![]() Da "Umanità Nova" n.19 del 28 maggio 2000 I misteri di Fatima e le trame del Vaticano"Finalmente! Anche questa è andata, anche il terzo mistero di Fatima, l'eterna "profezia" è stata rivelata e così si può farla finita una volta per tutte". Mi pare sia stata questa, in generale, la prima inevitabile reazione di molte coscienze laiche di fronte alla sceneggiata clericale che ha riempito le pagine dei giornali di tutto il mondo cattolico. Eppure, nonostante la legittima tentazione di cacciare nel ridicolo una tale manifestazione visionaria, incomprensibile per le nostre sensibilità, sono convinto che non possiamo cavarcela così a buon mercato. Non possiamo fermarci, cioè, ad una lettura superficiale dei fatti, perché ancora una volta ci troviamo di fronte a una prepotente dimostrazione della forza e della capacità di controllo che la chiesa riesce ad esercitare nei confronti dei suoi fedeli. Di tutti, nessuno escluso. E per capire come e perché ciò possa succedere, penso che dovremo cercare di fare una qualche riflessione in più. Per come si è svolta la faccenda, appare chiaro, infatti, che non si è trattato semplicemente di un ulteriore atto di fanatismo reso possibile, nella fattispecie, dalla evidente arretratezza delle masse cattoliche rurali del Portogallo, bensì di un passaggio forte nella strategia che la chiesa e, in particolare, questo papa stanno portando avanti per riaffermare il ruolo egemonico del cattolicesimo nella sfera spirituale del mondo moderno. Strategia che - come mi pare di capire - presenta anche contraddizioni interne e momenti deboli, ma in sostanza viene perseguita con estrema coerenza dall'intero apparato vaticano. Innanzitutto è, ancora una volta, in grado di sorprenderci la capacità della chiesa di far presa con tanta efficacia sul bisogno di irrazionale che si manifesta in tutte le classi sociali. Appare davvero sintomatica infatti l'abilità del clero nell'utilizzare e controllare le forme di fanatismo che accompagnano le apparizioni mariane, con il loro corollario di miracoli, penitenze e profezie. Presentando il miracoloso come momento essenziale della fede, il sistema ecclesiastico riesce, con sconcertante facilità, a plagiare tante anime semplici e bisognose di essere atterrite dall'inferno e rassicurate dalla grazia divina: in un alternarsi di minacciose profezie e di benevole dichiarazioni d'amore, si riproduce il mito primordiale, fondato sul continuo intrecciarsi del divino nella quotidianità della vita. Per questo non va sottovalutata l'importanza che la chiesa continua a dare a tali anacronistiche sagre dell'irrazionale, che se, ai nostri occhi, sembrano residui paganeggianti, rappresentano invece alcuni dei momenti più alti della identificazione fra fede e soprannaturale. Il mito si sostituisce, o meglio, si affianca al rito, l'irrazionale si affianca alla ragione integrandola quando la fede si assopisce. Fatima, Lourdes, Loreto, Santiago e chi più ne ha più ne metta sono gli esempi più lampanti della straordinaria capacità della chiesa di forgiare, indirizzare, controllare le "coscienze" dei propri adepti. Facendo leva sull'importanza simbolica di queste manifestazioni, e ben consapevoli del particolare momento mediatico che andavano a costruire, le gerarchie ecclesiastiche, con cinico e ipocrita realismo, hanno strumentalizzato i vari aspetti di questa festa dell'irrazionalità, per lanciarsi in una nuova battaglia curiale, nel quadro della lunga guerra intestina che travaglia il Vaticano da quasi cinquant'anni. Nella chiesa nulla è lasciato al caso, e anche l'apparente incongruità e l'improvvisa accelerazione che è stata data alla fase di disvelamento della "profezia", il modo in cui è stata divulgata, il quando e il come, la sua fondamentale inconsistenza proprio a livello "profetico", sono tutti elementi finalizzati a ridisegnare, a formare, a contrastare nuovi e vecchi equilibri. Scorrendo le pagine dei quotidiani, si incontrano varie ipotesi sui motivi che hanno indotto Wojtila a scegliere questo momento per la grande "rivelazione": si va dalla rilettura della storia postcomunista alla volontà di beatificazione in terra del papa, dalla accentuazione dell'importanza della figura di Maria alla lotta contro il materialismo e la supremazia della tecnica, e tutte le spiegazioni trovano una logica e un fondamento plausibili. Credo però che la lettura più appropriata sia quella che interpreta i fatti alla luce dei profondi contrasti che albergano nelle stanze vaticane. Ancora una volta, infatti, è il Concilio Vaticano II, con il suo spirito di "rinnovamento" e il suo slancio ecumenico, il vero oggetto del contendere. Le contraddizioni che aprì negli anni Sessanta all'interno della chiesa, con le opposte spinte centrifughe di chi non riusciva ad adattarsi ai tempi nuovi e di chi, al contrario, ci si adattava troppo, evidentemente non sono ancora sanate, ma ricreano periodicamente palesi momenti di alta conflittualità. Se si pensa infatti che, stando alle indiscrezioni, la decisione di rivelare il