![]() Da "Umanità Nova" n.11 del 26 marzo 2000 Un anno fa, la guerra per il KosovoIl 24 marzo 1999 i primi bombardieri della NATO si levavano dalla base di Aviano diretti sui cieli dalla Serbia con i loro carichi di morte. Era l'inizio della guerra in Kosovo, scatenata dagli Stati Uniti con la complicità dei paesi europei con il pretesto di porre fine alla pulizia etnica di Milosevic a danno dei Kosovari albanesi. 78 giorni di fuoco, distruzione, menzogne portarono ad un trattato di pace che, di fatto, legittimava i terroristi dell'UCK, vanificava gli sforzi della cooperazione internazionale per un kosovo multietnico ed apriva la strada ad una nuova pulizia etnica: questa volta attuata dai kosovari a danno dei serbi. Qualcuno, nonostante la propaganda dei media, aveva intuito e denunciato i giochi sporchi degli americani e dei loro alleati: una guerra così imponente non poteva giustificarsi solo con la pretesa degli aiuti umanitari ai profughi e la punizione del "cattivo" Milosevic. In ballo c'erano il controllo di un'area strategica dal punto di vista militare ed economico, la verifica della solidità dell'alleanza atlantica in un momento in cui l'Europa Unita timidamente si avvia a diventare la seconda potenza mondiale, la sperimentazione dei nuovi, micidiali armamenti americani. Ma soprattutto andava imposto il concetto di "guerra umanitaria": una guerra non dichiarata la cui premessa è la delegittimazione di qualsiasi sforzo diplomatico, una guerra mostrata e manipolata dai professionisti dell'informazione, una guerra che sfrutta cinicamente l'impatto emotivo provocato dalle sofferenze umane per mascherare le sue vere motivazioni. Una guerra schifosa che ancora una volta mostra tutta l'arroganza e la violenza del potere, di qualsiasi potere. È trascorso un anno, i profughi e gli F-16 sono scomparsi dalle prime pagine dei giornali, Milosevic rimane saldamente al potere nonostante la Serbia sia piegata dai bombardamenti e dall'embargo, l'ambiente è devastato dall'uranio impoverito e dagli scarichi delle industrie distrutte, la situazione in Kosovo è esplosiva: le violenze continuano, serbi e rom sono costretti a fuggire dalle vendette albanesi mentre le truppe della Kfor osservano imbarazzate ed impotenti. Tanto clamore per ottenere che cosa? Quale presente e quale futuro per la travagliata area balcanica? Attendiamo distratti le decisioni prese dalle gerarchie militari, negli uffici impenetrabili della banca mondiale o da qualche anonimo ministro in occasione di qualche altrettanto anonimo summit internazionale. Intanto la società civile è fuori gioco, esclusa da ogni decisione: le ong hanno dovuto andarsene, la rappresentanza serba è considerata troppo compromessa con Milosevic, quella albanese affidata a clan mafiosi o quasi, prevale la logica dei vincitori e semplici concetti quali partecipazione e cooperazione sembrano ormai inutili per affrontare i problemi. E l'Italia? Il governo di sinistra ha obbedito alle direttive del Pentagono e partecipato attivamente ai bombardamenti, ha cercato di salvare la faccia con la missione Arcobaleno che ha ottenuto il risultato di "militarizzare" e imbavagliare la solidarietà, senza parlare degli strascichi giudiziari che si è portata dietro. E intanto continua a criminalizzare i profughi e rispedirli al di là dell'Adriatico. Ribadiamo quindi che ogni guerra è ingiusta e serve soltanto a mantenere i poveri e gli sfruttati nella loro condizione; che nessuno può e deve restare indifferente di fronte alla violenza degli stati; che solo una ampia e decisa mobilitazione dal basso, pur tra le diverse appartenenze ideologiche, può ancora contrastare la logica di violenza che i padroni della terra vogliono imporre come unico strumento per la risoluzione dei conflitti. Non stiamo a guardare! Lele Odiardo
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