Da "Umanità Nova" n.16 del 7 maggio 2000
Dal 24 al 26 maggio a Genova la vetrina delle multinazionali biotech
Biotecnologie, etica, scienza...
La questione delle biotecnologie - resa ancora più attuale dal prossimo
svolgimento del Tebio, a Genova il 24, 25 e 26 giugno - implica nella sua
generalità alcuni problemi sui quali sarebbe opportuno aprire una
riflessione colletiva.
Il primo problema è relativo alla sfera dell'etica e si può porre
grosso modo in questi termini: quale è il confine tra l'utilizzo di
tecniche di controllo e/o manipolazione dei processi biologici per il
miglioramento della qualità della vita nel rispetto delle qualità
fondamentali di questa e il loro utilizzo in termini di pura efficienza? E' da
notare che sul piano etico non cambia nulla se ad efficienza e
razionalità sostituiamo ad esempio l'attuale ricerca di profitto.
L'uomo è sempre intervenuto pesantemente sull'ambiente, ma anche sui
suoi prodotti vegetali e animali. Tecniche di selezione e di ibridazione sono
sempre state caratteristiche dell'attività produttiva e sociale
(agricoltura, allevamento) fin dai suoi inizi. Oggi la qualità degli
interventi cambia perché la scienza permette di operare a livello
genetico e dunque molto più in profondità, con un forte
scostamento da un ipotetico processo biologico evolutivo naturale. Tuttavia il
problema rimane lo stesso: nel metabolismo tra uomo e natura, la sfera che
riguarda le modificazioni dei processi biologici deve essere sottoposta a
controllo? Da parte di chi? Sulla base di quali considerazioni etiche?
Il dogmatismo etico (tipicamente quello religioso, ma non solo) può
risolvere questo problema assumendo principi eterni o evidenti di per
sé, slegati dunque, in apparenza dalle forme e dai costumi delle
società. Tipico è il rispetto delle forme di vita naturalmente
determinate. Nella tradizione antropocentrica di molte religioni questo
rispetto è ristretto alla vita umana.
Il relativismo etico, d'altro canto e all'opposto, subordina l'assunzione di
principi etici alla diversità delle culture e delle relazioni sociali.
Non c'è dunque, in teoria, nessun discrimine universalmente e/o
storicamente valido tra ciò che è lecito e ciò che
è illecito. E' evidente che alla luce di questi due atteggiamenti
estremi e contrapposti qualunque intervento sul corso "naturale" della vita
può essere condannato o esaltato. Da un lato l'atteggiamento di chi si
oppone ancora oggi ad una semplice trasfusione di sangue, dall'altro quello di
chi approva incondizionatamente ogni intervento teso a migliorare la
qualità della vita umana, anche tramite interventi a livello genetico.
Questa dicotomia si ammorbidisce in tutta una gamma di posizioni intermedie,
spesso determinate da un generico buon senso. Non esiste d'altra parte la
possibilità di ricostruire un piano etico fondato su nuovi rapporti
sociali solidaristici e comunitari perché l'attuazione di questi non
è all'ordine del giorno e nemmeno la loro prefigurazione - che in altre
epoche storiche si dava all'interno della classe degli sfruttati, del
proletariato - sembra essere generalmente condivisa.
Il secondo ordine di problemi è quello relativo alla supposta
neutralità della scienza.
Se esista una sorta di "oggettività" nel processo di accrescimento delle
conoscenze in generale e di quello più specificamente scientifico in
particolare è questione vecchia.
Secondo un punto di vista la scienza è neutrale, cioè lo sviluppo
della conoscenza scientifica che si attua tramite scoperte ed invenzioni ha una
sorta di logica interna, di necessità, che prescinde dalle forme
particolari con cui poi tutto questo viene usato.
Secondo un altro punto di vista, la scienza è storicamente riflessione
sulla tecnica e sui suoi sviluppi, quindi è indirizzata dalle
necessità sociali che dipendono, in ultima analisi, dal tipo di
società e di rapporti di produzione. Quest'ultimo punto di vista
sembrerebbe confermato dal declinare - in epoca odierna di finanziamenti
guidati e di sponsorizzazioni - della ricerca pura, fine a sé stessa,
ormai confinata a pochi campi del sapere.
E' evidente che, pur nella sua difficile risolvibilità, si tratta di
problema di non poco conto. Se la scienza è neutrale si tratta solamente
di controllarne le applicazioni, se non lo è il problema è un po'
più grosso: si tratta di trasformare la società in modo che la
ricerca scientifica sia orientata a tutti i campi del sapere, con pari
dignità, siano essi suscettibili di applicazioni (a fine sociale) o
semplicemente astratti e speculativi, senza interesse pratico immediato.
Il terzo ordine di problemi è quello relativo al monopolio delle
ricerche genetiche ed ai brevetti su queste.
Monopolio e libera concorrenza sono due aspetti inscindibili del sistema
capitalistico, non contraddittori. La seconda è la condizione di
sviluppo del primo; il primo esiste solo se mantiene la seconda. Non è
poi per nulla rassicurante che le manipolazioni genetiche siano universalmente
diffuse come non lo è oggi la diffusione del nucleare rispetto a quando
il monopolio era detenuto da un solo paese.
E' infine del tutto evidente che anche in un'ottica liberista radicale è
fantascientifico pensare che i costi di un certo tipo di ricerca, il know-how e
le strutture necessari siano alla portata di qualcuno che non sia un'impresa
capitalistica poco meno potente dei monopoli che oggi controllano il mercato.
L'utopia liberista, come correzione delle storture del sistema capitalistico,
è appunto un'utopia perché non può prescindere dal mercato
(capitalistico anch'esso) e dalle sue leggi.
Il quarto ordine di problemi è quello geo-politico.
Se oggi la supremazia nel campo della ricerca genetica è degli USA lo
è perché questi sono il paese capitalisticamente più
avanzato, il polo imperialista dominante. Contrapporre a questa situazione una
maggiore autonomia, ad esempio delle nazioni europee, ci fa ritornare allo
stesso ordine di difficoltà implicate dal punto precedente. I fautori
dell'autonomia degli Stati europei, che si annidano anche nella sinistra
d'opposizione, dovrebbero aver tratto qualche lezione dalle modalità e
dagli sviluppi dell'intervento NATO in Kosovo. Se non lo hanno fatto, potremmo
anche dire che sono problemi loro.
Neppure diffondere queste conoscenze e tecnologie ai paesi del terzo mondo, i
cui contadini sono le vittime dei brevetti, ad esempio, sulle sementi
geneticamente modificate potrebbe dare significativi risultati. E' anzi
probabile che l'uso che farebbero di queste tecniche i gruppi capitalistici
locali sarebbe ancora più selvaggio e feroce di quanto non sia quello
dei già rapaci gruppi monopolistici americani.
Il quinto ordine di problemi è quello, di carattere ben più
generale, se, oggi come ieri, sia possibile una serie politica riformista e, in
generale, di controllo democratico sugli aspetti peggiori del capitalismo. E
questo è un problema sempre aperto.
Guido Barroero
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