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Da "Umanità Nova" n.10 del 19 marzo 2000
New economy Il profitto viaggia in Rete
Il dibattito economico del giorno e la "new economy". Il
fenomeno è per ora prevalentemente borsistico: la divaricazione
nell'andamento dei due principali indici americani (il Dow Jones ed il Nasdaq)
ha indotto la maggior parte dei commentatori a stilare il coccodrillo ufficiale
per la morte della "old economy", soppiantata nelle prospettive di crescita
dalla "internet economy". C'è naturalmente qualcosa di vero in questo
funerale un po' troppo affrettato, né è possibile escludere che
molti funerali verranno celebrati negli anni a venire anche nel campo di coloro
che adesso appaiono, o si credono, dei vincitori. Il Dow Jones ha perso
dall'inizio dell'anno il 15% e non si trova molto distante dal livello in cui
era già nell'estate del 1997. Viceversa il Nasdaq, l'indice delle
società a media capitalizzazione e alta crescita, e passato da 1.000 a
5.000 punti nel giro degli ultimi 5 anni, con una violenta accelerazione
nell'ultimo anno, che l'ha visto praticamente raddoppiare. Che in Italia fosse
cambiato qualcosa lo si e capito quando la Bipop, una banca di dimensioni
locali cresciuta in brevissimo tempo grazie al trading on line, ha superato la
Fiat come capitalizzazione di borsa. Un gruppo che occupa nel mondo oltre
300.000 dipendenti, fabbrica ogni anno quasi tre milioni di veicoli e da 100
anni guida lo sviluppo industriale italiano nella buona e nella cattiva sorte,
è stato relegato al 13simo posto nel Mib30, scavalcato da una banchetta
di provincia il cui unico merito è stato di fornire per prima il
servizio di trading on line, acquisendo 20.000 clienti nel giro di 3-4 anni. Da
ottobre in avanti e stata poi Tiscali ad attrarre l'attenzione delle cronache,
con una vera e propria esplosione sul Nuovo Mercato, il nuovo circuito
borsistico che punta anche in Europa a replicare le sorti del Nasdaq:
un'azienda con 80 miliardi di fatturato e nessun utile vede crescere la propria
valutazione di borsa fino a 27.000 miliardi, in base alle prospettive di
crescita, comparate a quelle dei concorrenti su scala mondiale. In pratica una
scommessa sul futuro, attualizzando i possibili profitti da qui
all'eternità.
Eppure le esplosioni dei corsi azionari hanno in taluni casi dimostrato di non
essere dei puri e semplici fuochi di paglia. Spesso dietro l'innamoramento
degli investitori ci sono fior di istituzioni che ci mettono dei soldi propri e
talvolta questo fornisce le basi di un consolidamento che lascia sbalorditi.
È stato di recente citato il caso di Cisco Systems: chi avesse investito
2000 dollari nel 1990 e non avesse mai venduto, si sarebbe trovato ad avere 1,3
miliardi di dollari dieci anni dopo. L'azienda adesso rappresenta un colosso
mondiale nel campo dei browser (motori di ricerca su internet), con una
capitalizzazione di borsa che la colloca al secondo posto nel mondo, dopo la
Microsoft. Il peso della new economy è tale dunque da farsi sentire e
non si può pensare che rappresenti una moda passeggera. Tuttavia
è molto difficile orientarsi nel dibattito corrente. Quali sono le
differenza rispetto alla ormai sorpassata old economy? Direi almeno tre:
1) la new economy e fortemente legata alla rete, allo sviluppo di internet. Pur
comprendendo settori disomogeni, come il biotech, i servizi finanziari,
l'entertainment, il nocciolo duro della new economy risiede nel processo legato
all'elaborazione e alla trasmissione dell'informazione. Comprende quindi tutto
ciò che serve alla comunicazione telematica, giocando la sua carta
migliore nel fornire sistemi di connessione e trasmissione dei dati più
rapidi, efficienti, sicuri e meno costosi possibili. La componente fisica della
produzione, la necessità di fabbriche, insediamenti, magazzini,
strutture di vendita e di assistenza, approvvigionamento di materie prime e di
forza lavoro addestrata, sembrano passare tutte in secondo piano. La rete di
e-commerce soppianta la rete di vendita, abbassa i costi di distribuzione,
allenta la dipendenza dalle fonti di energia e dai fattori di scarsità.
