Da "Umanità Nova" n.15 del 23 aprile 2000
Apache
Un racconto inedito di Paco Ignacio Taibo II
"Riservati di notte, e cazzoni di giorno. Come Apache"
All'uscita dalla riunione, Severo si fermò in un angolo ad allacciarsi
pantaloni ed a grattarsi le palle, e disse al Piuscemo:
- Questo tipo è proprio pazzo.
- Sì, mi supera - rispose il Piuscemo, che era parco nei suoi giudizi e
fedele alla prima parola.
- No, cioè supera anche me, però è un bell'evento. Guarda
se non è vero. Siamo andati a cercare un avvocato all'ufficio del
lavoro, l'avvocato ci ha detto che se non eravamo più di venti non si
faceva; e mentre questo ci manda a ramengo arriva dalle scale questo tizio e ci
dice che non è necessario, che legittimamente e con una strategia
possiamo fottere il padrone. E ci andiamo. E allora ci viene fuori con questa
cosa degli apache.
- Mi supera - disse il Piuscemo - Fottessi mia madre se non gli do retta.
- Mi sembra che questo tipo non è comunista, è matto.
Sì, mi supera, ripeté il Piuscemo sorridente. E sorrideva il
ciccione (a cui affibbiava il terribile soprannome perché in quella
fabbrica erano tutti molto cazzoni), immaginandosi quel che doveva succedere il
giorno dopo. E così accadde.
L'ora di ingresso era alle sette e mezzo, e avevano dieci minuti di tolleranza.
Per diffidenza, si erano riuniti nell'angolo di Avena, ad un isolato dalla
fabbrica, e lì aspettarono fino alle sette e quaranta, per poi in
gruppo, avanzare verso l'impresa.
La fabbrica era una capannone di trenta metri di lunghezza, senza più
divisione dipartimentale di quella che costruivano i mobili accatastandosi.
Poltrone sventrate, un po' oscene con le loro molle che uscivano da tutti i
lati, l'imbottitura disseminata di qua e di là, chiodi da tutte le
parti. Il pavimento era pieno di umidità e si formavano rigagnoli da
tutte le parti quando pioveva. Il laboratorio di cucitura era un angolo del
capannone con cinque macchine da cucire e rotoli di tela ammucchiati.
L'ufficio del capo, una gabbia con pareti di ferro e metallo, con una scrivania
e una cassaforte. Lì c'era il telefono. Il telefono a volte serviva e a
volte non serviva. Però voleva dire un bel po', perché il padrone
(e sorvegliante) amministrava la fabbrica all'antica, con frusta, camioncino
per le consegne, bottiglia alla sera per pagare in moneta le ore extra, pistola
nel cassetto della scrivania quando le discussioni salivano di tono.
Il padrone aveva detto, prima morto che sindacato. Era una fabbrica piccola, di
21 lavoratori, e due erano paraculi come se non più del padrone, in modo
che con 19 il sindacato non usciva.
Guardati ragazzo, sei grandioso - disse Severo al Piuscemo. Questo non rispose
contemplando imbambolato il pennacchio di piume di aquila che portava don Ramon
il carpentiere.
Ci intappiamo? - chiese Marcial al consulente del sindacato, uno studente di
psicologia bassino che era arrivato vestito in bicicletta e che si stava
slacciando i clip per non tradirsi.
Coglione. Hanno mai visto apache con la giacchetta?
Severo negò molto seriamente. A lui era costato un occhio uscir di casa
con tre terribili righe dipinte sulle guance una striscia ondulante di giallo
elettrico che gli attraversava la fronte. La sua vecchia era convinta che non
andava al lavoro, ma ad arrotondare con un film o un concorso televisivo.
E lui la verità, non aveva la forza per spiegarla, ma aveva giurato e
stava lì. Lo stesso gli altri diciotto. Nessuno era mancato. La forza
del giuramento, o l'aver toccato il fondo, l'aver perso sempre, il tanto vedere
le mattine dal fondo del barile.
Il Piuscemo era tracagnotto e si era dipinto sulla pancia tre cerchi
concentrici in bianco.
- La mia vecchia non ha voluto dormire con me - informò togliendosi la
camicia.
- Quando te li sei dipinti?
- Ieri, per provare.
- Le armi, compagni, non se le dimentichino - disse il consulente mentre si
metteva delle lenti finte per vedere se dissimulava un po' i venti anni che
aveva.
Brillarono mazzuoli, coltelli da cucina, martelli da bullette, un paio di asce
di molto buon filo, alcune navajas di un palmo e mezzo.
- Svelti. Ognuno sa già cosa deve fare.
La colonna avanzò per Avena. Un ubriaco che usciva dalla Vencedora si
pizzicò al vederseli arrivare davanti. - Ahi, arrivano i maledetti
indios! Se ne andò gridando senza aver finito di crederlo, e giurando a
San Giuda Taddeo che da quel momento in avanti avrebbe bevuto solo brandy
buono.
Geronimo il picchiatello si nascose al passaggio della recinzione.
Servando lo apostrofò. - Non fare la fighetta. Andiamo o non andiamo?
I padroni della piccola industria messicana avevano potuto resistere in quegli
anni solo con una punta di istinto, e il famoso Mieles, Proprietario della
Mieles y Maderas S.A., usciva in strada spinto dai cattivi presentimenti che
gli stavano arrivando, quando si trovò di fronte ai suoi 19 operai
vestiti da apache. Retrocesse prudentemente mentre si pisciava dalla paura.
Dopo cominciò a correre e finì barricato nell'ufficio.
- Addosso! Addosso! Gridava Severo inserito in pieno nel suo ruolo.
- Non finitelo compagni, ora tocca a me!
- Fase due - disse il consulente.
Gli apache mobilieri si avventarono contro i vetri dell'ufficio mostrando
coltelli e navajas, asce e facce dipinte. I volti si schiacciarono contro il
cristallo, deformandosi.
Il consulente, molto serio, toccò la porta con due soavi colpetti di
nocche. Dopo mezz'ora uscì con il contratto firmato e con un 65% di
aumento sui cottimi, promessa di bagni nuovi con tutto e carta igienica,
pulizia degli scarichi, trattamento con impermeabilizzante. E per uscire,
tirava fino a un accordo perché l'azienda versasse ai lavoratori 10.000
pesos nella giornata del bambino per comperare dolci ai figli della plebe.
Mentre leggeva l'accordo davanti agli ululati degli apache mobilieri, il
padrone si stava prendendo tre aspirine in ufficio, ancora non molto sicuro di
quello che era successo.
Ho una richiesta compagni - disse impedendo che la tribù lo alzasse
sulle spalle - Che stracazzo faremo quando ci sarà da rinnovare il
contratto fra un anno?
Sempre se ne avremo bisogno - disse Severo mentre cominciava a far correre
l'immaginazione e cercava di trattenere una lacrima che minacciava di sbavargli
le strisce rosse della guancia.
Paco Ignacio Taibo II
Testo diffuso dal server di Anarqlat
Libera traduzione di F.F.
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