presunto segreto sarebbe stata presa collegialmente dal papa, dal segretario di stato Sodano, dal portavoce ufficiale Navarro-Valls e dal prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (ex Sant'Uffizio), il famigerato Ratzinger, si capisce come le modalità di esecuzione dell'evento siano state accuratamente dosate a tavolino. Dapprima l'esecuzione della sceneggiata davanti ai pellegrini di Fatima sotto la regia del papa (ma con l'intervento ambiguamente esplicativo di Sodano), poi la pubblicazione ufficiale del testo di suor Lucia, sotto la direzione del Sant'Uffizio. Un gioco delle parti, insomma, nel quale i due schieramenti si affrontano a viso aperto, l'uno attribuendosi il merito di aver rivelato la "profezia" sottraendola, una volta per tutte, alle suggestioni apocalittiche e alle manipolazioni anticonciliariste (c'è infatti chi afferma che in essa vi sia una chiara condanna del Concilio: ed ecco perché Giovanni XXIII non l'avrebbe rivelata quando lo si doveva fare), l'altro assumendosi l'importante compito di spiegarla e chiosarla, riconducendola così nell'ambito dell'ortodossia dottrinale. La lotta al comunismo, quella all'ateismo, il martirio dei credenti, la consacrazione della Russia dopo la sua scristianizzazione, l'attentato al papa... tutto quanto è contenuto, o si presume lo sia, nella "profezia", diventano armi ideologiche e strumenti di offesa: chi approverà la scelta di Giovanni XXIII che permise di mantenere buoni rapporti diplomatici con il mondo comunista, chi muoverà rimproveri all'attendismo della fazione conciliarista per attaccare ogni forma di compromesso col modernismo ateo di oggi, chi rivendicherà la rottura con vetuste forme di tradizionalismo, chi addebiterà a questi processi la crescente emarginazione della chiesa nel ricco mondo occidentale... La rilettura di vecchi fatti quindi, anche se ormai superati dall'attualità, per spostare equilibri e per lanciare nuove strategie, il tutto sulla testa di masse inconsapevoli e superstiziose affamate di verità rivelate. Ancora una volta, dunque, un momento di contraddizione interna, che potrebbe indebolire la presa della chiesa sul suo popolo, viene superato trasformandosi, con millenaria abilità, in un vero e proprio coup de théâtre ad uso di fedeli creduli e bigotti. La debolezza che diviene forza, il contrasto che si fa coesione. Tutto questo, come sempre, al fine di ribadire e riproporre la funzione del cattolicesimo nella battaglia tenace e difficile contro la tecnica, contro questo nuovo ateismo, o agnosticismo, che tanto preoccupa - e giustamente - le gerarchie ecclesiastiche. Pur nella diversità degli strumenti, l'identità di vedute dei vertici vaticani sulla necessità di affermare il ruolo egemonico della loro organizzazione è perfettamente coincidente: ciò che importa è che la chiesa romana sia in grado, come in passato, di assolvere in maniera monopolistica la propria funzione di faro morale e spirituale, in modo che la "verità del verbo incarnato" rimanga il momento più alto della dimensione morale e spirituale dell'uomo moderno. Paradossalmente, questo obiettivo rivolto alla modernità viene perseguito sfruttando quanto di più "medioevale" permane nella coscienza collettiva della massa dei fedeli; eppure, a ben vedere, ciò non è affatto paradossale, ma è piuttosto la dimostrazione di come la chiesa sia ancora in grado di esprimere potenza e suggestione, permettendosi di far leva su ciò che per essa, e per i credenti, è immaginifico e divino, ma che agli occhi dei laici dovrebbe apparire semplicemente ridicolo e meschino. Dico dovrebbe, perché basta osservare la uniformità sostanziale dei commenti dei media - tutti, chi più chi meno, ben disposti ad accettare reverenzialmente l'interpretazione vaticana dell'intera faccenda, senza una effettiva parola di critica - per comprendere come, in fin dei conti, la chiesa non sbagli i suoi calcoli, e non tema di esporsi al ridicolo con madonne piangenti e pastorelli allucinati, sicura com'è di aver intrapreso la strada più facile e meno imprevedibile per riaffermare la propria "indispensabilità" nell'alleviare le paure dell'uomo moderno. L'impegno anticlericale degli anarchici non può quindi esaurirsi nella denuncia delle malefatte (tante) della chiesa e dei suoi rappresentanti, ma deve anche riprendere in esame i processi intellettuali coi quali si diventa credenti, al fine di comprendere, ad esempio, come possa nascere il desiderio di credere in un dio metafisico e indimostrabile, in persone che altrimenti, quotidianamente, usano solo logica e razionalità per rapportarsi con il mondo. Credo che il nostro compito sia non tanto quello di estirpare la fede da chi l'ha, bensì quello di prosciugare il fiume all'interno del quale nuota l'esigenza di risolvere nel divino i propri problemi terreni, quindi di togliere l'acqua a chi, di quest'acqua, si pasce per mantenere un centro di potere feroce e dannoso quale è stato, storicamente, il Vaticano. Massimo Ortalli
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