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Da "Umanità Nova" n.21 del 11 giugno 2000

La rivolta degli immigrati
Torino: la polizia contro immigrati e antirazzisti

I fatti sono noti: la polizia irrompe in forze nell'abitazione di tre giovani fratelli marocchini immigrati da qualche anno nel nostro paese per effettuare l'arresto di uno dei tre accusato di spaccio. Uno dei tre "vola" dal quarto piano e si ferisce gravemente infilzandosi in un palo arrugginito che sporge dal piano inferiore: aspetterà lì oltre 40 minuti l'arrivo dell'ambulanza. Il più giovane dei tre fratelli Rachid dichiara: "La nostra porta era aperta, i carabinieri sono entrati e dopo aver picchiato tutti, hanno strattonato Abdelakadir che ha perso l'equilibrio ed è caduto".

La notizia si propaga in un batter d'occhio e presto si aduna una folla di immigrati e di italiani solidali in rivolta contro una violenza ed un sopruso gravissimi che però non rappresenta che il picco di una vita che per ciascuno è quotidianamente densa di piccoli e grandi episodi di discriminazione e sopraffazione poliziesca. Per ore decine di immigrati hanno presidiato l'incrocio tra via Priocca e via La Salle, fronteggiati dalla polizia. Diversi cassonetti della spazzatura sono stati rovesciati in strada, poi la protesta dei magrebini si è spostata in corso Giulio Cesare dove è stato bloccato il traffico.

Siamo in via La Salle, nella zona di Porta Palazzo ove sopravvivono case di ringhiera in stato di totale degrado e dove da sempre abitano i più poveri, e gli ultimi arrivati nella capitale dell'automobile. La mia bisnonna e le sue sorelle nacquero in una di queste case a qualche isolato di distanza da via La Salle in quella che all'epoca era la periferia di una città destinata ad allargarsi progressivamente verso est, dando spazio a quartieri operai teatro delle grandi lotte sindacali dei primi decenni del secolo. La casa della mia bisnonna che era sarta e delle sue sorelle, tabacchina una e operaia l'altra, oggi non c'è più: dichiarata pericolante pochi anni orsono è stata demolita. In quella casa e nelle altre intorno sono passati tutti gli immigrati giunti in questa città dura ma, talora, capace di solidarietà. I contadini inurbati della montagna e della campagna piemontese prima, poi i siciliani, i lucani, i pugliesi, i veneti, i campani, i friulani, gli abruzzesi e poi ancora i marocchini e i senegalesi e i cinesi. Ciascuno di loro è venuto sperando in una vita migliore e ha portato con se gli odori, i sapori, la musica di altri luoghi, luoghi lontani ieri non meno di oggi, perché nel piccolo villaggio in cui viviamo oggi il Marocco è forse più vicino di quanto non lo fossero il Veneto o la Sicilia quarant'anni orsono. Anche l'altra mia nonna, che veniva dalla Sicilia e l'italiano non ha mai imparato né a leggerlo né a parlarlo ma oggi parla solo in torinese, ha abitato una di quelle case, dove oggi come allora non c'erano bagni ma solo latrine comuni per decine di persone. Oggi come allora agli immigrati si affitta solo a condizione che paghino cifre enormi per case degradate senza riscaldamento né sevizi. Oggi come allora la polizia staziona spesso nelle vie attorno al grande mercato di Porta Palazzo ed oggi non meno di allora rivolge in prevalenza le proprie "attenzioni" proprio agli immigrati. Oggi come quarant'anni fa chi vive qui campa con mestieri da operaio, muratore, piccolo commerciante, qualcuno di piccoli traffici più o meno legali, altri arrangiandosi giorno per giorno.

Da qualche anno però qualcosa è cambiato perché nel quartiere si aggirano anche le guardie "padane" di Borghezio, ex fascista ora leghista noto per le sue campagne razziste: i suoi pretoriani di periferia raccolgono il malcontento iroso e risentito di chi, tra gli italiani, non è mai riuscito ad andarsene in un altro quartiere: sono i pensionati cui la "minima" non consente di arrivare alla fine del mese, i commercianti che sperano che le loro botteghe possano far concorrenza a quelle del vicino centro, sono i tanti che questa città ha buttato ai margini che non trovano di meglio che scaricare le proprie paure sugli ultimi arrivati, sugli immigrati. Vi sono poi gli immigrati "integrati", quelli che hanno aperto i negozi, quelli che si candidano alla leadership della comunità araba che ormai da mesi si proclamano fautori di legge ed ordine, si siedono allo stesso tavolo del vicesindaco sceriffo Carpanini per assicurare il proprio appoggio alle campagne sulla sicurezza, quelli che si raccolgono intorno alla moschea e al suo imam che in queste arroventate giornate di giugno si è apertamente schierato a fianco della polizia, difendendone l'operato persino in occasione dell'operazione che ha portato al "volo" del giovane marocchino dal quarto piano della sua abitazione.

