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Da "Umanità Nova" n.12 del 2 aprile 2000

Il mago Veltroni
La ricetta del segretario DS per far "scomparire" la disoccupazione: flessibilità, lavoro nero, precarietà

Il dibattito che ha visto impegnate le pagine di Umanità Nova a proposito dell'ineluttabilità dell'esistente (il capitalismo come seconda natura), trova ragione quasi ogni giorno dalle colonne dei giornali, dagli opuscoli dei servizi per l'impiego e dai nuovi decreti leggi sulla disoccupazione sui lavori socialmente utili e sulla riforma del vecchio Collocamento (sono entrambi in via di pubblicazione sulla gazzetta ufficiale).

Partiamo dal Quotidiano di Regime 'La Repubblica' che il giorno mercoledì 22 marzo ha dedicato ampio spazio alle derive (per loro ovviamente si tratta di riformismo) ultraliberiste del diessino D'Alema in pessima compagnia del dottor Blalr.

Bene, in un piccolo trafiletto dello stesso numero, viene riportata l'intervista al leader diesse Veltroni, il quale, con tempismo ed originalità degne delle migliori tradizioni italiche, ci ricorda che è finita l'era del posto fisso. Grazie!, insomma, 'è finita un'era' come se fosse il termine di un ciclo di eventi naturali ed il passaggio ad un altro periodo tanto inevitabile quanto naturale (era delle glaciazioni). Il ragazzaccio Veltroni si dimentica di dirci che ciò che è umano non viene prodotto da altri se non da uomini e donne che scelgono, in nome di altri, un 'destino' comune: la flessibilità, la precarietà, il decentramento produttivo, le esternalizzazioni, lo sfruttamento delle risorse naturali, l'impoverimento della maggior parte della popolazione mondiale, le nuove schiavitù ecc. Non pago delle immani Verità storiche che ci propina, il segretario Diesse aggiunge che "è evidente che esista un problema di maggiore flessibilità nel mercato del lavoro...In qualcuno c'è quasi nostalgia per l'idea del posto fisso. Invece questa dei nuovi lavori è una rivoluzione straordinaria che creerà certamente più opportunità." C'è bisogno forse di altre conferme sul fatto che non passano sostanziali differenze tra il liberismo dei radicali e quello governativo se non nei tempi e nei metodi, ma che gli obiettivi finali sono comuni? Cosa vuol dire maggiore flessibilità, quando è stato concesso di tutto e di più (apprendistato, interinale, pip, contratti d'area, salari bloccati da anni...), se non, forse, quello che i radicali chiedevano attraverso i loro fetidi quesiti referendari? E, poi, Veltroni non penserà mica che siamo un branco di deficienti? C'è qualcuno che ha nostalgia del posto fisso, vuol dire, almeno per me, che è assolutamente umano richiedere alcune garanzie di continuità del reddito, e sottolineo del reddito, senza il quale si è in continua balia dell'incertezza e della precarietà esistenziale.

A cascata, i nuovi centri per l'impiego, ci raccontano che sarà così come il segretario diesse e la sua corte di economisti ci hanno narrato. Ad esempio, in un opuscolo redatto dal collocamento di Imperia, a fianco della presentazione di alcuni corsi professionali, c'è il vademecum, in dieci punti, del il buon disoccupato: ricordati che in futuro non ci sarà più il posto fisso, ma tanti lavori, molto precari, verrà richiesta molta flessibilità, adattabilità, una formazione continua (altrimenti vai fuori)... Il Verbo sta passando in tutti i settori, nelle forme comunicative più disparate (trasmissioni radio televisive, quotidiani, internet, opuscoli informativi...), creando, così, il substrato ideologico necessario all'interiorizzazione dei capisaldi del neoliberismo. Questo lavoro culturale ha come ulteriore contropartita la contrazione delle lotte rivendicative e dell'autorganizzazione sindacale nella misura in cui l'inevitabile degenerazione dei rapporti lavorativi e sociali non può essere contrastata che attraverso la competizione individuale e la scelta del percorso migliore (di qui le politiche di orientamento). Al contrario e allo stesso modo, l'accettazione della sconfitta, porta o a cogestire (criticamente) l'esistente, vedi Leonka e amici o a percorrere ipotesi di alternatività esistenziali (stili di vita) fuori dal sistema dato.

Per concludere il breve excursus sulle politiche attive del lavoro, il cerchio si chiude a livello legislativo: due sono i decreti governativi che vanno in questa direzione. Il primo è quello che comparirà a breve sui lavori socialmente utili (decreto Salvi), mentre il secondo è quello definisce le funzioni dei nuovi collocamenti in virtù dell'accertamento dello stato di disoccupazione. Occorrerà scrivere a parte su questi temi e in maniera dettagliata, ma tanto per dare un'idea si perderà lo stato di disoccupazione o i benefici dei lavori socialmente utili (sussidio compreso) se verranno rifiutati dal lavoratore:

Colloquio di orientamento ed intervista proposti dai centri per l'impiego.

Inserimento in corsi di formazione professionale e... udite, udite!

Un lavoro a tempo determinato superiore ai tre mesi (incluse le proposte delle agenzie interinali) entro i 50 km e a tempo pieno ed indeterminato entro i 100 km.

Dire che siamo al delirio istituzionale o lì vicino ci manca poco. Una cosa è però chiara. Il governo ha un'unica necessità: depennare le liste di disoccupati per dire che in Italia il tasso di disoccupazione è inferiore a quello definito dall'attuale computo statistico. Se poi si fanno lavori di merda, mal pagati, distanti e solo ogni tanto questo è irrilevante. Le altre necessità politiche, sulle quali tornerò nelle seguenti puntate, vanno a confermare un principio caro al modello anglosassone: la disoccupazione è una colpa e coloro che non lavorano scelgono il loro stato perché non sono sufficientemente flessibili al mercato del lavoro e, pertanto, io governo mi premunirò di punirli, facendoli semplicemente 'scomparire'.

Occhio non vede, cuore non duole!

Pietro Stara



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