Da "Umanità Nova" n.17 del 14 maggio 2000
La legislazione sugli stranieri in Italia
Leggi razziste
Legalizzazione del precariato, repressione poliziesca e sfruttamento
PREMESSA
Come è a tutti noto, a differenza di altri paesi europei ove il fenomeno
dell'immigrazione è presente da decenni (Gran Bretagna, Francia,
Germania), l'Italia è sempre stata un paese di emigrazione e non di
immigrazione.
Conseguentemente la normativa di disciplina dell'immigrazione e di
regolamentazione dello status dello straniero è piuttosto
recente.
D'altra parte fino agli anni '50/'60 gli stranieri presenti in Italia erano
complessivamente circa 150.000 persone, prevalentemente militari NATO,
rifugiati, cittadini dell'allora CEE e cittadini provenienti dalle ex colonie
italiane (Somalia, Eritrea, Etiopia e Libia).
Solo con gli anni '70 gli italiani presero atto di un vero e proprio movimento
immigratorio con presenze di lavoratori nordafricani nei settori
dell'agricoltura e della pesca, di collaboratrici domestiche filippine e
capoverdiane e di rifugiati politici da Cile, Argentina e Brasile.
All'epoca l'intera popolazione straniera comunitaria ed extracomunitaria non
superava le 300.000 unità.
Con gli anni '80 si è assistito ad un consistente aumento dei flussi
migratori, prevalentemente dal Nordafrica, ma anche dall'Asia e dall'America
Latina e l'Italia per la prima volta si è scoperta multietnica.
Al 31.12.1985 i cittadini stranieri registrati erano circa 423.000, mentre le
presenze di clandestini, difficilmente quantificabili, si ritenevano di numero
pari a quelle dei loro concittadini extracomunitari in Italia regolarmente.
Tra l'86 e l'89 vengono varate le prime norme "a garanzia" dei diritti del
cittadino straniero in ottemperanza a quanto disposto dalle convenzioni
internazionali, fino a giungere alla legge "Martelli" (D. L. 30.12.1989 n.
416).
Alla data del 31.12.1990, termine ultimo per richiedere la sanatoria prevista
da tale legge, risultavano registrati 781.138 cittadini stranieri comunitari ed
extracomunitari, di cui 217.730 emersi dalla clandestinità.
In realtà, i cittadini stranieri extracomunitari che al 31.12.1990 erano
presenti in Italia - anche se clandestinamente - erano molti di più ma
non tutti possedevano i requisiti per chiedere la sanatoria cosicché
coloro che rimasero nella clandestinità furono circa il 30% del totale
dei loro concittadini.
Questo dato è stato confermato a seguito della sanatoria del 1996 (Legge
9.12.1996 n. 617) quando, alla fine del '96, risultavano registrati 1.076.333
stranieri, di cui circa 250.000 emersi dalla clandestinità.
A questa data, il rapporto cittadini regolari/cittadini clandestini
apparentemente diminuisce poiché la sanatoria è particolarmente
restrittiva, cosicché soltanto una parte dei clandestini risultano avere
le "carte in regola" per istituzionalizzare la loro posizione in Italia.
Il rapporto reale rimane sostanzialmente costante e così ogni due
cittadini extracomunitari in regola, uno è clandestino.
Ad oggi (ottobre 1999) i cittadini stranieri presenti regolarmente sul
territorio nazionale sono 1.250.214 (dati Caritas) dai quali vanno dedotti gli
oltre 55.000 cittadini statunitensi, i 40.000 cittadini tedeschi, i quasi
30.000 cittadini francesi, i 27.000 inglesi, i 20.000 svizzeri.
