Da "Umanità Nova" n.9 del 12 marzo 2000 Spirito dei tempiIl secolo che muore non genera attese millenaristiche, anzi. Il Novecento, il secolo breve, viene rappresentato come il secolo degli stermini e dei totalitarismi, stermini e totalitarismi generati proprio dalle attese millenaristiche; questa visione viene fatta propria anche dal movimento operaio, che sembra allontanarsi da ogni aspettativa di trasformazione sociale.
Il secolo del totalitarismo Definire il '900 come il secolo del totalitarismo significa operare una mistificazione storica. In realtà questo secolo è stato dominato dalla ribellione del proletariato contro lo Stato, per il superamento del capitalismo. Se il '900 è stato il secolo del totalitarismo, che cosa bisogna dire dei secoli nei quali dominava lo Stato assoluto, la monarchia di diritto divino, l'oscurantismo religioso? Sicuramente in questo periodo è stata maggiore l'attenzione per i temi della libertà individuale e della libertà politica, e quindi sono stati più sentiti gli attacchi dei vari Governi. A questa sensibilità non è stata estranea lo sviluppo della soggettività delle classi subalterne, di una presenza politica autonoma del proletariato, della "coscienza di classe". Se il XIX secolo ha visto comparire la "questione sociale" è la prima rivoluzione proletaria con la Comune di Parigi, e nel secolo seguente che lo scontro tra proletariato rivoluzionario e Stato assume una dimensione planetaria. Dalla Cina alla Spagna, dall'Ungheria al Messico, a scandire il passare del tempo è stato l'alterno andamento dello scontro di classe, più o meno cruento. È stato nel '900 che il progresso si è sempre più identificato con il superamento del capitalismo, l'abolizione della proprietà privata e dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
Rivoluzione e totalitarismo Incapace di soffocare definitivamente la rivoluzione proletaria, la borghesia ne ha fatto una caricatura e poi l'ha esibita agli sfruttati, proclamando che ogni tentativo di superare il suo dominio avrebbe portato al totalitarismo. Purtroppo questa propaganda ha avuto successo anche fra gli oppositori dell'ordine esistente ed oggi molti, che si ritengono rivoluzionari nei rapporti interpersonali o nel sociale, si ritraggono inorriditi quando si parla di rivoluzione politica e di insurrezione. In realtà, proprio la storia del ventesimo secolo dimostra che sono le rivoluzioni lasciate a metà che conducono alle dittature; o perché i governanti temporaneamente sconfitti riconquistano il potere e, come diceva Malatesta, fanno pagare a lacrime di sangue ai proletari la paura passata; oppure perché i nuovi governanti portati al potere dalla rivoluzione, finiscono per soffocarla con la scusa di difenderla. Questo e quanto si è verificato nella rivoluzione russa, ed è proprio sfruttando l'operato dei bolscevichi per la conquista del potere, che la borghesia ha costruito la propria caricatura della rivoluzione proletaria.
La crisi dell'ideologia rivoluzionaria Alcuni ritengono che la fine dell'egemonia "marxista" sul movimento operaio, egemonia che aveva fatto dell'attesa della rivoluzione un elemento portante, sia un segno della crisi dell'iniziativa rivoluzionaria in genere e dell'accentuato controllo ideologico della borghesia sulla classe. In realtà, quella che e andata in frantumi e la caricatura bolscevica della rivoluzione proletaria, caricatura spesso favorita nel suo affermarsi dagli stessi partiti e governi borghesi. La fine dell'attesa rivoluzionaria e un'espressione che ha un significato ambiguo. Il concetto della rivoluzione portato dagli autoritari delle varie scuole convergeva su un punto: i proletari dovevano attendere, il momento opportuno, il "segnale", il colpo di Stato ecc. ecc. Impegnarsi in lotte parziali, per il salario, per l'ambiente per maggiori libertà, oltre ad essere inutile, rischiava di distogliere i proletari rivoluzionari da questa attesa trepidante. In realtà il segnale, come il messaggio dell'Imperatore, non arrivava mai. Ora i proletari si sono stancati di aspettare. Sara un bene o un male per lo Stato, per il dominio del capitalismo? Carlo Marx, ne "Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte", afferma: "la rivoluzione sociale non può trarre la propria poesia dal passato, ma solo dall'avvenire. Non può cominciare ad essere se stessa prima di aver liquidato ogni fede superstiziosa nel passato...". Solo allora la rivoluzione ha potuto liberarsi dalle illusioni, dai travestimenti storici e dalle pose demagogiche, facendo subentrare al loro posto la "cosa", il contenuto reale della lotta di cui il proletariato è protagonista. Se nel 1848 il passato era rappresentato dai nomi di Bruto, Cassio, Cesare, dal vecchio calendario, dai vecchi nomi, oggi questo è rappresentato dalle falcimartello, dalle guardie rosse, i fronti popolari ecc. È possibile che la scomparsa di questo ciarpame riapra i giochi per un nuovo protagonismo proletario? Tiziano Antonelli
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