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Da "Umanità Nova" n.22 del 18 giugno 2000

Torino: educatori in lotta
Un mestiere difficile

Fare l'educatore, soprattutto nelle cooperative sociali, non è un mestiere facile. Ti trovi a fare i conti, infatti, non solo con i problemi della tua utenza, ma con difficoltà economiche di ogni genere nello svolgersi del tuo lavoro, con un salario medio da fame, e via elencando.

A queste difficoltà si è aggiunto ultimamente il peso della decisione ministeriale di riorganizzare i profili lavorativi, a partire da quelli degli educatori del settore sanitario, fregandosene bellamente del fatto che da più di quindici anni il settore nella sua quasi interezza è gestito da personale senza alcun profilo professionale specifico che ha finora retto la baracca, ma che verrebbe rimandato a casa dalle nuove disposizioni in materia.

Ma, a questo punto, a favore dei lettori che (per loro fortuna) poco o niente sanno dell'intricata questione, facciamo un passo indietro.

Il lavoro di assistenza alle persone sofferenti si divide in due grosse branche: quella sanitaria e quella socio-assistenziale; nella prima rientrano gli utenti psichiatrici e i tossicodipendenti, nella seconda gli handicappati, i minori, gli anziani, i barboni. La prima branca viene gestita a livello regionale dagli assesorati alla Sanità sulla base delle direttive nazionali e dalle ASL, questi sono i soggetti referenti di ogni progetto educativo e sono quelli che assegnano le rette per le convenzioni e indicono le gare d'appalto per la gestione dei servizi; il settore socio assistenziale compete innanzitutto ai Comuni, in questo settore però rientrano anche le ASL che, essendo chiamate in causa per il versamento della parte di quota proveniente dal Servizio Sanitario Nazionale, sono anch'esse referenti dei vari progetti e delle varie realtà che lavorano in questo campo.

Una quota consistente del lavoro in questi settori, soprattutto nel campo della gestione degli utenti sulle 24 ore (comunità alloggio o residenziale) è da tempo esternalizzata; i soggetti privilegiati di questo modello di outsorcing sono state le cooperative sociali per i bassi costi e la bassa conflittualità aziendale che esse garantivano. Le cooperative sociali rappresentavano, infatti, una realtà lavorativa facilmente ricattabile e quindi controllabile da parte dell'ente pubblico.

I lavoratori di questi servizi raramente erano (e sono) educatori professionali con tanto di qualifica, soggetti questi ultimi che hanno sempre preferito volgersi verso il lavoro pubblico, più sicuro e meglio (sia pur di poco) remunerato. La gran parte dei lavoratori delle cooperative sociali è sempre stato composto da educatori non professionali, senza una qualifica ufficiale, la cui esperienza sul campo è sempre stata l'unica garanzia di professionalità. Il mercato del lavoro dell'assistenza "esternalizzata" è stato in questi anni un sostanziale far west senza regole certe, ma che dava la possibilità a alcune decine di migliaia di persone di ottenere un reddito con alcune garanzie di continuità e un minimo di sicurezza sulla propria vita.

In questo quadro si è venuta a inserire la volontà ministeriale di normare e regolare questo mercato del lavoro, stabilendo dei canali precisi di reclutamento degli educatori.

Questa decisione a prima vista potrebbe sembrare positiva, essendo destinata a ridurre la ricattabilità degli educatori, facendone delle figure professionalmente riconosciute... Peccato però che il decreto Bindi, che contiene i principi di riforma di questo mercato del lavoro contenga non pochi aspetti quantomeno discutibili, e penalizzi in modo inaccettabile gli educatori non professionali che stanno lavorando da anni nel settore.

In primo luogo il decreto prevede l'istituzione di un corso di laurea breve per ottenere la qualifica di educatore professionale, contribuendo in tal modo al moltiplicarsi di corsi universitari utili solo ad aumentare lo stipendio di baroni, baronetti e valvassori universitari. In secondo luogo il decreto riguarda esclusivamente gli educatori del settore sanitario, che verrebbero così separati dalla figura degli educatori del settore socio-assistenziale, senza che esista alcuna ragione per questa divisione, se non quella che adesso andremo a esporre. In terzo luogo il corso di laurea breve ricadrà sotto la giurisdizione della facoltà di Medicina (ed è questa l'unica ragione della separazione tra i profili del settore sanitario e quelli del settore socio-assistenziale), confermando così la controrivoluzione psichiatrica in atto da alcuni anni, controrivoluzione che ha lo scopo di cancellare ogni residua autonomia degli educatori nel loro lavoro e riconsegnare tutto il potere nel campo agli psichiatri. Psichiatri che ora potranno formarsi a loro piacimento i futuri educatori.

Se già l'istituzione del corso di laurea breve per formare gli educatori è, sotto le sembianze di una forma di garanzia per gli educatori, un ulteriore avanzamento del processo di spossessamento del controllo del proprio lavoro da parte degli educatori stessi, la parte del decreto che riguarda la condizione degli educatori non professionali attualmente impiegati è semplicemente terrificante.