In buona sostanza i cittadini prevenienti da aree del terzo mondo o comunque
depresse superano di poco il milione e tra questi le presenze più
significative provengono da:
Marocco:145.000; Sri Lanka: 31.000; Albania: 91.000; Polonia: 28.000;
Filippine: 77.000; Egitto: 27.000, Tunisia: 47.000; Perù: 26.000; ex
Jugoslavia: 40.000; India: 25.000; Cina Popolare: 38.000; Brasile: 19.000;
Romania: 37.000; Croazia: 17.000; Senegal: 35.000:
La normativa vigente in Italia
La normativa attualmente vigente in Italia è costituita dal D.
Lgs. 25.7.1998 n. 286 così come modificato dal D. Lgs. 113/99 ove sono
stati raccolti tutti gli strumenti normativi precedenti, ma ancora vigenti, da
quelli di epoca fascista (T.U.L.P.S.- Testo Unico delle Leggi di Pubblica
Sicurezza del 1931), alla più recente Legge "Martelli" (1989) fino alle
ultime leggi in materia.
Questo "codice dell'immigrazione e dello straniero" si applica agli apolidi e
ai cittadini non appartenenti all'Unione Europea, unici ad essere indicati
dall'art. 1 come "cittadini stranieri", e mira ad istituzionalizzare il
fenomeno dell'immigrazione, controllandone l'evoluzione in un'ottica di
sfruttamento e repressione del proletariato internazionale di respiro
europeo.
Va subito evidenziato come la normativa in esame sia approssimativa nel
disciplinare il fenomeno dell'irregolarità, mancando in Italia una
tradizione nella politica dell'immigrazione che dia impulso a studi sociologici
sulla composizione anagrafica, sociale, di provenienza geografica dei
clandestini in Italia, sulle cause che alimentano l'irregolarità con
riferimento ai nuovi ingressi e sulle cause che ritardano il passaggio dallo
stato di irregolare a quello di regolare.
Non c'è stata soprattutto la volontà politica, subito dopo la
legge "Martelli", di fare emergere dall'irregolarità i cittadini
stranieri presenti clandestinamente in Italia e questo non solo per
responsabilità del sistema di governo, ma anche per l'interesse
dell'imprenditoria italiana a sfruttare il serbatoio dei clandestini alla
ricerca di manodopera "in nero" con costi estremamente ridotti da adibire ai
settori dell'agricoltura, della pesca e dell'artigianato nonché per
l'ignavia degli intellettuali italiani incapaci di far fronte alla montante
cultura xenofoba.
Non è poi trascurabile la volontà di talune comunità, come
quella cinese, di mantenere fuori dal controllo istituzionale i propri membri
per meglio sfuggire ai controlli sulle loro attività imprenditoriali
(catene di ristoranti, laboratori di pelletteria ed abbigliamento) ovvero di
altre comunità, come quelle curda e tamil, che, in mancanza di
riconoscimento dello status di rifugiato per taluni suoi componenti, li hanno
necessariamente protetti dal controllo degli stati di provenienza (Turchia e
Sri Lanka) con la clandestinità.
Entrando ora nell'analisi della legge, va subito detto come la stessa sia
ripartibile in tre principali sezioni:
Disciplina dell'ingresso dello straniero in Italia: controlli alle frontiere,
disciplina del respingimento e delle espulsioni e norme finalizzate al
contrasto delle organizzazioni criminali che gestiscono l'immigrazione
clandestina.
Disciplina del soggiorno: visto d'ingresso, permesso e carta di soggiorno.
Garanzie e diritti per il cittadino straniero.
Esaminiamo partitamente queste sezioni come segue.
1. Disciplina dell'ingresso dello straniero in Italia.
Innanzitutto è stato previsto che ogni anno possano entrare in
Italia circa 60.000 stranieri. A tale programmazione vanno poi sommate le
presenze degli stranieri richiedenti asilo politico (circa 2.000 nei primi sei
mesi del 1998), di coloro che invocano forme di protezione umanitaria (vedi
Kosovo) nonché dei beneficiari delle domande di ricongiunzione
familiare.
