Da "Umanità Nova" n.8 del 5 marzo 2000
Adriatico
Il governo delle bombe
Lo scorso 19 febbraio un peschereccio di Chioggia ha pericolosamente "riempito"
le proprie reti di decine, forse cinquanta, bombe a frammentazione della NATO
pescate in una zona di mare neppure compresa tra quelle che secondo le
autorità militari sarebbero state usate per il rilascio degli ordigni non
sganciati sul territorio jugoslavo.
Si è trattato dell'ennesimo ritrovamento di questo tipo avvenuto dopo la
cosiddetta "bonifica" estiva da parte dei dragamine che, dall'inizio dell'anno,
hanno ripreso la loro attività, attività che peraltro appare poco
più che virtuale in quanto queste unità sono attrezzate per ricercare
e neutralizzare mine da fondo da una tonnellata e quindi del tutto inutili per
individuare le migliaia di piccole "cluster bomb" semisepolte tra la sabbia dei
bassi fondali adriatici.
Gli "incontri" con queste bombe sono, secondo le testimonianze dei
pescatori,ormai frequentissimi e spesso gli equipaggi per non perdere giornate
di lavoro sono costretti ad abbandonare sul posto le reti col loro carico
esplosivo, segnalandone la posizione con dei gavitelli ed avvisando
anonimamente via radio le autorità portuali.
Ma se nell'alto Adriatico i ritrovamenti risultano particolarmente frequenti a
causa della scarsa profondità, anche a sud siamo di fronte ad un autentico
bollettino di guerra con bombe segnalate a Porto S.Giorgio, Pescara, Termoli,
Lesina, Rodi Garganico, Calenella, Margherita di Savoia, Molfetta, Bari,
Brindisi, Cerano, Castro Marina e persino Gallipoli, dove D'Alema è solito
trascorrere le proprie vacanze.
Si tratta di una vera e propria emergenza e anche se il governo ha deciso di
riattivare una specifica unità di crisi, gravissimo è il grado di
disinformazione attorno a questi "effetti collaterali" della guerra; salvo
pochissimi tentativi di rompere il silenzio di regime (tra cui va senz'altro
citato il quotidiano "Liberazione") e le scarne cronache dei giornali locali
è praticamente impossibile avere un quadro complessivo della situazione.
A riguardo le responsabilità del governo risultano pesantissime, a partire
dai tentativi di tenere nascosta la notizia dell'esplosione di una "bomblet"
avvenuta il 10 maggio sul peschereccio "Profeta"e costata il gravissimo
ferimento del marittimo Gino Ballarin, ancora ricoverato in ospedale, e di
altri due pescatori di Chioggia.
Di fronte alla tragedia, il governo italiano affermava di non essere stato
informato delle operazioni di sgancio da parte dei bombardieri NATO, ma la cosa
appariva subito incredibile sia perchè tale prassi era sicuramente
applicata anche dai piloti italiani, sia perchè era lo stesso portavoce
militare dell'Alleanza, Walter Jertz, a dichiarare che le autorità
italiane erano "perfettamente informate", tanto più che già ai tempi
dei bombardamenti in Bosnia erano state compiute operazioni analoghe.
Per occultare quindi le dimensioni del disastro ambientale e della
pericolosità della situazione, iniziava una sistematica campagna di
minimizzazione che vedeva diverse dirette complicità, tra cui quella del
Ministero della Difesa, dei vertici della Marina Militare, della magistratura
militare (pronta ad archiviare già il 15 giugno un'inchiesta avviata dalla
procura di Padova), ma anche di alcune marinerie interessate soprattutto a
"monetizzare" il loro rischio e delle amministrazioni comunali della riviera
adriatica, preoccupate in primo luogo delle "ricadute" sul turismo balneare.
A più riprese, sul finire dell'estate, le autorità militari e
governative fornivano alcune cifre -peraltro contraddittorie- riguardanti il
numero degli ordigni individuati e fatti brillare durante la "bonifica", ma
nessuna informazione ufficiale veniva data sul numero complessivo delle bombe e
dei missili sganciati dagli aerei Nato (dato sicuramente in possesso dei
comandi) nè sulla loro tipologia e sul tipo di "caricamento" (uranio
impoverito, fosforo, tritolo...).
A completare il quadro, veniva quindi opposto il secreto di Stato davanti alle
richieste di documenti militari NATO avanzate dal giudice Muccilli di Venezia
che, dopo aver inizialmente avallato il depistaggio secondo cui si trattava di
residuati della Seconda guerra mondiale, ha aperto un altro procedimento.
Quali ultimi atti di questa strategia vanno quindi registrate le dichiarazioni
dello stesso D'Alema ad Ancona del 12 febbraio, largamente evidenziate
dall'informazione televisiva e stampata, secondo cui oltre 64 mila ordigni
sarebbero stati recuperati dalla Marina Militare nell'Adriatico dal settembre
del `96 ad oggi ma che di questi soltanto "alcune decine" riguarderebbero la
guerra in Kosovo; inoltre il verde Ministro all'Ambiente Ronchi si è
premurato di ordinare un monitoraggio degli ordigni chimici e convenzionali,
sempre risalenti alla Seconda guerra mondiale, che ancora giacciono nelle acque
pugliesi.
Di questo passo, si può stare certi, scopriremo che il DC-9 di Ustica fu
abbattuto da uno kamikaze giapponese e che il Moby Prince fu silurato da un
U-Boot tedesco.
Corrispondenza da Venezia
PS A dare i numeri non c'è soltanto il governo, infatti su "Il
Manifesto" del 24 febbraio veniva data dopo 4 giorni la notizia dell'ultimo
ritrovamento al largo di Chioggia, relativo ad una cinquantina di piccole
"bomblet"; ma il cialtronissimo cronista, confondendole con i loro contenitori
- cluster che ne contengono 200 l'uno, arrivava alla conclusione che nelle reti
del peschereccio "El Moro" erano rimaste 10.000 (diecimila!) bombe a
frammentazione.
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