Per comprenderla appieno, però, occorre dare una breve spiegazione di un'istituzione sinistramente famosa tra gli educatori: il corso di riqualifica. Si tratta di un perfetto esempio di come sia possibile torcere una rivendicazione giusta come quella della formazione per gli educatori, in uno strumento di controllo e ricatto volto contro gli educatori stessi. In pratica ogni anno la Regione o i Consorzi Intercomunali dei Servizi Sociali organizzano presso le scuole di formazione per gli educatori, usufruendo di lauti finanziamenti tanto statali quanto europei, dei corsi volti a "formare" educatori che siano già impiegati. In pratica si tratta per questi ultimi di ottenere una "patente" che gli consenta di continuare a fare quello che hanno sempre fatto, ma con la benedizione delle autorità. Questi corsi sono a numero chiuso, spetta alle cooperative segnalare gli educatori che possono accedervi anno per anno, sono a pagamento (spesso, ma non sempre, il costo viene coperto dalle cooperative), e non esiste alcuna norma certa che permetta di scaricare dal proprio orario di lavoro le ore di formazione.

La "patente "ottenuta con questi corsi ha dato diritto fino all'anno scorso all'inserimento nelle file dei salvati, ossia di coloro ai quali veniva riconosciuta la qualifica di educatore professionale. Da quest'autunno le cose non sono più così: questi corsi danno oggi diritto a ottenere non più la sospirata "patente", ma semplicemente un attestato il cui valore viene giudicato sulla base di un meccanismo a dir poco bizantino.

Sostanzialmente viene messa in piedi una gara a punti il cui scopo è arrivare a dodici e ottenere così l'equipollenza con il titolo di educatore professionale; a fare punteggio sono le ore dei corsi (da sei a nove), gli anni di lavoro (0,5 per ogni anno!), il numero di anni trascorsi tra l'entrata in vigore del decreto e il momento dell'ottenimento dell'attestato. Lo scopo della nobile gara, come abbiamo detto, è di arrivare a dodici punti, chi non ci arrivasse, a seconda della sua classifica dovrà sottoporsi a un esame, farsi un ulteriore corso di qualifica, o fottersi (ossia iscriversi al corso di laurea breve).

Se, quindi, la situazione si presenta al limite del delirante per quanto riguarda coloro che stanno svolgendo un corso di riqualifica, ben altrimenti fosca è la condizione di coloro che non si trovano nemmeno in questa situazione e possiedono come unico attestato della loro professionalità gli anni passati a svolgere un mestiere difficile. Questi ultimi, stando così le cose, non hanno che un'unica direzione futura: la strada, probabilmente salutati da un bel arrivederci e grazie!

Vista la situazione, non può quindi stupire che attorno all'iniziativa di alcuni compagni del Coordinamento educatori delle cooperative sociali (aderente alla FLAICA-CUB) di Torino si sia venuto a costituire riunione dopo riunione, volantinaggio dopo volantinaggio, assemblea dopo assemblea un Coordinamento educatori in lotta che giovedì 18 aprile ha avuto la sua prima uscita pubblica con una manifestazione davanti al palazzo della Giunta Regionale. A questa manifestazione hanno partecipato circa duecento educatori che si sono alternati al microfono per denunciare non solo l'infame decreto ma anche la propria difficile condizione di lavoro, tra ricatti delle ASL, scontri con i consigli d'amministrazione della propria cooperativa, mancata protezione contro gli incidenti sul lavoro... Durante la mattinata, aperta dallo striscione del coordinamento con uno slogan che è tutto un programma "cornuti e mazziati", una delegazione del presidio è stata ricevuta dalla giunta regionale nella persona della dott.sa Letti, una qualsiasi sottopancia dell'Amministrazione che ha assicurato alla delegazione di non conoscere la materia, ma di essere pronta a farsi da tramite per permettere un incontro con l'assessore (D'Ambrosio di AN) alla Sanità... Vedremo.

Mentre la delegazione veniva ricevuta il volantinaggio nella centralissima Piazza Castello, e lo speakeraggio continuava ad andare avanti. Al termine della mattinata di mobilitazione un compagno del Coordinamento ha nuovamente ricordato la nostra piattaforma di lotta che prevede: il riconoscimento di tutti gli attestati, il diritto alla formazione per tutti gli educatori attualmente in servizio senza discriminazioni di nessun tipo, il diritto a scalare dal proprio orario di lavoro le ore di formazione, la gratuità dei corsi di formazione. Se gli enti pubblici non fossero in grado di assicurare questo diritto nella forma e nelle modalità richieste dagli educatori, allora devono assicurare una sanatoria che regolarizzi la condizione di lavoro degli educatori. Per fare gli educatori non serve la "patente", o diritto alla formazione o diritto alla sanatoria; con questo slogan possiamo riassumere il senso di una giornata di lotta sicuramente significativa, e che segna la prima uscita pubblica, da ormai molti anni, di un gruppo di lavoratori che si è stufato di continuare a incassare i peggiori colpi senza reagire.

Giacomo Catrame



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