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Da "Umanità Nova" n.13 del 9 aprile 2000

Accordo Telecom
Rottamazione di lavoratori

Un nuovo modello avanza nel campo delle ristrutturazioni: quello di un liberalismo assistito, al quale assicurare maggiori profitti e competitività a spese dello stato e dei lavoratori.

Le responsabilità del governo

Il governo di centrosinistra si era già distinto nell'aver offerto, su di piatto di argento, la piena privatizzazione della Azienda Telecom, sorpassando in tal senso di molte lunghezze gli stessi colossi telefonici di Francia e Germania, che pure restano tuttora tra i più importanti complessi del settore in Europa e nel mondo. La cosiddetta strategia nel settore delle telecomunicazioni, tanto declamata a parole dal governo in carica, ne esce addirittura a pezzettini, avendo di fatto favorito un'operazione di alta speculazione finanziaria assecondando l'acquisto ed il controllo del gruppo Telecom alla cordata Colaninno-Olivetti, con una scalata che ha prodotto un forte indebitamento del gruppo stesso per circa 29.000 miliardi, pregiudicandone inevitabilmente le prospettive future.

Per recuperare la situazione deficitaria sono subito iniziate le operazioni di dismissione di aziende del gruppo quali la Italtel (produzione di centrali ad apparecchiature telefoniche) già venduta per circa 2/3, la Sirti (installazione impianti telefonici) la MEIE-Assicurazioni, la Finsiel, mentre l'operazione di vendere la TIM è rientrata solo perché bocciata dall'andamento del mercato. Altro che strategia delle telecomunicazioni.

Adesso il governo scende in campo per garantire alla Azienda Telecom quegli ammortizzatori necessari ad una ristrutturazione mirata alla espulsione mirata all'espulsione di mano d'opera matura, al fine di ottenere ulteriori abbattimenti dei costi e più competitività del mercato, cerando condizioni di ancora maggior profitto. Per il presidente Colaninno è tutto "grasso che cola" e non piò che ringraziare lo stato italiano che tanto sostegno gli offre per navigare, tranquillo e veloce, nel "libero mercato".

Le cifre ed i costi dell'operazione

Il 28 marzo è stato firmato l'accordo tra CGIL-CISL-UIL e Telecom con l'intervento del ministro salvi e di 3 sottosegretari.

L'azienda aveva chiesto 13.500 esuberi e la cifra rimane sostanzialmente confermata, fatto salva la momentanea rinuncia all'esternalizzazione di 900 lavoratori della manutenzione.

- 5.300 lavoratori vengono estromessi dall'azienda applicando la "mobilità" (ex 223/91) 3 anni al nord e 4 al sud, con adesione volontaria, percependo una retribuzione parzialmente finanziati da un fondo dell'INPS, integrato da un contributo aziendale, fino all'accompagnamento della pensione.

- 2.200 lavoratori per 24 mesi, verranno messi in "Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria" senza rotazione. Questi lavoratori saranno interessati a corsi di formazione lavoro per il loro impiego in altre aziende, con l'impegno del loro reintegro in caso di mancata occupazione (con le esperienze passate nelle altre aziende e l'aria che tira c'è poco da fidarsi).

- I lavoratori destinati a questo "parcheggio" verranno individuati dall'azienda e, non essendoci criteri predeterminati, ciò diviene un grosso strumento di discriminazione e di ricatto ad accettare "volontariamente" la messa in "mobilità".

- 3.000 lavoratori verrebbero fatti uscire dall'azienda con incentivazioni che vanno da 30 a 120 milioni.

- 1.000 lavoratori verranno spostati in mobilità interaziendale a Tin.it e TIM.

- A 2.000 lavoratori verranno applicati "contratti di solidarietà" con una riduzione dell'25% dell'orario per un periodo di 24 mesi e con una riduzione del salario del 10%.

- 1.000 lavoratori saranno a part-time e job sharing (un lavoro in due).

Questa operazione verrà a costare alle casse dell'INPS almeno 530 miliardi. La cosa scandalosa è che vengono concessi da parte del governo, con il pieno appoggio dei Sindacati Confederali, l'utilizzo di istituti quali la "mobilità ex 223/91", la "Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria", i "contratti di solidarietà", tutti ammortizzatori concessi per aziende in crisi, ad un'Azienda, quale la Telecom che ha totalizzato 5.000 miliardi di profitti netti quest'anno. Mentre ai lavoratori, oltre a subire le attuali espulsioni, si aprirà la strada maestra delle espulsioni per le migliaia di loro che verranno esternalizzati.

