![]() Da "Umanità Nova" n.8 del 5 marzo 2000 Nuovi matti e vecchi psichiatriLa chiusura definitiva dell'ex O.P. di Collegno (e degli altri analoghi sparsi per la penisola) alla fine del 1998 aveva suscitato in molti la speranza della chiusura definitiva di quel terribile capitolo della storia delle istituzioni totali che risponde al nome di manicomializzazione. In realtà l'atto ufficiale della chiusura degli Ospedali Psichiatrici altro non è stato che l'ultimo atto della rivincita degli psichiatri su quelle forze e quelle intelligenze che nel corso degli anni Settanta avevano combattuto e vinto la loro battaglia per liberare dall'internamento gli infelici ospiti dei manicomi. All'epoca l'avvio di massicce dismissioni di utenti e la chiusura della struttura manicomiale intesa in senso stretto, avevano costretto le grandi baronie mediche del settore ad abbandonare sia pure parzialmente il controllo sulla fabbrica della follia e ad aprirsi alla collaborazione con soggetti che basavano il loro lavoro con gli utenti psichiatrici, non sulla sedazione e l'internamento, ma su una prospettiva di reinserimento. Questi soggetti, per lo più non professionali, sfuggivano di fatto a un controllo rigoroso da parte degli psichiatri sul loro lavoro. D'altra parte avevano la convenienza di costare poco per l'amministrazione, essendo sostanzialmente soggetti economicamente deboli e tendenzialmente flessibili nell'erogazione della prestazione lavorativa. A cavallo degli anni Ottanta si avviò quindi la stagione dell'esternalizzazione del lavoro assistenziale nel campo della psichiatria verso le cooperative sociali. Nel corso degli anni questa situazione è sostanzialmente cambiata, laddove da un lato le cooperative sociali, comprimendo sempre di più autonomia e reddito dei loro lavoratori, sono diventate nei fatti la stampella sostitutiva del welfare assistenziale in via di smantellamento, mentre dall'altra il Ministero della Sanità riorganizzava l'intero settore proponendosi di riprendere il controllo sulle funzioni assistenziali ed educative alle quali aveva dovuto parzialmente abdicare. La riorganizzazione del settore passa attraverso due processi ben distinti: da un lato le singole USL, comprese le USL speciali alle quali era stata attribuita la responsabilità degli ex degenti degli O.P., vengono rese autonome sul piano finanziario, e quindi costrette a confrontarsi con il vincolo di bilancio prima di procedere al finanziamento delle varie convenzioni e appalti esterni, dall'altro viene delegato alle Regioni il riordino del settore assistenziale su due direttive di fondo, ossia il contenimento dei costi e la normazione del lavoro assistenziale sotto stretto controllo medico. Si arriva così alla situazione attuale dove la Regione Piemonte ha individuato una serie di strutture come le Residenze Assistenziali Flessibili (le RAF), le Comunità Alloggio, le Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) e le Residenze Integrate Socio Sanitarie (RISS). Queste strutture sono quelle che sostituiscono le vecchie Comunità alloggio con non poche differenze peggiorative nel loro funzionamento; in primo luogo l'intervento del personale educativo viene ridotto al minimo (la delibera regionale specifica un numero di educatori pari a uno ogni cinque ospiti), l'attenzione si sposta principalmente sull'assistenza igienico-sanitaria e sulla sorveglianza degli ospiti; nel caso delle strutture per anziani non autosufficienti dove un certo numero di ex degenti O.P. verrà riciclata si arriva addirittura a un rapporto di 3 operatori per 10 utenti. In secondo luogo si riscoprono dimensioni da piccolo manicomio con la prospettiva di costruire strutture da 20-25 posti, fino ad arrivare ai 60 posti delle strutture per anziani. In terzo luogo vengono create delle strutture protette all'interno delle comunità sotto diretta gestione degli psichiatri di riferimento delle varie ASL, gestite e controllate da personale medico infermieristico e sottratte totalmente al lavoro educativo. In quarto luogo viene sottolineata la funzione fondamentale delle strutture mediche nel controllo delle strutture assistenziali così definite: i primari di psichiatria perdono la caratteristica di referenti istituzionali degli utenti per quanto riguarda la loro salute psichica, e diventano i controllori dell'insieme della vita dell'utente, subordinando a loro la funzione educativa e assumendo di fatto il controllo assoluto sul lavoro degli educatori. Educatori che, in questo modo, perdono ogni autonomia nello svolgimento della loro opera, per diventare meri esecutori dei compiti