Da "Umanità Nova" n.15 del 23 aprile 2000
Immigrazione
I bastioni della fortezza Europa
"L'Europa sull'immigrazione ha una politica aperta."
(Romano Prodi, 1 aprile 2000)
VAFANKOULU ITALIA
(scritta dentro il kampo di detenzione di via Corelli)
Aldilà della scandaloso sistema dei campi di detenzione , con la loro
struttura evocante quella dei lager nazisti, e delle specifiche misure
legislative attraverso cui, all'interno del Trattato di Schengen, gli Stati
europei intendono governare, limitare e controllare le presenze e i flussi
dell'immigrazione, appare ormai evidente che attorno al più generale
fenomeno dell'immigrazione si stanno giocando partite importanti e forse
decisive per l'intera società.
Attorno a questa questione si formano infatti consensi elettorali, si decidono
politiche economiche, si ridefiniscono assetti sociali e si contrappongono
culture, sempre e comunque sulla pelle di persone, di lavoratori e di profughi
provenienti da altri paesi "extracomunitari".
Di fronte a tali crescenti flussi migratori, storicamente inarrestabili e
motivati da un complesso drammatico di condizioni economiche, disastri
ambientali e situazioni di guerra, quello che più colpisce è la
strenua difesa del "Bunker Europa" dentro i propri confini, sia geografici che
mentali.
Tali scelte "militari", assorbendo sostanziose quote dei bilanci statali
destinati alla Difesa interna ed esterna, oltre ad essere più che
contestabili, pongono alcuni interrogativi.
Se è vero, come è vero, che gli indirizzi dei governi rimangono
in larga parte dettati dalla logica del profitto, viene da chiedersi quale
può essere la "contropartita" di investimenti di miliardi nei
pattugliamenti aereo-navali dell'Adriatico, nella costruzione e nel
mantenimento di strutture detentive, nell'aumento degli organici delle forze
repressive, negli apparati di vigilanza e controllo delle frontiere, nei
rimpatri forzati degli "indesiderabili" (72 mila durante l'ultimo anno), nella
burocrazia incaricata di autorizzare il soggiorno degli stranieri; è
evidente che basterebbe destinare anche solo una parte dei fondi destinati a
queste "soluzioni" per permettere un più decente e sicuro ingresso ed
assicurare delle condizioni umane per tutti coloro che approdano nella ricca
Europa.
Davanti a questa elementare constatazione che sfugge al buonsenso comune, per
cercare le ragioni della politica degli Stati nei confronti dell'immigrazione,
prima ancora che parlare di razzismo istituzionale, bisogna guardare ai suoi
effetti concreti.
La vera causa è l'effetto, ossia nella voluta creazione della figura del
"clandestino" e nei forti ed articolati interessi ad esso legati, a conferma di
come il potere legale stesso produca l'illegalità che sostiene di voler
combattere.
Stabilire infatti per legge la "clandestinità" della maggioranza dei
potenziali immigrati, non interrompe infatti il loro flusso in quanto, a
rischio di morire soffocati in un container, congelati nel vano carrelli di un
aereo o annegati nello Stretto di Otranto, questi "dannati della Terra"
continueranno a cercare fortuna, scampo e speranza nell'Europa dell'Euro.
Esattamente, come per il proibizionismo, le leggi anti-immigrazione servono
solo a favorire l'ingresso illegale, il soggiorno clandestino e ogni forma di
lavoro irregolare, con grande gioia di scafisti, mafie ed organizzazioni
criminali la cui attività vede dirette complicità nell'apparato
statale, mentre nell'ambito del lavoro l'esistenza della "clandestinità"
permette a padroni e padroncini di ricattare i lavoratori extracomunitari
"regolari", disposti a tutto pur di non ripiombare in seguito ad un
licenziamento nell'anticamera dell'espulsione.
Superfluo dire che a loro volta, sia nella realtà industriale che in
quella agricola, la manodopera extracomunitaria -sia regolare che irregolare-
si rivela del tutto funzionale a riproporre analoghi ricatti e divisioni nei
confronti dei lavoratori comunitari, imponendo loro tutte le
flessibilità possibili ed immaginabili.
Tragicamente tale logica comporta tra l'altro che anche chi appartiene ai
settori sociali più sfruttati e precari, dimenticando la propria
identità di classe e riconoscendosi come
bianco-padano-italiano-cattolico-europeo può illudersi di non essere
all'ultimo scalino della società e quindi il suo razzismo, la sua
complicità con chi detiene il potere, il suo asservimento verso il
padrone si rafforzano, tanto da credere che l'unica emancipazione possibile sia
il poter esercitare la funzione di "kapò" ai danni di qualcuno che la
sorte e il neo-liberismo hanno posto al gradino inferiore.
Detto questo, tutto appare più chiaro e si possono capire sia certe
dichiarazioni "antirazziste" della Confindustria che il comportamento
apparentemente contraddittorio di quei padroncini del Nord Est che appoggiano
le campagne xenofobe di marca leghista, proprio per poter continuare a far
lavorare "come negri" gli immigrati nelle proprie aziende; esattamente come
quell'attivista di un comitato anti-prostitute, colto di recente in flagrante
in compagnia di "una di quelle" e per di più di colore.
Ancora una volta così la discriminazione e l'ingiustizia sociale
crescono all'ombra delle leggi dello Stato e la stessa contrapposizione tra i
"democratici" europei e il governo austriaco per le posizioni filo-naziste di
Haider appare in primo luogo provocata dal fatto che al leader
nazional-liberale carinziano questa Europa fa venire in mente quella del Terzo
Reich e non fa niente per nasconderlo, il che non è fine.
Ma se le politiche di dominio e di controllo si vanno ridefinendo a partire
proprio dall'immigrazione, allo stesso tempo tornano ad aprirsi spazi per
l'opposizione sociale; nella storia più recente non sarebbe peraltro la
prima volta che le lotte degli immigrati, intersecandosi con
l'autorganizzazione e la solidarietà di classe, accendono la rivolta.
R.M.
|