![]() Da "Umanità Nova" n.24 del 2 luglio 2000 Ingegneria genetica, agricoltura, ambienteIl tema dell'ingegneria genetica potrebbe essere liquidato velocemente con un semplice ragionamento. Chi è padrone della tecnologia genetica? Poche multinazionali (Ciba Geigy, Pioneer, AgrEvo, Novartis e Monsanto). Per quali fini vogliono utilizzare l'ingegneria genetica? Per incrementare la redditività dei loro capitali oltre che per vincolare sempre di più le scelte dei produttori agricoli. Quale possibilità di controllo, su queste nuove tecnologie e sui prodotti che ne derivano, da parte dei singoli individui relegati nel ruolo di consumatori? Pressoché nulla. Tre risposte che, seppur schematiche, sono sufficienti per determinare una posizione di netto rifiuto dell'utilizzo dell'ingegneria genetica in campo agronomico. Ma, se vogliamo approfondire l'argomento per attrezzarci a controbattere le tesi di chi sostiene la campagna orchestrata dalle multinazionali del settore possiamo iniziare dalla definizione dei termini che più frequentemente si utilizzano in questo dibattito.
Che cosa sono i geni? Sono la sede delle informazioni ereditarie. Sono formati da frammenti di DNA (acido desossiribonucleico) e si trovano nel nucleo di tutte le cellule degli organismi viventi, dai batteri all'uomo. Ogni gene può essere paragonato ad una pagina di un manuale d'istruzioni, su cui sono scritte informazioni precise. Ciascuna di esse spinge la cellula a fabbricare una determinata proteina, che assolve funzioni uniche, indispensabili per la sopravvivenza dell'organismo. I geni, uniti, formano i cromosomi, che possono essere considerati dei libri, che nel loro insieme formano una biblioteca: il patrimonio genetico, da cui dipendono funzionalità e caratteristiche, di ciascun individuo.
Cosa sono gli OGM (organismi geneticamente modificati)? Sono esseri viventi (batteri, piante o animali), ai quali è stato modificato, grazie a procedimenti "biotecnologici", il patrimonio genetico allo scopo di ottenere caratteristiche particolari, che non si sarebbero potute sviluppare spontaneamente in natura.
Che cos'è la biodiversità? La biodiversità è l'insieme di tutte le possibili combinazioni di geni che si trovano nelle specie animali e vegetali. È un indispensabile "serbatoio genetico" che consente il mantenimento della vita sul globo. Se sulla terra esistesse una sola varietà di grano o una sola razza di maiali, la loro stessa sopravvivenza sarebbe in grave pericolo. Un parassita infestante potrebbe, infatti, distruggere tutte le colture. E un virus uccidere tutti i maiali. In natura, però, esistono diverse varietà di grano e tante razze di maiali. Perciò quelle resistenti agli attacchi di quei virus e di quelle malattie possono sopravvivere e prendere il sopravvento quando le varietà più vulnerabili "cedono al nemico". Ricordiamo che con la creazione degli ibridi sterili e delle nuove varietà, già nel corso della prima rivoluzione agricola, si sono migliorate sia la qualità che la quantità delle produzioni. Al contempo, però, si è persa la maggior parte della varietà biologica di molte specie di interesse alimentare.
Cosa sono le mutazioni? La biodiversità deriva dalle mutazioni genetiche, che sono delle modificazioni strutturali del patrimonio genetico, (per continuare con il precedente paragone immaginiamo un errore nella sequenza delle istruzioni). In natura le mutazioni sono casuali e possono aumentare o diminuire le possibilità di sopravvivenza di un organismo, di una specie. L'effetto delle mutazioni è amplificato, nel numero delle possibili combinazioni, dalla riproduzione sessuale.
Tradizionalmente, i miglioramenti genetici delle piante sono stati realizzati tramite programmi di riproduzione che hanno sfruttato le modificazioni naturali presenti fra le piante delle specie selezionate. In questo processo, piante che mostrano caratteristiche desiderabili (migliore conservabilità o resistenza ai parassiti, miglior sapore o struttura, maggior produzione) vengono prima individuate e poi usate per la riproduzione. Piante create dalla riproduzione sessuale prendono il 50% della loro informazione ereditaria da ogni genitore, il riproduttore non può predeterminare quali geni derivare da un genitore in particolare; il processo è quasi interamente casuale, infatti, le caratteristiche indesiderate possono essere trasmesse alle nuove piante con la stessa probabilità di quelle desiderate, ripetuti cicli di riproduzione sono spesso necessari per creare piante che abbiano soltanto le caratteristiche desiderate. Questa procedura di riproduzione selettiva, è stata usata per secoli per produrre nuove varietà di piante ed animali. A causa dei successivi interventi, finalizzati alla selezione di vegetali ed animali con caratteristiche più rispondenti alle proprie necessità, possiamo affermare che l'uomo ha " guidato" l'evoluzione di alcune specie viventi.
L'avvento dell'ingegneria genetica, ha permesso agli scienziati di superare il limite fino ad ora imposto dalla natura rendendo possibile l'inserimento di geni specifici, selezionati da organismi evolutivamente distanti, in piante o animali di interesse agro-alimentare. L'applicazione di questa tecnologia ha già avuto un impatto profondo anche in campi come quelli della ricerca biomedica. La più recente applicazione dell'ingegneria genetica nel campo dell'agricoltura ha avuto come risultato la produzione di piante con caratteristiche nuove, "acquisite" trasferendo geni prelevati da altri organismi, indipendentemente dalla loro maggior o minore "parentela" genetica (ad esempio, è stato inserito in varietà di mais un gene prelevato da un batterio il Bacillus thuringensis che permette la produzione di tossine insetticide). L'uomo diviene così l'artefice primo dell'innovazione genetica ed è ora in grado di accelerare enormemente i tempi dell'evoluzione naturale.