impartitigli dallo psichiatra. Accanto a questa riorganizzazione strutturale ne viene svolta un'altra sul piano della tipologia dell'utenza: servendosi di scale cervellotiche gli utenti dei vari servizi di igiene mentali sono stati riclassificati o come utenti psichiatrici, oppure come utenti del settore handicap. In questo modo centinaia di persone in carico da anni ai sevizi psichiatrici (o addirittura con anni di manicomializzazione alle spalle) sono stati riclassificati da un giorno all'altro come handicappati. Il motivo di questo scempio è presto detto: la retta assistenziale degli utenti psichiatrici è interamente a carico delle ASL, mentre quella dei portatori di handicap è in parti uguali a carico delle ASL e dei consorzi socio assistenziali dei vari comuni. In pratica queste persone sono diventate carne di porco all'interno della risistemazione dei conti delle varie strutture pubbliche dell'assistenza, risistemazione basata sostanzialmente su un colossale meccanismo di partite di giro per cui ogni Ente, ormai autonomo sul piano finanziario, cerca di scaricare quanti più costi possibili su di un altro. Per finire si deve segnalare che la soppressine dell'ASL speciale di Collegno, incaricata di occuparsi degli ex utenti dell'O.P. ha creato una serie di situazioni paradossali: questi ex utenti sono stati infatti rilocalizzati alle ASL di provenienza. Per provenienza si intende il loro luogo di residenza prima dell'internamento avvenuto spesso in giovane età. La conseguenza di questa rilocalizzazione è stata una corsa spasmodica delle varie ASL, che si sono di colpo trovate un discreto numero di utenti in più (con relative rette da pagare), a riclassificare gli utenti nell'handicap, o a ricontrattare le rette e i progetti esistenti su queste persone. In definitiva la ristrutturazione del settore psichiatrico viaggia nel senso della ricostruzione di forme manicomiali, sia pure non concentrate ma diffuse sul territorio, demolendo il lavoro educativo svolto in questi anni da centinaia di operatori del settore per sostituirlo con il controllo medico e infermieristico di queste persone. Per loro, e per i nuovi matti chiamati fin da subito a provare le delizie del nuovo sistema assistenziale, le prospettive non sono rosee: riduzione del lavoro educativo, esaltazione del lavoro puramente medico infermieristico (leggi sedazione coatta e sperimentazione farmacologica senza alcun controllo), soddisfazione esclusiva di bisogni primari senza nessun interesse per la complessità della persona e i suoi bisogni affettivi e relazionali. Per quanto riguarda gli educatori le prospettive non sono migliori, se infatti per alcuni anni molti operatori del settore hanno scambiato una condizione precaria sul piano del reddito con una relativamente alta autonomia del proprio lavoro, oggi con il ritorno della prevalenza assoluta degli psichiatri, anche questo aspetto viene a cadere senza che, beninteso, ci siano miglioramenti anche minimi sul piano retributivo. Inoltre la progressiva riduzione del rapporto numerico educatore-utente porterà progressivamente alla riduzione dei posti di lavoro nel settore, per lasciare spazio a figure esclusivamente assistenziali, pagate per intenderci per distribuire pasti, rifare letti e pulire culi, quando non al volontariato. Per chiudere l'individuazione da parte del Ministero delle norme per ottenere la qualifica di educatore (magari per operatori che non hanno alcuna qualifica ma che da anni si sono formati direttamente sul campo) sono particolarmente punitive per coloro che non hanno alcun riconoscimento formale della propria professionalità. In questo caso un'esigenza giusta come quella di ordinare un mercato del lavoro selvaggio e iperflessibile, si risolve in norme che danneggiano chi da anni lavora in un settore difficile e a scarsa redditività personale. Nel futuro chi lavora da educatore si dovrà infatti preparare a lavorare sotto controllo, in un numero sempre minore, e nel frattempo a pagarsi e frequentare corsi su corsi che gli permettano di non essere espulso da questo mercato del lavoro. In definitiva, a 22 anni dalla legge 180, possiamo tranquillamente affermare che ogni tentativo di sostituire la logica dell'istituzione totale con un lavoro educativo di servizio alla persona sofferente ha ormai un discreto futuro alle sue spalle. I diritti negati nel manicomio, e parzialmente affermati per una breve stagione stanno tornando ad essere quello che erano prima: materiale per innocue e insopportabili elucubrazioni retoriche. Giacomo Catrame
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