Infatti, mentre uno degli obiettivi della vertenza sindacale avrebbe dovuto essere quello di impedire le esternalizzazioni e la relativa uscita di rami di attività e di lavoratori, l'accordo ratifica tali scelte aziendali:

Outsourcing: Amm. personale 500 unità; Immobiliare EMSA gestirà tutto l'immobiliare del gruppo1.300 unità; selezione del personale 35 unità.

Cessioni: Magazzini passeranno alla TNT Traco 250 unità; Autoparco 38.000 automezzi passeranno a FIAT 240 unità.

Altro che vittoria come gridano CGIL-CISL-UIL nei loro comunicati e nelle dichiarazioni del governo, vantandosi di aver ridotto esuberi e di aver ottenuto 6.200 assunzioni, di cui 2.000 al sud, che erano tranquillamente previsti dal piano Telecom, purché, come dice l'accordo fatte attraverso contratti "atipici" e "precari". Il giochetto sta proprio qui: ottenere la riduzione dei costi con le nuove assunzioni con contratti "atipici" e "precari" al posto dei lavoratori attualmente in carica "rottamati", accompagnate dalle conseguenti riduzioni dei diritti e della tutela per i lavoratori.

Sicuramente ne esce vittoriosa l'Azienda Telecom che vede realizzati i suoi principali obiettivi, quali la riduzione consistente del personale e la sua parziale sostituzione con dipendenti che lavoreranno a costo minore ed in condizioni di maggiore ricattabilità.

I dipendenti della Telecom erano 106.000 all'epoca dell'unificazione dei vari "spezzatini" della telefonia e sono calati nel '94 a 97.000; oggi sono 75.000 e per il solo effetto dell'accordo diventeranno 62.000 fatte salve altre esternalizzazioni.

Le dichiarazioni confermano la tendenza

Prendiamo in considerazione alcune dichiarazioni sul "caso" Telecom. Alla domanda del giornalista de "Il Sole 24 ore" rivolta al direttore delle Risorse Umane del Gruppo Telecom, Mario Rossi, "Le sembra educativo per il sistema nel suo complesso che una delle aziende più redditizie faccia ricorso ad ammortizzatori vecchio stile come la legge 223? La risposta è la seguente: "Noi abbiamo un grosso problema di riorganizzazione e trasformazione culturale , non solo di costi e di esuberi. Ciò esige una serie di correzioni e per noi è importante che non si creino tensioni. La 223 è gradita a chi ne fa uso e nel caso di Telecom fortunatamente si può applicare proprio a quella fascia di dipendenti che avevamo la necessità di sostituire." Cioè si riferisce alla necessità di sbarazzarsi delle fasce dei più anziani. È curioso come sbraitano dal pulpito delle Associazioni padronali (Confindustria, etc.) sulla necessità di elevare ad ogni costo l'età pensionabile dei lavoratori, salvo volersene sbarazzare nel più breve tempo possibile quando si tratta della propria azienda.

Anche le dichiarazioni del sottosegretario Raffaele Morese, che ha partecipato al momento finale della trattativa, vanno nella stessa direzione circa l'utilizzo della "223": "In questa nuova fase al ministero non arrivano aziende decotte, ma aziende che per rimanere competitive sul mercato hanno bisogno di riorganizzarsi e di modificare il mix professionale e generazionale. Gli ammortizzatori sociali sono strumenti nati per le aziende in crisi ma oggi visti in quest'ottica di tenuta delle competitività"

Senza peli sulla lingua né reticenze il rappresentante del governo, guarda caso un ex sindacalista, con estrema chiarezza confessa e preannuncia la nuova linea , quella di una svolta definitiva, che modifica la natura stessa della legge in questione, trasformandola nei fatti in uno strumento di "assistenza" aziendale nel "libero mercato".

Conclusioni

L'accordo Telecom è evidente che costituisce un significativo esempio pilota sul "nuovo che avanza": quello di una sempre più marcata assistenza dello Stato a favore della competitività e del profitto dei padroni contro gli interessi dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati, che saranno chiamati a pagare il prezzo sempre più alto di tali "investimenti".

Il Sindacalismo di Base, oltre ad esprimere un giudizio nettamente contrario all'accordo sulla "rottamazione dei lavoratori", indica oggi, più che mai, l'obiettivo della riduzione dell'orario di lavoro a 32/35 settimanali. Allo scopo di stabilire le linee di opposizione e di lotta contro l'accordo si è svolta a Roma il 1 aprile un'assemblea nazionale che ha proclamato 3 ore di sciopero per il 21 aprile.

Enrico Moroni



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