Nella prima metà degli anni Ottanta l'americano Kary Mullis (premio nobel per la chimica) ha messo a punto un processo che permette di duplicare velocemente qualunque frammento di Dna prelevato in natura o modificato in laboratorio. Grazie a questa tecnica, chiamata Pcr (reazione a catena della polimerasi) in poche ore si possono ottenere centinaia di migliaia di molecole identiche a quelle di partenza. Gli scienziati, dunque, isolano dalle cellule di diversi organismi i geni responsabili di proprietà e funzioni utili, ne producono molte copie e le inseriscono nel Dna della pianta che vogliono modificare. La tecnica più diffusa per introdurre i geni nel nucleo delle cellule vegetali, si basa sulle capacità di un batterio, l'Agrobacteriun tumefaciens, di trasferire parte del proprio patrimonio genetico alle piante che infetta. Non tutti i vegetali, però, sono vulnerabili all'Agrobacterium. Per intervenire su cereali. Come riso, mais e frumento sono state realizzate due tecniche alternative. Una consiste nel bombardare la cellula vegetale con particelle d'oro o di tungsteno ricoperte di frammenti di Dna. Il secondo metodo consiste nel sottoporre la cellula a brevi impulsi elettrici che provocano l'apertura temporanea dei pori della membrana e la rendono permeabile al Dna estraneo. Evidenziamo, a questo proposito, che viene del tutto trascurata la possibile interazione del gene trans (trasferito) con la sequenza degli altri geni. Facendo riprodurre le cellule manipolate, prima in provetta e successivamente nelle serre, i ricercatori ottengono piante adulte transgeniche.
Il dibattito sull'ingegneria genetica e, più in generale, sulle biotecnologie, tocca diversi aspetti che riguardano tanto questioni etiche che ambientali e sanitarie nell'accezione più ampia. Questi singoli aspetti trovano una propria connotazione ed andrebbero analizzati singolarmente. Al contrario, molto spesso, problemi etici, ambientali e sanitari sono stati trattati in maniera tale da confondere e far perdere di vista l'entità ed il peso che ciascuno di questi aspetti ha nel dibattito. Questa modalità non può che essere collegata al tentativo di creare ancor più confusione nella speranza che le nuove varietà geneticamente manipolate, oggi avversate dal grande pubblico, possano essere accettate più facilmente. È possibile che anche i potenziali pericoli connessi all'ingegneria genetica non siano riconosciuti o vengano sottovalutati. Così dobbiamo constatare che, per motivi d'interesse economico, si immettono in natura piante modificate tramite l'ingegneria genetica, si producono e brevettano animali transgenici per la produzione di alimenti e medicamenti, senza che sia stata prima effettuata una seria analisi dei rischi e delle possibili conseguenze di questa tecnologia.
Lo studio dei rischi tecnologici é ancora agli inizi e una corretta valutazione di questi rischi é oggi quasi impossibile. Proprio per questo è evidente la forzatura operata dalle multinazionali che da un lato brevettano gli OGM per sfruttare al massimo il vantaggio economico, dall'altro cercano di superare le critiche e tranquillizzare i consumatori affermando che tali organismi sono di fatto equivalenti a quelli tradizionali.
A questo punto è necessario ricordare che gli ogm di interesse agro-alimentare sono immessi nell'ambiente e non allevati in ambienti confinati (i laboratori). L'immissione in un ecosistema di organismi modificati geneticamente, sia volontaria (secondo la direttiva UE 90/220/CEE) che involontaria, comporta un rischio. Vi sono parecchi tentativi di tenere sotto controllo questi pericoli potenziali basandosi sulla teoria del rischio. Tuttavia, con il rilascio nell'ambiente, vengono meno le sostanziali barriere di sicurezza dei laboratori e degli impianti di produzione. L'uomo e l'ambiente sono esposti direttamente e continuamente a grandi quantità di organismi geneticamente modificati (piante, microrganismi, virus) e conseguentemente a un rischio molto elevato. La particolare qualità del rischio nell'ingegneria genetica é data dal fatto che la fonte di questo rischio:
in caso di danno, non può essere ricuperata.
In caso d'incidente sono del tutto esclusi il ricupero o la disinfezione. Questo fatto distingue sostanzialmente un eventuale danno di questo tipo dai rischi chimici o d'irradiazione, i quali sono limitati a determinate sostanze, nonché localmente e temporalmente circoscritti. La natura diventa un laboratorio aperto. I diversi pericoli potenziali non sono ancora stati chiariti e possono essere descritti solo qualitativamente. Nella valutazione dei rischi gli esperti hanno opinioni divergenti e tale valutazione si basa soprattutto su esperimenti in campo circoscritto, che per molti parametri (quantità, superficie, fattori temporali, pressione selettiva, possibilità di controllo) non sono rappresentativi per l'immissione su larga scala. Gli effetti a lungo termine, sull'arco di centinaia di anni, non possono essere convenientemente valutati e la stima dei rischi é forzatamente limitata a dei sistemi-modello. Si tratta perciò di rischi ipotetici e non calcolabili: la cui probabilità di avverarsi é superiore a zero per i quali il legame causale tra la fonte del rischio e il danno registrato non é dimostrabile o, non può essere determinato con certezza che possono avere per conseguenza danni estremamente ingenti e quindi intollerabili.
È evidente come, ancora una volta, i poteri economici tentino di semplificare e mistificare la realtà a proprio uso e consumo; fondamentale quindi una puntuale opera di contro-informazione. Nella prossima puntata affronteremo alcune delle possibili conseguenze negative legate alla coltivazione e all'utilizzo alimentare degli organismi geneticamente modificati. Marco Tafel
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