetto all'attuale gestione dei rifiuti ed alla costruzione di impianti di incenerimento;

la promozione di una iniziativa nazionale e di iniziative pubbliche regionali e/o locali coordinate a livello nazionale.

Termini Imerese: chiuderà il centro di detenzione per immigrati?

A quanto pare, il Centro di Detenzione Temporanea di Termini Imerese sta per essere chiuso. A quanto pare, sarà sicuramente riaperto fra non molto dopo la ristrutturazione indispensabile a trasformarlo da capannone industriale in struttura carceraria che, per definizione ministeriale, carcere non è. In questo luogo sono state ospitate persone di diversa provenienza accomunate da un identico destino: accesso non autorizzato al patrio suolo. Insomma, clandestini. E mai come in questo caso, la Repubblica italiana è riuscita a dare il meglio di se: un grande paradosso dorato.

Già dorato. Ed ecco il perché. Nel gabbione di Termini Imerese sono state ospitate per un mese sessanta persone circa. Per ognuno di loro sono state spese quotidianamente più o meno centomila lire, cioè centottanta milioni, lira più, lira meno. La gestione di tutto questo ben di dio è stata data alla Croce Rossa Italiana ma nessuno riesce a capire come siano stati spesi. La maggior parte degli internati, infatti, erano sprovvisti delle comodità minime necessarie: vestiti pesanti, biancheria, scarpe. Ci si è limitati a passargli i pasti e, vista la cifra spesa, è ragionevole pensare che avranno pasteggiato tutti quanti, per un mese, a base di aragosta e vini di annata. D'altronde, come sappiamo bene, il nostro paese si è sempre dimostrato estremamente generoso con chi versa in stato di bisogno. Naturalmente, in questo conteggio assolutamente sommario, non sono considerate le cifre spese per ingabbiare di sbarre il fabbricato e neppure gli stipendi, le indennità di rischio e di trasferta del personale di sicurezza impegnato in questo specialissimo servizio. Alla data odierna e secondo quanto dichiarato da autorevolissime fonti, questo luogo di ordinaria repressione non dovrebbe più essere in funzione, ma non è detto che effettivamente non lo sia. Quasi sicuramente, però, sarà stato svuotato di tutti i suoi ospiti. È piacevole illudersi di avere contribuito a restituire la libertà a coloro che vi erano rinchiusi. In realtà le cose sono andate molto diversamente. Tutti gli internati, infatti, sono stati rilasciati solamente allo scadere del trentesimo giorno di non-detenzione, come previsto dalla legge, perché in caso contrario la Repubblica Italiana sarebbe incorsa nel reato di sequestro di persona e questo, ovviamente, non poteva permetterselo.

Sono stati rilasciati tutti quanti con un foglio di via, liberi di girovagare per l'Italia e per l'Europa senza alcun controllo ma, soprattutto, senza alcuna garanzia personale. Liberi di essere trasformati in carne da cannone dalla malavita organizzata e disorganizzata. Liberi di essere schiavizzati dal caporalato agricolo e industriale. Liberi di lasciarsi intrappolare dall'angoscia per un oscuro domani, dall'astio verso ciò che li circonda, da rancore per le ingiustizie che hanno subito dal momento dello sbarco a Trapani o altrove e fino al momento in cui gli hanno aperto le sbarre mettendogli in mano un foglio di via e dimenticandosi di mettergli le scarpe ai piedi.

I paradossi sono come le ciliegie, uno tira l'altro. E questo che segue potrebbe essere esilarante se non fosse tragico. La legge che regolamenta gli internamenti temporanei dei clandestini acconsente alla presenza e all'uso del telefono (questo luogo non è, infatti, lo ripetiamo, un carcere) ma nessuno si è mai preoccupato di fornir loro il modo di farlo. Non si è preoccupata di ciò neppure la Croce Rossa, neppure con le centomila lire al giorno spese per ognuno di loro.

Di queste persone, del loro conforto umano e materiale, delle loro necessità legali, si è presa carico una struttura che giuridicamente neppure esiste, il Coordinamento palermitano per la pace. I suoi componenti, autotassandosi, hanno acquistato decine di schede telefoniche. Sensibilizzando amici e parenti hanno raccolto ciò che era immediatamente utile: vestiti e scarpe. La disponibilità di alcuni avvocati ha permesso di sopperire le prime necessità legali e questo gratuitamente. Ma fino a quando sarà possibile continuare in questo modo?

Enzo Scimonelli



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