Da "Umanità Nova" n.9 del 12 marzo 2000
Pari e dispari
Finanziamento alle scuole private
Mentre ancora non sa come affrontare l'opposizione degli insegnanti al concorso
che avrebbe dovuto dividerli in salvati e sommersi e come, di conseguenza,
gestire il contratto che vede nel concorso la sua spina dorsale, il governo ha
provveduto a portare a termine la tanto allunga attesa, o contrastata,
parità scolastica.
Un esempio, a dir poco, evidente dell'autonomia delle istituzioni rispetto ai
movimenti del corpo sociale che pure pretendono di rappresentare. A questo
proposito, si potrebbe dire che le istituzioni selezionano le pressioni sociali
e riconoscono quelle che ritengono più forti e compatibili con il
progetto di scuola, e di società, che intendono realizzare.
Ritengo che la parità scolastica vada valutata da diversi punti di
vista. Il primo, e più evidente, è l'equilibrio interno al
sottosistema politico. Sin da quando si è costituita l'alleanza di
centro sinistra si era impegnata per la parità scolastica come prezzo da
pagare, non il solo ma il più significativo, all'arruolamento di settori
postdemocristiani. Abbiamo la conferma di come fosse preveggente la battuta di
chi riteneva che solo un governo di sinistra avrebbe realizzato quello che la
DC non aveva potuto fare in oltre quaranta anni di governo.
Nel corso degli anni passati la pressione delle gerarchie ecclesiastiche per
ottenere la parità scolastica è cresciuta sino ad assumere toni
irosi e aggressivi a fronte di una relativa lentezza del governo nel mantenere
le promesse fattele. Le ragioni di questa pressione sono note, il relativo
impoverimento di ampi settori delle classi medie e la crisi delle vocazioni che
sottraggono alle scuole private cattoliche la risorsa costituita dal personale
religioso stavano mettendo in crisi la scuola cattolica e, di conseguenza, la
loro salvezza è legata a finanziamenti pubblici di una qualche
consistenza. Prima delle elezioni regionali il governo ha dovuto chiudere,
provvisoriamente, la partita e garantire risorse di una certa consistenza alle
scuole private.
La chiesa ha, in questa offensiva, un alleato di tutto rispetto nel padronato
che, pur non avendo interessi immediati di pari consistenza nella scuola
privata, guarda al settore della formazione con forte interesse.
Abbiamo più volte fatto rilevare che la Confindustria è
interessata ad introdurre nella scuola pubblica criteri di gestione
privatistici più che ad aprire scuole private ma fra i due obiettivi non
vi è contraddizione ed anzi si integrano perfettamente. Se si accetta il
principio che il sistema scolastico si compone di un settore pubblico e di uno
privato di pari dignità ne consegue che potranno più facilmente
sorgere scuole private di carattere imprenditoriale e, soprattutto, che la
mutazione in senso imprenditoriale della scuola pubblica non potrà che
subire un'accelerazione.
Tenendo fermo che il partito della scuola privata ha ottenuto una netta
vittoria, si possono comprendere le orribili lamentele dei suoi sostenitori.
Effettivamente, dal loro punto di vista, le concessioni economiche ottenute
dalla scuola privata sono inadeguate rispetto al fine di garantirne la vita e
lo sviluppo. La destra, comprensibilmente, cavalca questo scontento, denuncia
la tirchieria del governo, promette che farà di meglio e di più
per la scuola privata. Da questo punto di vista il governo si trova stretto fra
necessità e pressioni difficilmente componibili. Una concessione di
risorse dell'ordine di quello richiesto dal partito della scuola privata
avrebbe comportata una crescita delle uscite decisamente notevole proprio
mentre il movimento degli insegnanti denunciava la scarsità degli
investimenti nella scuola pubblica e poneva con forza richieste di reali
aumenti delle retribuzioni.
Il governo, insomma, rischia di scontentare tutti e di portare a casa solo un
provvisorio, molto provvisorio, compattamento della maggioranza che lo sostiene
e la benevola neutralità della chiesa in campagna elettorale.
D'altro canto, i settori più ragionevoli del clero riconoscono che la
strada è aperta, che il principio della parità è passato,
che la pressione per l'accrescimento dei finanziamenti pubblici alla scuola
privata potrà ottenere risultati migliori, dal loro punto di vista, e
che vi è una differenza notevole fra la pressione per la parità e
quella per rendere la parità, come dire?, pienamente operante.
Dal nostro punto di vista ritengo che l'accento vada posto sulle
possibilità che apre l'attuale movimento dei lavoratori della scuola.
Come già si è fatto rilevare, questo movimento è unificato
da un obiettivo limitato e preciso e cioè dall'opposizione al concorso
ma quest'opposizione rimanda direttamente a quella al contratto, al rifiuto
dell'aziendalizzazione della scuola, alla richiesta di risorse per la scuola
pubblica.
è, di conseguenza, possibile, non scontato, che la parità
scolastica faccia fare un salto di qualità al movimento dei lavoratori
della scuola e lo ponga dinanzi alla necessità di articolare in maniera
più puntuale le proprie proposte.
In questo dibattito l'accento va posto sul fatto che la scuola pubblica per la
quale vale la pena di battersi non è questa scuola. Dobbiamo
affermare con chiarezza che una scuola effettivamente pubblica deve:
- garantire il diritto ad una formazione completa a tutti i giovani e, di
conseguenza, prevedere forme di presalario per gli studenti a più basso
reddito;
- favorire forme effettive di autogoverno dei soggetti coinvolti nella
formazione, un'autonomia scolastica che non sia aziendalizzazione;
- essere luogo di libertà di ricerca e di sperimentazione contro ogni
didattica di stato ed ogni riduzione della formazione ad addestramento
aziendale.
Su questi temi e su altri la discussione nelle prossime settimane sarà
vivace, si tratta di legarla a forme di azione efficaci e vincenti.
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