I criteri generali per la definizione dei flussi d'ingresso in Italia sono
dettati dalla politica internazionale dello stato italiano che, con
programmazione triennale, pianifica le presenze straniere tenendo conto della
situazione interna del mercato del lavoro nazionale, delle opportunità
offerte dalla conclusione di accordi bilaterali con i paesi d'origine e di una
quota di ingressi per lavoro comunque riservata alle richieste nominative (art.
3).
La programmazione governativa prevede attualmente un particolare favore per i
cittadini provenienti dal bacino del Mediterraneo, dall'Est europeo e
dall'Africa subsahariana e ciò nella consapevolezza dell'assunzione del
ruolo di potenza regionale dell'Italia.
Sono da anni previsti, poi, degli accordi nazionali per il flusso di cittadini
extracomunitari in Italia con pianificazione dell'economia locale (vedi accordo
italo-tunisino sull'industria della pesca in Sicilia, con equipaggi misti
italo-tunisini o l'accordo italo-sloveno per agevolare il collocamento
lavorativo dei cittadini sloveni nella regione di confine).
Particolare attenzione meritano, poi, le nuove procedure previste per il
respingimento alle frontiere o per l'espulsione degli immigrati clandestini che
hanno trovato concreta attuazione in quella parte della legge che, accanto alle
politiche di integrazione e di accoglienza per l'immigrazione regolare, ha
inteso rendere effettivo il filtro militare che lo stato italiano opera per
conto dell'intera Europa occidentale (artt. 10 e 11).
E' ormai pacifico, infatti, che molti degli stranieri che si affacciano in
Italia abbiano come meta altri paesi europei così da rendere necessario
per lo stato italiano l'assunzione del ruolo di gendarme della frontiera
occidentale. É, pertanto, a tutela degli interessi occidentali che
l'Italia provvede a tenere lontani gli stranieri indesiderati attraverso il
massiccio ricorso al respingimento alle frontiere per chi illegalmente le
penetra e all'accompagnamento coattivo alle frontiere per chi, dopo essere
entrato nel territorio nazionale, non vi lavora in regola o vi commette reati
(artt. da 13 a 19).
L'espulsione amministrativa è disposta per motivi di ordine pubblico o
di sicurezza, quando lo straniero abbia violato le norme di ingresso, si sia
trattenuto in Italia senza richiedere il permesso di soggiorno ovvero quando il
permesso di soggiorno sia scaduto da più di 60 giorni e non ne sia stato
chiesto il rinnovo ed in molti altri casi nell'assoluta discrezionalità
dell'Autorità di Pubblica Sicurezza (Questura e Prefettura).
Va aggiunto che contro l'espulsione è previsto un ricorso, al Giudice
ordinario e non più amministrativo, nel termine di cinque giorni dalla
comunicazione del decreto, termine così breve da rendere il più
delle volte impossibile allo straniero opporsi.
Non va, poi, dimenticata l'istituzione da parte della legge dei "centri di
permanenza temporanea", veri e propri lager destinati a tutti gli stranieri in
attesa dell'espulsione che ivi vengono concentrati e posti sotto controllo
poliziesco.
Con riferimento, poi, alle norme finalizzate al contrasto delle organizzazioni
criminali che gestiscono l'immigrazione clandestina, si osserva quanto segue.
É utile premettere che l'Italia ha una popolazione straniera
regolarmente soggiornante tra le più basse fra i paesi europei, mentre
le stime parlano di una presenza di stranieri irregolari compresa fra un minimo
di 200.000 ed un massimo di 300.000 unità.
Va detto, però, che il conflitto nella ex Jugoslavia, l'entrata in
vigore dell'accordo di Schengen, il possibile allargamento ad Est dell'Unione
Europea, hanno contribuito a fare dell'Italia uno stato di frontiera per
l'intera Europa, superando in ciò anche la Germania.
Il Mediterraneo separa sempre meno il benessere economico ed i regimi
democratici dell'Europa dal resto del mondo, sempre più affamato e
devastato da guerre e disastri naturali.