Restano naturalmente i problemi logistici per gran parte delle merci che
richiedono ancora una produzione e una consegna "fisica". Ma la new economy
sembra volersi sganciare da questo condizionamento.
2) La caratteristica principale di questo settore economico è il basso
livello di capitale richiesto nella fase di "start-up": il livello di
innovazione è tale che l'intuizione personale, l'idea tecnologica, la
filosofia che la ispira fanno premio su altre componenti. I capitali vengono
dopo, i partner finanziari supportano quelle idee che sembrano avere maggiori
potenzialità di spiazzare la concorrenza, fino alla creazione di un
mercato completamente nuovo. A questo punto subentra la necessità di
capitali enormi: basta una massiccia campagna pubblicitaria anticipata di pochi
mesi per occupare quasi tutto lo spazio disponibile; chi arriva dopo deve
buttare giù i prezzi per avere la possibilità di entrare sul
mercato, e questo richiede disponibilità di capitale circolante ancora
superiore. A quel punto il mercato fa partire il suo meccanismo selettivo, le
piccole società organizzata e gestite su scala personale o familiare
vengono aggredite dai colossi finanziariamente più forti, che ne
assorbono risorse umane, know-how tecnologico, marchio distributivo.
3) La parte più intrigante della new economy va a mio avviso ricercata
nel rapporto con la forza lavoro. Poche volte nella storia del capitalismo il
capitale umano ha pesato cosi tanto nella creazione di valore. La
potenzialità di un mercato sconfinato, che rappresenta quasi un salto di
paradigma nell'espansione dell'economia, rappresenta per le aziende più
innovative una grande opportunità di crescita. Questa opportunità
può dipendere dalla capacita di ottenere sul mercato le competenze
professionali necessarie al salto richiesto. Il capitale umano a disposizione
può dunque essere davvero dirimente: le recenti iniziative della Ford, o
della Banca Sella, di regalare un computer a tutti i dipendenti, dimostrano che
l'investimento sulla forza lavoro ritorna ad essere fondamentale, soprattutto
quando si tratta di scaricare a domicilio del lavoratore il necessario
background formativo funzionale all'alfabetizzazione informatica.
La new economy ha poi dimostrato di sapersi innestare sul corpo della vecchia
senza troppi traumi, mentre buona parte della old economy ha già capito
che per sopravvivere deve adattarsi ai ritmi della rivale. Non e un caso che il
recente rialzo di tutte le borse europee sia stato trainato dal trio TMT,
cioè tecnologici, media e telefonici. Le vecchie reti telefoniche sono
state le prime ad agganciare la new economy, decidendo di fornire tutti i
servizi tecnologicamente disponibili di volta in volta (fisso, mobile, banda
larga, umts, wap, ecc.). Per attrarre i potenziali clienti sui propri portali
bisogna però avere dei contenuti: da qui la corsa ai titoli editoriali,
ai luoghi di formazione della cultura e della produzione del divertimento, per
cui la riscoperta dei media e dei loro canali di raccolta pubblicitaria.
Persino banche ed assicurazioni hanno alla fine capito che è molto
più redditizio vendere servizi e prodotti finanziari on line, che tenere
in piedi costose reti di vendita con alti costi fissi.
Nello stesso tempo il mercato penalizza chi si muove in ritardo e comunque
svalorizza il capitale di avviamento dei grandi istituti che era
tradizionalmente basato sulla solidità di una rete distributiva
diffusa.
L'evoluzione farà sì che tra cinque anni non ci sarà
probabilmente più distinzione tra new ed old economy: chi sarà
sopravvissuto avrà deciso di adeguarsi alle nuove cadenze produttive e
distributive.
Dovremo invece abituarci all'agitarsi scomposto dei tanti apologeti del nuovo,
che sbandierano ai quattro venti il vangelo della new economy come se fosse una
nuova mistica religiosa. Si tratta, più semplicemente, di una
rivoluzione reale, dentro la dinamica innovativa del capitalismo storico, che
sviluppa a pieno le potenzialità tecnologiche già presenti 10 o
20 anni fa, applicandole ad una scala di massa.
Come tutti i passaggi storici, salutati all'inizio come la soluzione
definitiva, la fine del ciclo economico, l'inizio di una nuova età
dell'oro, conoscerà enormi fortune e bagni di sangue, exploit borsistici
e crolli rovinosi, ricchezze private e disastri pubblici: la continuazione
cioè di ciò che e sempre stato, compreso naturalmente (in forme
nuove) il conflitto tra capitale e lavoro.
Renato Strumia
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