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Da "Umanità Nova" n.24 del 2 luglio 2000
Gli appuntamenti di gala
I movimenti contro la globalizzazione in Italia
Stiamo vivendo una bella stagione di lotte in cui gli appuntamenti del
calendario delle manifestazioni (blindatissime) ci vengono definiti di volta in
volta dalle autorità competenti: Tebio, conferenza degli stati europei,
Ocse, G8, processi di vario genere, ecc.: è difficile, lo ammetto,
quando si viene invitati ad una bella festa, non parteciparvi, soprattutto se
gli organizzatori fanno di tutto perché tu sia li. Diranno alcuni: "ci
invitano e poi non ci fanno entrare, non vogliono che noi partecipiamo al
banchetto del neoliberismo (così lo chiamano), vorremmo intervenire
anche noi!
Ci siamo anche ben vestiti e truccati per l'occasione (tute bianche, caschi,
scudi...), abbiamo preparato gli slogan, abbiamo concordato lo spettacolo nei
minimi dettagli (peccato poi che tutte le volte ci sia qualche ballerino-celerino che non capisce)"
Diranno altri: "non ce ne fotte niente di entrare, anzi, veniamo, ma stiamo
fuori e poi ci sono un sacco di invitati che ci stanno antipatici, se ci
incazziamo lo facciamo con tutti, anche con noi stessi se proprio vogliamo
andare alle estreme conseguenze...!"
E infine (mi ci infilo pure io): "ci andiamo o non ci andiamo? Se proprio
dobbiamo, ci sono un sacco di compagni che si stanno sbattendo per queste cose
e poi vorremmo rovinargli la festa, però scompariamo tra gli spettacoli
organizzati, le vendette di famiglia, i silenzi stampa... le congiure di
regime, quelli con i cachi blu ed i tortellini bolognesi... mah, boh!!!?"
Forse dovremmo ripensare un po' il tutto ed organizzare delle feste a modo
nostro, magari ci vuole più tempo, più fatica...ma almeno ci
divertiamo di più ed invitiamo solo quelli che concordano con il
menù.
Il dilemma del neoliberismo
Da una decina di anni e forse più sono spuntati termini che ormai vanno
per la maggiore (globalizzazione, mondializzazione, neoliberismo) ed altri che
un tempo erano stati le chiavi di lettura di un'epoca di transizione stanno
lentamente scomparendo dal vocabolario antagonista: tra tutti spiccano
post-moderno e post-fordismo.
Il pregio, si fa per dire, sia della teminologia vetusta che di quella in voga
è che sono parole tanto per capirsi, di tendenza, assolutamente
generiche, ma se poi dovessimo approfondire, faremmo realmente
difficoltà a fondarle di contenuto e sicuramente non ci capiremmo molto.
Sono convinto che a breve ne usciranno delle altre altrettanto vaghe che
sostituiranno le attuali. Un problema politico però lo pongono: se
è vero che questi termini definiscono alcune tendenze in maniera non
specifica dovrebbe essere altrettanto vero che coloro che si pongono in
antinomia (contro il liberismo, contro la mondializzazione, contro la
globalizzazione...) non solo non definiscono alcunché, ma diventano,
spesso, un alibi di forma, che consente a politiche altrettanto liberali di
attendere al loro corso. Voglio spiegarmi con qualche esempio: quelli che per
scelta non si definiscono liberisti possono essere in ordine di apparizione,
liberali moderati, sindacalisti riformisti, nazionalisti, fascisti, ecologisti,
mistici romantici, socialisti rivoluzionari, comunisti, anarchici, femministe,
anti-abortisti, islamisti, feddayn e chi più ne ha più ne metta.
Lasciando da parte chi non conta quasi nulla all'interno scenario politico
planetario, il fatto che Cofferati o D'Antoni, tanto per rimanere in casa,
siano contro il liberismo non fa sì né che mi senta d'accordo con
loro né che costoro possano diventare dei possibili alleati in battaglie
politiche e sociali di rilievo, in virtù del fatto che proprio costoro
sono stati e sono uno strumento delle politiche antipopolari perseguite da
governi passati, presenti e futuri. Questa ambiguità di fondo, che ormai
sta diventando una vera e propria copertura politica, fa sì che i
movimenti (non tutti si capisce) che si pongono in antitesi a qualcos'altro
(Ocse....) vadano a braccetto con personaggi impresentabili: a quando Amato nei
cortei?
Vorrei ribadire, che dal punto di vista dell'analisi, se non anche della lotta
il problema alberga nel sistema capitalistico in sé e quindi nella
separazione della proprietà dai mezzi di produzione ecc, ecc. siano essi
privati o di stato (tanto per riaffermare che non ho nulla da spartire con i
fan dei sistemi sovietici).
"Fare del bene".
Un'altra smania che sta girando nell'indeterminato mondo antagonista è
quella di essere socialmente utili: vengono create associazioni, cooperative e
quant'altro prive di progetti politici alternativi al sistema dato che si
pongono nell'ottica esclusiva di un generico intervento sociale a favore di
"soggetti svantaggiati" e credono di portare con sé una curiosa
distinzione tra lavori buoni e lavori cattivi, tra lavori utili e lavori non
utili, ergendosi a paladini di interventi sociali che spesso, ancora una volta,
sono semplicemente l'avvallo di politiche liberali attuate da sfere più
alte. Anche in questa occasione si può parlare di sistemi tra loro
complementari.
Tanto per fare un esempio, se una cooperativa sociale Y opera per l'inserimento
lavorativo di soggetti svantaggiati (anche su questa parola ci sarebbe da
discutere delle ore) e spinge perché una azienda X (pubblica o privata
non importa) esternalizzi la propria produzione affidandola alla cooperativa in
questione, ha svolto contemporaneamente alcune funzioni sociali, politiche ed
economiche importanti:
Ha avvallato e sostenuto un processo di esternalizzazione (gli stessi
meccanismi per cui un'azienda sposta la produzione in Cina o altrove), ovvero
ha avvallato l'idea che sia comunque necessario dare fuori alcuni aspetti della
produzione per ragioni di costi (contratti più sfavorevoli...talvolta si
tratta di vero e proprio schiavismo ) e di flessibilità della manodopera
(contratti meno 'vincolanti', uso massiccio di manodopera non retribuita,
obiettori, volontari, lavoratori socialmente utili...);
Ha fornito alla stessa azienda un micidiale strumento 'etico': si danno
all'esterno alcune parti della produzione perché alcuni 'sfigati'
trovino un lavoro.
Viene ridisegnato il mercato del lavoro locale e non.
Alla fine viene data anche un'opportunità ad alcune persone di
procurarsi un reddito da fame.
Come si può vedere il "fare del bene" pone alcuni problemi sociali di
non poco conto e forse sarebbe ora di chiamare queste cose con il loro vero
nome: sfruttamento.
Anche in questo caso occorrerebbe iniziare a fare delle distinzioni di merito e
denunciare pubblicamente gli anti-liberisti cooperatori, sindacalisti,
ambientalisti, movimentisti...liberali e "di sinistra".
Pietro Stara
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