Anche in altri ambiti si respira un'aria diversa perché emerge in modo chiaro come la rabbia degli immigrati questa volta si sia trasformata in una certa capacità di organizzazione autonoma. Infatti dopo i blocchi stradali del 30 maggio e la presa di distanza dell'imam Bouchta affollate assemblee di piazza hanno dato vita ad un presidio nel tardo pomeriggio del 2 giugno ed il sabato ad un corteo per le strade del quartiere aperto da un camioncino sul quale campeggiava la scritta bilingue "Bouchta traditore". Tra l'altro alcuni immigrati, insoddisfatti per la nostra qualità di sbandieratori, ci hanno chiesto le bandiere anarchiche e le hanno fatte sventolare alla testa del corteo.

Da parte della questura emerge invece una chiara volontà di usare le maniere forti sia contro gli immigrati che contro gli antirazzisti che in città si muovono sulla questione dell'immigrazione al di fuori delle tutele istituzionali.

Nei primi tre giorni di giugno era stata organizzata da vari gruppi, associazioni, centri sociali, tra cui la Federazione Anarchica Torinese, una "tre giorni" davanti al centro di detenzione per immigrati di corso Brunelleschi. L'iniziativa era l'ultima di una lunga serie svoltesi in città negli scorsi sei mesi in cui vi erano state assemblee, presidi, cortei nonché un presidio ininterrotto di 20 giorni con una roulotte sistemata davanti al centro di detenzione che fungeva da punto di riferimento per le varie iniziative: dalle assemblee ai concerti alle proiezioni di filmati. Il presidio con roulotte si era persino meritato un'interrogazione parlamentare del solito Borghezio scatenato contro il "camper squatt".

La "tre giorni" di inizio giugno doveva essere una grande iniziativa cittadina con proiezioni, assemblee, concerti, un convegno, servizio bar e cucina. Il giorno prima la questura e il Comune hanno deciso di vietare agli organizzatori l'utilizzo del suolo pubblico, tentando di relegare lontano dal centro di detenzione la "tre giorni". Gli organizzatori hanno invece deciso di opporsi al divieto e di svolgere ugualmente il programma previsto. I primi due giorni, il giovedì e il venerdì dopo un estenuante braccio di ferro con le forze del "disordine" schierate in tenuta antisommossa intorno ai manifestanti il programma è stato svolto quasi per intero. Sabato 3 giugno, dopo la manifestazione degli immigrati a Porta Palazzo, la polizia ha circondato in armi il gruppo di compagni arrivato in corso Brunelleschi per montare le strutture per l'assemblea, la cena ed il concerto opponendosi fisicamente alla realizzazione dell'iniziativa adducendo a pretesto le proteste per il rumore giunte dagli abitanti dei condomini vicini al centro di detenzione. Persino il tentativo del gruppo musicale l'Estorio Drolo di suonare in acustico sulle panchine ha suscitato la pronte reazione della polizia che li ha obbligati ha riporre gli strumenti.

In serata un gruppo di compagni si è recato in centro ove nella centralissima piazza S. Carlo si svolgeva un rumorosissimo e volgare spettacolo per il giro di Italia con alcune majorette sculettanti in costume da bagno alle note dell'inno di Mameli sotto un'insegna al neon della Fiat. Un paio di compagni si sono arrampicati sul monumento equestre della piazza ed hanno esposto uno striscione per la chiusura del lager di corso Brunelleschi. La polizia non si è fatta attendere ed ha fermato per circa un'ora quattro compagni, sequestrando lo striscione.

Torino si prepara per la prossima ostensione della Sindone e per le olimpiadi e vuole che il clima sia il più possibile pacificato, le strade pulite, gli immigrati obbedienti, l'opposizione tacitata.

A noi l'impegno di rovinargli la festa.

Maria Matteo



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