unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n.16 del 7 maggio 2000

Il più Amato dagli americani

"Diciamo che, dal punto di vista di Berlusconi, Giuliano Amato è molto più pericoloso di Massimo D'Alema. Il quale poteva essere demonizzato, e lo è stato, in quanto ex comunista. Mentre invece questo è il governo più americano degli ultimi anni, non con una ma con due kappa, guidato da uno studioso della Georgetown University, da cui sono usciti i più brillanti cervelli della CIA. Un uomo capace di colloquiare con quei mondi persino più di me..."
Da un'intervista di Francesco Cossiga a "La Stampa" del 30 aprile 2000

Come è noto Francesco Cossiga ama i paradossi e le provocazioni e utilizza lo spazio che i media gli riservano sia per accreditarsi come una voce fuori dal coro sulla scena politica che per diffondere veleni ai danni di avversari ed alleati, avversari ed alleati programmaticamente provvisori.

La sua considerazione, con le avvertenze del caso, è interessante. Al centro sinistra, infatti, si aprivano due strade dopo la sonora sconfitta elettorale alle elezioni regionali:

- proseguire nella politica dalemiana senza D'Alema e cercare di allargare la propria base parlamentare mediante l'acquisizione di segmenti marginali del ceto politico;

- tentare una svolta in senso socialdemocratico al fine di recuperare quote di elettorato di sinistra passato all'astensione.

La scelta di affidare la presidenza del consiglio dei ministri al dottor sottile sembra, con tutta evidenza, la vittoria della prima ipotesi, l'unica che aveva i numeri per funzionare, a breve, sul piano parlamentare.

Nei limiti posti da questa prospettiva, si davano due possibilità: quella realizzatasi con la valorizzazione di uomini del vecchio PSI craxiano come Amato, Del Turco Veronesi e Intini e quella di aprire a settori del centro cattolico incarnati dal governatore della Banca d'Italia Fazio.

Come è noto, Fazio non ha mostrato un eccessivo interesse per la possibilità di assumere il ruolo di capo del governo e, con ogni probabilità, vuole tenersi aperta la prospettiva di un rapporto sia con il centro sinistra che con il centro destra e, di conseguenza, l'ipotesi Amato è risultata vincente.

Sul piano simbolico siamo in una situazione interessante e, per certi versi, persino divertente. Se, sinora, era palese la presenza di segmenti democristiani sovrarappresentati in entrambi gli schieramenti (basta pensare allo scontro, per la verità non entusiasmante, fra Formigoni e Martinazzoli in Lombardia o al ruolo giocato dalla coppia recentemente separatatisi Mastella-Casini) oggi tocca ai craxiani la parte del leone.

Qualcuno ha notato come sia in atto lo scontro fra due craxiani (Amato e Berlusconi) e come, di conseguenza, la prima repubblica abbia avuto la sua rivincita.

La triste fine dell'eroe della seconda repubblica, il post questurino populista e giustizialista Antonio Di Pietro, ruvidamente scaricato dal dorso del somaro democratico qualcosa pur significa.

L'unico populismo che ha spazio oggi è quello della destra polista e leghista: un populismo che si nutre della promessa di sgravi fiscali, di legge ed ordine, di esaltazione del ruolo di un leader carismatico, della capacità di fare sognare senza soffermarsi troppo sulle malefatte del ceto politico della prima repubblica che, anzi, viene recuperato alla grande e nobilitato per il suo ruolo di bastione anticomunista.

Dal punto di vista parlamentare il centro sinistra ha vinto nel senso che sembra essersi garantito altri dieci mesi di vita, dieci mesi necessari, se non sufficienti, a risalire la china ed a cercare di sottrarre aree di consenso al centro destra. A questo fine ha dovuto liquidare quel che restava della pregiudiziale anticraxiana che pure è stata all'origine della seconda repubblica e lo ha fatto senza troppe delicatezze.

Se quanto afferma Cossiga ha un fondamento di verità, la scelta di Amato può garantire al governo una qualche simpatia da parte del grande fratello statunitense, simpatia di non poco conto nel quadro politico italiano.

Amato potrà, inoltre, lavorare a riaprire rapporti ragionevolmente amichevoli con il padronato nazionale mantenendo buone relazioni con l'apparato sindacale che, per bocca di D'Antoni e Cofferati, si è mostrato tutt'altro che prevenuto nei suoi confronti.

I DS escono ridimensionati da questa svolta e sono costretti a lasciare la prima fila ad un uomo che non è espressione del vecchio PCI ma si tratta di un prezzo inevitabile da pagare anche a fonte di un ridimensionamento elettorale di non poco conto.

Le correnti socialdemocratiche e stataliste del vecchio movimento operaio (sinistra DS, PRC, PdCI) escono fa questa scelta ulteriormente ridimensionate ma hanno una carta da giocare in vista delle elezioni politiche quando sarà affidato loro il compito di cercare di riportare all'ovile parlamentare almeno una parte degli elettori persi negli ultimi anni.

Il PRC ed i malpancisti del centro sinistra dovranno svolgere un compito non facile: sostenere la maggioranza di centro sinistra e, nello stesso tempo, porsi come forza di stimolo, di pressione, di critica credibile. Si tratta di un ruolo in parte scelto ed in parte obbligato e non si può prevedere sin d'ora in che misura sapranno e potranno svolgerlo.

In particolare, non si vede come il PRC possa, a meno di non scegliere il passaggio al ruolo di partito extraparlamentare, evitare un accordo con la maggioranza in vista delle elezioni del 2001 e sarà interessante vedere che contorsioni lo caratterizzeranno nei prossimi mesi.

Più rilevante, da nostro punto di vista, sarà la politica economica del governo e soprattutto la reazione dei settori colpiti dalle prossime privatizzazioni e dalla flessibilità del mercato del lavoro che il nuovo primo ministro si appresta a proporre ed a concordare con l'apparato sindacale.

Dovremo, insomma, lavorare perché l'estraneità di gran parte dei lavoratori rispetto alle logiche parlamentari possa trasformarsi in autonomia sul terreno dell'iniziativa di classe.

Una partita non facile da affrontare ma anche l'unica che valga la pena di giocare.

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