L'Italia, che mira ad una politica di negoziato con i paesi d'origine e di
transito degli stranieri, ha pertanto previsto delle misure repressive di tutte
le attività dirette a favorire l'ingresso degli stranieri nel territorio
dello Stato attraverso l'Adriatico, sugli scafi albanesi e dei contrabbandieri
pugliesi, ma anche attraverso i valichi di frontiera come quelli con la
Slovenia, dai quali giungono in Italia i cittadini dell'Est europeo, ed infine
attraverso il Mediterraneo, solcato dal naviglio di pesca tunisino, che
trasporta cittadini maghrebini e dal naviglio soprattutto greco che trasporta
pakistani, curdi e cinesi che vedono l'Italia solo come paese di transito verso
mete più agognate quali la Svizzera, la Francia ed il Nord Europa.
Le misure preventive dell'immigrazione clandestina hanno determinato un
innalzamento del livello di scontro con la criminalità organizzata
italiana (Sacra Corona Unita e 'ndrangheta) che, accanto alle tradizionali
attività delittuose, ha affiancato quelle altrettanto produttive tipiche
dei moderni negrieri, aiutati in ciò anche dalle teste di ponte
criminali che, soprattutto la Sacra Corona Unita, ha impiantato in
Montenegro.
La politica repressiva italiana è pertanto una politica portata avanti
anche nell'interesse dell'intera Europa che vede nel Mediterraneo una frontiera
facilmente perforabile come quella tra Messico e Stati Uniti.
In questo quadro vanno lette le disposizioni contro le immigrazioni clandestine
(art. 12) che prevedono sanzioni fino a tre anni di reclusione per chi si
limita a favorire l'ingresso degli stranieri in violazione delle norme vigenti
e fino a quindici anni di reclusione se la tratta dei moderni negrieri riguarda
i minori o donne da avviare alla prostituzione.
I dati della violenta repressione militare delle immigrazioni clandestine sono
allarmanti, come dimostrato non solo dalla tragedia della nave albanese
speronata da una nave miliare italiana con oltre 70 morti, ma anche dagli
abbandoni sugli scogli di donne e bambini da parte degli scafisti che, per
sfuggire alla cattura, si dimostrano pronti a tutto.
In questo tragico quadro a nulla valgono le misure finalizzate all'integrazione
sociale, alla repressione delle discriminazioni per motivi razziali e
all'istituzione di un fondo nazionale per le politiche immigratorie (artt. da
42 a 46).
2. Disciplina del soggiorno: visto di ingresso, permesso e carta di
soggiorno.
Il cittadino non comunitario può entrare in Italia mediante visto
di ingresso ed idonea documentazione atta a confermare lo scopo e le condizioni
del soggiorno nonché la disponibilità di mezzi di sussistenza
sufficienti per la durata del soggiorno e per il ritorno nel paese di
provenienza (art. 4).
Subito dopo essere entrati, gli stranieri possono liberamente circolare nel
territorio nazionale, salvo quanto stabilito nelle leggi militari, di
sanità e di sicurezza (art. 6).
Gli stranieri possono ottenere un permesso di soggiorno, che non può
essere superiore a tre mesi per visite, affari e turismo, sei mesi per lavoro
stagionale, un anno per motivi di studio, due anni per lavoro autonomo, per
lavoro subordinato a tempo indeterminato e per ricongiungimenti familiari.
Il permesso di soggiorno è sempre rinnovabile (art. 5).
E' previsto poi un permesso di soggiorno per motivi umanitari (art. 18)
nell'ambito dell'adozione di misure straordinarie di accoglienza in occasione
di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in
paesi non appartenenti all'Unione Europea (art. 19).
Da segnalare finalmente la previsione normativa secondo la quale la perdita del
posto di lavoro non costituisce motivo per privare lo straniero ed i suoi
familiari legalmente residenti del permesso di soggiorno.
