Da "Umanità Nova" n.9 del 12 marzo 2000
Nel paese dei reticolati
La terrificante normalità dei lager per immigrati
Conoscendo, attraverso la memoria dei sopravvissuti, la realtà dei LAGER
nazisti confesso di aver provato un certo pudore nell'usare questa definizione
per gli infami campi di detenzione per immigrati, ma allo stesso tempo sono
giunto alla conclusione che la logica ultima che sta dietro queste due forme di
detenzione non sia molto diversa, ma per quanto riguarda il presente non si
può certo parlare di strutture di annientamento fisico, anche se
purtroppo ci sono già state troppe vittime.
I lager nazisti furono "inaugurati" pochi anni dopo l'avvento di Hitler al
potere per segrgarvi i dissidenti politici, quindi col passare del tempo
avrebbero visto la prigionia, il lavoro forzato e lo sterminio di altre
categorie (ebrei, zingari, asociali, omosessuali, criminali comuni, resistenti,
prigionieri di guerra, etc.), divenendo non soltanto delle fabbriche di morte,
ma rappresentando una realtà la cui terrificante eccezionalità
può essere considerata il negativo dell'immagine di ordine
normalità, benessere, sani costumi morali che il regime offriva della
società tedesca.
Questo al di là dei milioni di assassinati, è l'aspetto forse
più inquietante di questa pagina di storia; a poca distanza dai
reticolati elettrificati dove sovente gli internati si gettavano per farla
finita, vi erano famiglie comuni che vivevano serenamente in amene casette coi
gerani ai balconi e gli stessi aguzzini del kampo alla sera tornavano in questa
dimensione come degli onesti lavoratori e degli affettuosi padri di famiglia.
Quando alla fine della guerra, alcuni di loro hanno dovuto render conto delle
proprie responsabilità invariabilmente hanno risposto che avevano
soltanto ubbidito a degli ordini superiori ed ancora oggi in molti partecipano
ai vari raduni delle SS come dei reduci qualsiasi; sono gli stessi che il sig,
Haider definisce "gente decente".
Tale separazione, pur con dovute differenze, la ritroviamo oggi in quel "paese
normale" che è il paese di D'Alema e Berlusconi.
Avvengono fatti oggettivamente non-normali ai danni di altri esseri umani,
fatti che scivolano nell'indifferenza e nella de-responsabilizzazione
collettiva, che vanno dalla strage del Canale di Otranto ai bombardamenti
"umanitari" in Kosovo, dalle continue persecuzioni poliziesche contro le
minoranze rom e sinti all'istituzione dei centri di detenzione dove gli
immigrati "irregolari" sono privati delle più elementari libertà
e sottoposti alle angherie di coloro che sono preposti al rispetto della
cosiddetta legalità.
Riguardo il destino di queste strutture, contrastate da forti mobilitazioni su
tutto il territorio, in molti si stanno interrogando sulle future decisioni del
governo che evidentemente si trova a dover affrontare almeno due problemi.
Da un lato, la politica sulla limitazione e la programmazione dei flussi
migratori previsti a livello europeo dal Trattato di Schengen produce essa
stessa clandestinità e misure di polizia volte a rastrellare,
imprigionare e rimpatriare quanti non rientrano in tale pianificazione; da un
altro lato, lo scandalo rappresentato da questi campi di concentramento ha
finito per mettere in luce la situazione complessiva di discriminazione vissuta
in Italia dagli immigrati, sviluppando informazione, solidarietà e
autorganizzazione.
Per cui, in buona sostanza, D'Alema e i suoi ministri competenti si trovano
nella necessità di elaborare una soluzione "politica" che permetta di
continuare a svolgere i compiti di polizia "di frontiera" assegnanti all'Italia
dall'Europa, evitando dissensi nell'elettorato democratico, problemi per
l'ordine pubblico e, soprattutto, che a partire da questa vergogna si rafforzi
l'opposizione sociale antigovernativa.
Le possibilità a loro disposizione sono poche, innanzitutto, ritenuti i
kampi un "male necessario" (parole del sottosegretario agli Interni Maritati),
non è pensabile che il governo decida una loro chiusura, mentre invece
è molto più probabile che decida di decentrare il più
possibile tale sistema di detenzione, attraverso un maggior numero di strutture
con dimensioni meno appariscenti, tali da essere meno visibili e più
facilmente gestibili. A conferma di tale indirizzo c'è già
l'annuncio del Ministero dell'Interno riguardo la prossima apertura di altre 3
nuove strutture (per un totale, se non andiamo errati, di 15 "centri"), ma
soprattutto ci sono notizie raccolte da compagni e associazioni in varie zone
d'Italia sull'individuazione di ulteriori strutture da adibire a questo scopo
da parte delle autorità competenti.
Inserito in tale strategia appare inoltre il progetto di aprire centri di
detenzione direttamente in Albania, con personale poliziesco di questo paese e
finanziamenti italiani (si vocifera di uno stanziamenti di 16 miliardi), come
anche di recente confermato dal Ministero dell'Interno.
Coerentemente con questa logica, inoltre assumerà grande importanza il
coinvolgimento nella gestione di tale strutture di personale civile messo a
disposizione dalla Croce Rossa o dalla caritas, ma anche di settori del
volontariato "di sinistra", col preciso scopo di "umanizzare" la permanenza
degli extracomunitari in attesa di espulsione, mentre la vigilanza esterna
continuerà ad essere garantita dalle forze dell'ordine, con una
divisione di compiti che non può non ricordare quelli assegnati a
kapò ed SS.
Chissà se i sostenitori del "Piccolo è bello" avevano previsto
una simile applicazione della loro teoria.
KAS.
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