Da "Umanità Nova" n.10 del 19 marzo 2000
Vercelli: la chiesa non si pente Il rogo di Dolcino arde ancora
"A Frà Dolcino
qui in Vercelli attanagliato ed arso
il primo giugno 1307
per aver predicato
pace ed amore tra gli uomini"
Questo il testo della lapide che il primo giugno del 1907 venne collocata dal
movimento operaio vercellese sulla facciata della Casa del Popolo di Vercelli
in occasione del seicentesimo anniversario del rogo di Frà Dolcino e di
Margherita da Trento. Gli operai valsesiani, biellesi e vercellesi
riconoscevano in Dolcino il simbolo di una rivolta le cui ragioni erano
idealmente anche le loro: oltre alla lapide in questione eressero sul Massaro
un obelisco che, nel 1917, rappresentò punto di riferimento pacifista
per una semiclandestina marcia socialista contro la guerra mondiale che mieteva
a migliaia giovani vittime.
La lapide a Dolcino fu rimossa dai fascisti e finì in un solaio:
ritrovata nel 1987 fu portata al Museo Civico Leone. Da allora iniziò
una lunga battaglia perché la lapide venisse ricollocata in un luogo
pubblico. Il momento pareva giunto il 3 marzo di quest'anno: gli operai del
comune avevano già iniziato i lavori per sistemare la lapide lungo lo
scalone di ingresso del Municipio di Vercelli, ma all'improvviso dal sindaco,
Gabriele Bagnasco, giunge il contrordine ed in fretta e furia i lavori vengono
sospesi e la lapide viene invece collocata nell'atrio dell'Auditorium di Santa
Chiara in posizione decisamente più defilata rispetto alla precedente.
La Curia nega di aver esercitato pressioni ma non nasconde la propria
soddisfazione per "l'interessamento" alla questione di alcuni consiglieri
cattolici che sostengono la giunta comunale vercellese. Dolcino evidentemente
fa ancora paura ad una Chiesa che proclama ufficialmente di pentirsi per le
colpe del passato ma versa solo lacrime di coccodrillo mentre si accanisce
contro i propri oppositori anche dopo quasi 7 secoli. L'apostolico Dolcino fu
tra i protagonisti di una rivolta che nei primi anni del `300 mise in serio
imbarazzo le autorità ecclesiastiche che la repressero duramente nel
sangue. Seguace dell'autore-attore di "Misteri Buffi" Segalello, un giullare
arso vivo 700 anni orsono in occasione del 1deg. giubileo voluto da Bonifacio
VIII, Dolcino era originario di Prato Sesia e condusse i propri studi a
Vercelli. Fonti clericali lo volevano fuggito da Vercelli per il Trentino in
seguito a un furto ma gli studi degli ultimi anni hanno evidenziato che i
motivi erano squisitamente politici: la restaurazione guelfa che aveva
costretto all'esilio le famiglie ghibelline tra cui quella di Dolcino. Mai
avvenuti sono i pretesi pronunciamenti del popolo valsesiano contro Dolcino i
gli altri Apostolici, supportati da documenti che si sono rivelati essere falsi
grossolani, "espedienti tardivi del secolo XVII o XVIII per affermare la
partecipazione dei valsesiani alla lotta contro gli eretici". In realtà
la ribellione di Dolcino e dei Poveri Cristi (come erano anche chiamati gli
Apostolici) si innesta con la rivolta armata che già serpeggiava a
Gattinara e nel biellese: quando nel 1304 Dolcino giunge a Gattinara fortissime
erano le tensioni tra i valsesiani e il vescovo-conte di Vercelli che
già erano sfociate in episodi di lotta armata, una lotta nella quale
Dolcino diviene punto di riferimento importante grazie ad un riconosciuto
carisma ma delle quale furono in primo luogo protagonisti i montanari
valsesiani.
Il filo rosso delle ribellioni dei montanari della valsesia, degli eretici che
lottavano contro tutte le gerarchie, dei movimenti del "tuchinaggio", che nel
vicino basso canavese e in Val Chiusella per due secoli misero a dura prova il
potere feudale, si snoda a giunge sino ai giorni nostri. Il forte movimento
operaio tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento raccoglie questo
filo collocando la lapide a Dolcino sulla facciata della propria casa del
popolo. Da allora è trascorso quasi un secolo ma evidentemente la giunta
di centro-sinistra di Vercelli subisce l'ingerenza clericale più
dell'italietta giolittiana del 1907. "L'imboscamento" della lapide a Dolcino
non è che uno dei tanti segnali del crescere dell'arroganza clericale in
un paese dove le autorità civili si inginocchiano dinanzi al trono di
Pietro ad ogni occasione. Dolcino fu catturato dopo anni di strenua resistenza
e torturato a morte con tenaglie roventi e poi bruciato. Il suo rogo arde
ancora.
Rosa Saponetta
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