Va detto anche che agli stranieri disoccupati ovvero impossibilitati, per
condizioni personali, sanitarie o per età, a svolgere un'attività
lavorativa può essere rilasciato un permesso di soggiorno della durata
di un anno.
Lo straniero, al fine di ottenere il rilascio del permesso di soggiorno per
lavoro di durata biennale, deve comunque dimostrare o di avere un rapporto di
lavoro in corso oppure un formale impegno di assunzione, comprovati
dall'assenso del datore di lavoro.
Con la nuova normativa, allineandosi a quanto già applicato in altri
paesi europei, si è introdotta, accanto al permesso di soggiorno, la
cosiddetta carta di soggiorno concessa a coloro che soggiornano regolarmente
in Italia da almeno cinque anni e già titolari di permesso di soggiorno
per motivi che consentono un numero indeterminato di rinnovi e che dimostrino
di avere in reddito sufficiente per il sostentamento proprio e dei familiari.
Detta carta di soggiorno è a tempo indeterminato (art. 9).
Oltre a quanto previsto per lo straniero regolarmente soggiornante nel
territorio dello Stato, il titolare della carta di soggiorno (art. 9 c. 4)
può:
fare ingresso nello Stato senza visto;
svolgere ogni attività lavorativa, commerciale o culturale;
accedere ai servizi ed alle prestazioni erogate dalla Pubblica
Amministrazione;
godere di tutti i diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano e
partecipare alla vita pubblica locale (elettorato attivo e passivo).
3. Garanzie e diritti per il cittadino straniero.
Con la legge in esame lo stato italiano ha inteso contenere il fenomeno
dell'immigrazione cercando di contemperare la sempre maggiore richiesta
proveniente dal mondo imprenditoriale di manodopera remissiva e flessibile con
la necessità di ridurre i costi sociali posti a carico dello stato e
costituiti soprattutto dagli oneri di assistenza e previdenza sociale,
assegnazione di alloggi popolari ed assistenza sanitaria con conseguente
ridimensionamento dei diritti dei cittadini stranieri.
In quest'ottica vanno lette le disposizioni in materia di disciplina del lavoro
e del regime pensionistico applicabile ai cittadini stranieri, di
determinazione dei flussi di ingresso (art. 21), di disciplina particolare in
materia di lavoro subordinato a tempo determinato ed indeterminato (art. 22),
lavoro stagionale (art. 24), lavoro autonomo (art. 26) e lavoro in casi
particolari (art. 27).
Particolare attenzione è stata poi data alla riforma del sistema
pensionistico obbligatorio e complementare per i lavoratori stranieri che
abbiano cessato l'attività lavorativa in Italia e lascino il territorio
nazionale, conservando la facoltà di richiedere la liquidazione dei
contributi versati in loro favore presso forme di previdenza obbligatoria
maggiorati del 5%.
Va però detto che se la legge in esame prevede la liquidazione a favore
del lavoratore straniero di tutti i contributi senza alcuna esclusione versati
in suo favore, l'INPS riconosce la restituzione al lavoratore straniero solo
delle somme trattenute sulla busta paga (art. 22 comma 11).
Allo straniero è poi riconosciuta parità di trattamento con il
cittadino italiano relativamente alla tutela giurisdizionale dei diritti e
degli interessi legittimi e, ai fini della comunicazione di tutti i
provvedimenti concernenti l'ingresso, il soggiorno e l'espulsione, gli atti
relativi debbono essere tradotti in una lingua comprensibile al destinatario:
inglese, francese, spagnolo o arabo.
Il cittadino straniero gode, poi, di tutti quei diritti che, sanciti dalle
convenzioni internazionali, iniziano ad avere una prima parziale applicazione
anche in Italia, quali il diritto all'unità familiare ed al
ricongiungimento familiare (artt. da 28 a 30), la tutela dello straniero minore
(artt. da 31 a 33), l'assistenza sanitaria anche per coloro non iscritti al
Servizio Sanitario Nazionale (artt. 34 e 35), con previsione della
possibilità di fare ingresso in Italia anche per cure mediche (art.
