unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n.21 del 11 giugno 2000

Corpo, mente, cuore
Qualche pensiero sull'eutanasia

Ho scelto di iniziare con il titolo di un libro molto bello di Bernardi e Barioli queste riflessioni che mi sono venute in mente in seguito alla notizia del ragazzo che ha aiutato il suo amico a morire e che a seguito della sua scelta ha dovuto affrontare non solo l'assalto dei mass media, a tutto interessati tranne che alla sua felicità e a quella del ragazzo morto, ma anche un accusa per omicidio di consenziente: un'accusa che può portare ad una condanna da 5 a 16 anni.

Nella mia vita ho assistito tre persone fino al momento della loro morte. Tutte e tre avevano scelto più o meno consapevolmente di morire a casa loro, nel proprio letto, accompagnate dalle persone che avevano voluto loro bene durante la vita. Nessuna aveva mai chiesto di essere aiutata a morire, per mia fortuna, perché non so se il mio amore per loro sarebbe stato capace di farlo.

Ma da queste esperienze ho acquistato la consapevolezza che la morte può essere affrontata con serenità solo se non sei solo, se sai fino all'ultimo momento di poter contare su qualcuno. Facciamo molta fatica ad accettare la morte biologica, ma quello che ci fa realmente paura è la morte del proprio cuore e della propria mente. Chiedere ad un amico di accompagnarti fino alla morte, di starti vicino e di aiutarti quando non ce la fai più è un profondo atto di amicizia e di fiducia nell'altro.

Qualcuno penserà che sia meglio suicidarsi quando si ritiene che la propria vita biologica non valga più la pensa di essere vissuta, con un atto di libera scelta che non coinvolga nessun altro. Forse è più "eroico". Ma non è forse invece più dolce riconoscere che anche se il corpo non vuole o non può più vivere, il proprio cuore e la propria mente non sono morti, ed il proprio desiderio è di morire amati, accompagnati da altre persone, così come prima si era desiderato vivere accompagnati ed amati?

Il giudizio è impossibile, il rispetto delle decisioni altrui è obbligatorio.

Non è forse da una profonda invidia per questo legame così forte che univa i due ragazzi di cui abbiamo parlato che nascono i commenti letti su alcuni giornali che li definivano immaturi, che ricordavano gli alpini che a pugni e calci incitavano il commilitone a continuare. Il procuratore che indaga sul caso ha sentenziato: "Sto cercando di capire su quale struttura microsociale particolarissima possa galleggiare questo modo così anomalo di relazionarsi con la morte".

Ma probabilmente per lui è anomalo relazionarsi con la morte in qualsiasi caso. Chi non concepisce la libera scelta nella propria vita ancor meno può capire la libera scelta nella morte. In una società in cui l'altro è visto come un potenziale nemico, un invasore della tua sfera privata, un limitatore della tua libertà, una società dove l'aggressività orizzontale latente in ognuno è diventata così diffusa ed ha sostituito la solidarietà, non è pensabile un gesto di amore che ponga fine alle sofferenze altrui. Non è pensabile poter concludere la vita biologica con un atto di libera scelta.

La cura del nostro corpo, la malattia, la morte, sono sempre più in mano ai tecnici che a noi stessi e finiamo per ritrovarci in un corpo in cui non stiamo bene e portatori di una mente e di un cuore che a volte ci sono nemici, ci portano ansia, stress. Riscoprire che il disagio non sempre può essere affrontato con i farmaci, che la morte può essere più sopportabile se riguarda tutto me stesso e non solo il mio corpo, ci può essere d'aiuto nel costruire la possibilità di un mondo nuovo, di una vita diversa, che ci porti a convivere serenamente con la paura della morte.

Rosaria



Contenuti UNa storia in edicola archivio comunicati a-links


Redazione: fat@inrete.it Web: uenne@ecn.org