![]() Da "Umanità Nova" n.17 del 14 maggio 2000 Milano. Urbanistica di classeMilano, capitale economica del paese, ha ormai imparato a costruire ed organizzare sé stessa secondo un progetto urbanistico già immaginato - e non senza orrore - tempo addietro da alcuni scrittori di fantascienza e della corrente antiutopista. Milano, più che mai fedele alle proprie ambizioni, può vantare un centro storico ristrutturato, i migliori centri ospedalieri ed una rete invidiabile di servizi pubblici, mentre, con l'inesorabile naturalezza di chi svolge il proprio compito, si sta sbarazzando delle residue realtà antagoniste - case occupate, affitti bloccati, centri di aggregazione o quant'altro - che ancora sopravvivono e che rappresentano le numerose contraddizioni del bluff capitalistico. La tristezza di una metropoli europea, del resto, non è poi così facile da camuffare, soprattutto quando i pochi investimenti destinati a realizzare le conquiste delle lotte civili, intraprese per ridistribuire dignità ai meno privilegiati, in realtà non costituiscono altro che uscite di bilancio pubblico, sotto la voce "marketing", dirette a promuovere un'immagine della città come esempio di buona gestione, democrazia e benessere. A questo progetto si ispirano tutti, dalle amministrazione pubbliche alle attività private, dalle "agenzie" cattoliche alle aziende municipalizzate, mentre i cittadini, gli asseriti protagonisti di questo grandioso progetto, si ritrovano - a loro insaputa ed al pari delle varie aree urbane - catalogati in tre fasce di merito: quelli di serie A, quelli di serie B e quelli di serie C. Non è con questo scritto che si vuole elencare le infinite categorie di essere umani che nella "Milano della moda" sono privi di un diritto di cittadinanza effettivo; inoltre, bisogna sempre avere presente che dietro alle facili considerazioni di chi scrive stanno i drammi di individui che vivono personalmente l'emarginazione e, il più delle volte, non hanno la parola neanche tra le pagine di questo periodico. Camillo Davino sembra situarsi tra quei cittadini relegati - di fatto e di diritto - nella suddetta serie C: quarantaseienne, portatore di un handicap motorio con invalidità del 100%, vive da trent'anni al Gratosoglio, sub-periferia urbana di Milano, ed è ancora oggi impossibilitato ad uscire dal suo quartiere perché l'A.T.M. ha classificato la linea di trasporto pubblico che serve il quartiere come "linea secondaria" e, pertanto, le vetture ad essa adibite non sono abilitate al trasporto disabili. Il problema, peraltro, non è solo suo perché i circa seicento autobus abilitati al trasporto disabili, pari al 50% del parco vetture, sono pressoché interamente destinati a coprire le linee che servono il centro. Complimenti allora all'A.T.M. di Milano che, ottemperando alle indicazioni di legge (104/92 e Leggi Collegate), ha investito tanti bei soldoni nell'acquisto di autobus attrezzati di pedana per accogliere persone in carrozzina; peccato però che la distribuzione di queste vetture sulle linee metropolitane non abbia, di fatto, esteso il servizio di trasporto pubblico ai cittadini disabili. Il Sig. Davino, infatti, al pari degli altri disabili motori del Gratosoglio e delle altre zone periferiche, non può muoversi per la sua città se non pagando a proprie spese il caro prezzo di un servizio di trasporto privato, peraltro in monopolio. Ed è a questo punto, però, che il tragicomico cerchio si chiude, perché il disabile che vive nel centro, condizione tendenzialmente sintomo di benessere economico, avrà raramente bisogno del servizio di trasporto pubblico, mentre quelli che vivono in periferia, perlopiù in case popolari con modeste pensioni di invalidità, non potranno certo giovarsi delle ambite vetture che circolano inutilizzate entro la circonvallazione, essendo troppo dispendioso il raggiungerle! Scandaloso, illogico, ma l'A.T.M. non se ne preoccupa perché conta sul fatto che ben pochi di quei signori avrà l'audacia, gli strumenti o la possibilità di obiettare qualcosa, mentre l'indifferenza ed il pietismo sterile della collettività fa da cornice. Questo banale circolo vizioso, che farebbe incazzare anche un monaco tibetano, non deve però stupirci. Richiamando quanto detto prima, la spesa pubblica, in qualunque settore, non è più finalizzata ad incontrare le necessità basilari di ciascun essere umano, ma a far credere che nell'impeccabile città del futuro tutto sia perfetto, come ad un ricevimento di beneficenza o in un'esperienza virtuale. Non è facile raccontare del Sig. Davino senza scivolare su considerazioni di circostanza. Si dovrebbe parlare di lui solo essendo sicuri di poter dare atto della sua invidiabile voglia di vivere e tranquilla determinazione nel chiedere con dignità quello che sia l'etica che il diritto gli riconoscono, ma che questa "Milano da bere" gli nega: l'autonomia. Il Sig. Davino vive da solo e vorrebbe continuare a farlo ampliando i confini delle proprie autonomie. La parola "solo" viene da lui pronunciata con orgoglio, non con malinconia, perché per il momento è sempre riuscito a sfuggire alle temute maglie di comunità ed istituti per disabili, i quali - sia detto per inciso - ricevono circa lire 250.000 al giorno per ospite e, tutto sommato, non hanno poi tanto interesse a promuovere l'autonomia dei propri assistiti, sviluppando le condizioni minime che la permettono. Insomma, alla fine e come sempre, è tutto business. A proposito, quanto mi date per questo articolo? Barbara Legnani
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