36).
Una particolare disciplina è, poi, prevista in materia di istruzione e
diritto allo studio (artt. da 37 a 39) ed in materia di alloggio ed assistenza
sociale (artt. 40 e 41).
Una particolare tutela è data, infine, ai richiedenti lo status di
rifugiato ai quali è concesso un contributo giornaliero di Lire 34.000
per un periodo di 45 giorni se sono privi di mezzi di sussistenza.
Tale materia è disciplinata dalla Legge 28.2.90 n. 39 che affida alla
Commissione Centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato il compito
di esaminare le relative domande per tutti coloro che, fuori dallo stato di cui
hanno la cittadinanza, non possano o non vogliano avvalersi della protezione di
quest'ultimo, trovandosi in una delle condizioni di cui all'art. 1 lettera f)
della Convenzione di Ginevra del 28.7.51.
Conclusioni
L'Italia, dopo l'emergenza terrorismo e l'emergenza mafia, ha scoperto
di avere un'emergenza stranieri.
L'opinione pubblica italiana è impegnata a santificare gli stranieri
pronti a farsi schiavizzare in Italia con salari inferiori a quelli
contrattuali, a pagare canoni d'affitto sempre più liberalizzati ai
proprietari italiani ed a sottostare ad una politica di costante ricatto
costituito dalla minaccia di non rinnovare il permesso di soggiorno.
Per contro, l'opinione pubblica demonizza lo straniero attribuendogli
l'esclusiva responsabilità del degrado delle metropoli, della carenza
degli alloggi popolari e della compressione dei posti di lavoro.
In questo quadro, la logica che ha ispirato la vigente disciplina sugli
stranieri è fondata su un netto discrimine tra stranieri che entrano e
soggiornano in Italia per farsi sfruttare meglio e che sono disposti a non
esercitare i propri diritti e stranieri che entrano in Italia clandestinamente,
lavorando "in nero" o orbitando intorno a circuiti criminali e/o di assoluta
emarginazione.
In questa seconda ipotesi, diritti e garanzie a favore dei cittadini stranieri
sono sostanzialmente nulli e tantomeno si possono far valere.
La politica dei diritti degli stranieri e di integrazione culturale e
multietnica proclamata dall'Italia rimane, pertanto, solo sulla carta,
lasciando il posto allo sfruttamneto indiscriminato, al controllo - ricatto dei
cittadini stranieri in regola ed alla repressione poliziesca di quelli
clandestini.
Per contro, l'identificazione del problema dell'immigrazione in generale con il
problema dell'ordine pubblico e della legalità alimenta l'ondata
xonofoba con la conseguente richiesta da parte dell'opinione pubblica
dell'adozione di una politica di chiusura nei confronti degli stranieri e di
inasprimento della normativa in materia nonché del trattamento
sanzionatorio.
Di fronte a questa situazione il movimento antagonista e rivoluzionario
dimostra la sua sostanziale incapacità a dare un volto internazionalista
ed unitario alle aspettative di trasformazione radicale della società
avanzate dai giovani e dai proletari italiani ed alle richieste di
rivendicazione sociale e culturale avanzate dai lavoratori stranieri.
Gli stessi intellettuali "illuminati" non sembrano interessati a questa
problematica, limitandosi a proclamare a parole la necessità di una
convivenza multietinica e di una politica assistenziale più attenta.
Nella realtà, mancando una vera e propria politica assistenziale a
favore degli stranieri da parte dello Stato, tale compito è affidato per
lo più alla Caritas e ad altre organizzazioni di estrazione cattolica,
mentre il movimento antagonista e comunque laico di sinistra non mostra di
avere nessun concreto interesse né a sviluppare una propria rete
assistenziale né a creare una cultura di integrazione etnica alternativa
a quella istituzionale praticata dallo Stato.
Sergio Onesti
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