unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n.26 del 3 settembre 2000

Elezioni in Messico
Un presidente Coca Cola

Ho avuto la fortuita coincidenza di trovarmi in Messico nel pieno della campagna elettorale per le presidenziali, che hanno dato come epilogo il "sorprendente" sorpasso dell'alleanza di centro-destra del Pan, guidata da Vicente Fox che entrerà in carica il prossimo dicembre (lunghissimo passaggio di consegne, in contemporanea con le elezioni dei governatori e dei parlamenti degli stati aderenti alla Federazione) sul partito-regime dopo 71 anni di potere incontrastato e indiviso.

Proprio questa caratteristica è risultata indigesta ai fautori di una apparenza di democrazia nel continente americano, a guida statunitense, come è noto. Meno noto è il fatto che il presidente eletto Fox è un uomo Coca Cola. Ora, non si discute il lavoro privato di un uomo che sceglie poi di diventare pubblico; solo che la Coca Cola, a chi si reca in Messico proveniente da un paese, l'Italia, molto filo-americano, e da una regione che addirittura un tempo aspirava a divenire la cinquantunesima stella degli Stati Uniti, appare come il vero padrone del paese, in condominio con l'arcirivale Pepsi Cola. Dappertutto insegne, marchi, murales, a ricordarci uno stile di vita e di consumo che è tutt'uno; e poi la privatizzazione delle fonti di acqua da bere, così è vano boicottare l'acquisto delle mitiche lattine, perché poi qualche liquido non colorato lo devi pure prendere se vuoi vivere...

All'inizio ho messo le virgolette all'esito della competizione: infatti già a maggio, sondaggi e umori in giro davano per scontato il cambio alla Presidenza dopo 71 anni. Un cambio poco traumatico sol perché di traumi il Messico ne ha già abbastanza, e comunque i poteri forti dell'area hanno deciso di non tollerare più un regime corrotto, inetto, incapace di snellirsi secondo i dettami del neoliberismo, prontamente sposato da Fox. Un cambio per riaccreditare una politica neoliberale che, temono gli osservatori, corre il rischio non tanto di aggravare le condizioni di vita della popolazione - a quelle non pensano, e comunque le ricette sono prevedibilissime, e quindi non ci vuol arte divinatoria a comprendere come la forbice tra ricchi e poveri, tra cui quel ceto medio di insegnanti in protesta su tutto il territorio messicano proprio nei giorni del mio soggiorno, andrà ad allargarsi - quanto di portare alla disgregazione rapida del Pri, ossia al disfacimento di un apparato di dominio, non solo macchina compravoti, ma blocco di ceti-imprese-burocrazia che evidentemente ha optato per un cambiamento morbido, anche se il prezzo in Messico equivale al rischio di una faida interna al partito-balena del Pri. Un po' come la Dc italiana, solo con qualche tinta rosso-sangue in più, come del resto già accaduto sei anni fa, quando il candidato a succedere al presidente Salinas, Cortosio, sempre del Pri, dato vincente ma appartenente a diversa corrente, venne assassinato per giochi interni, spianando la strada a Zedillo.

Ho assistito a qualche tavola rotonda elettorale, in televisione, seduto in luoghi pubblici a scrutare la reazione della gente, equamente divisa tra un moderato entusiasmo per la possibilità almeno di vedere una nuova squadra di persone al potere e non le facce sempiterne del Pri, e un altrettanto moderato disinteresse ai giochi della politica e dei suoi colpi bassi, in quanto le punte più vivaci dei dibattiti venivano toccate quando uno accusava l'altro di qualche episodio di malversazione, di finanziamento illecito, di peculato e simili peccatucci. Del resto questa politica è lontana dalla esistenza quotidiana ed è visibile solo negli aspetti più deteriori: fisco, ruberie, sprechi, diritti negati, stipendi decurtati dall'inflazione, tasse universitarie alle stelle, modifiche costituzionali in atto o in corsia di arrivo, non solo sulle terre, ma anche sulla laicità della nazione.

Altre due considerazioni: la sinistra nel paese sembra elettoralmente poco rilevante; la società civile è debole perché il modello socio-economico neoliberale non prevede un ceto medio consistente, tranne nell'unica metropoli, ossia la capitale, dove Cardenas e il suo Prd si confermano vincitori, nonostante lo sgombero violento dell'Unam da parte della polizia federale preventiva chiamata anche dal Prd al governo di Città del Messico. Ciò ha alienato simpatie giovanili, di cui sarebbe interessante capirne il comportamento elettorale, nonché di alcuni intellettuali di sinistra i quali hanno espresso dichiarazioni di voto per Fox e non per Cardenas in quanto candidato senza speranze effettive di risultare vincitore.

Il Chiapas è stato a stento citato, se non dietro esplicita richiesta, nell'agenda presidenziale dei tre candidati e del presidente eletto Fox, secondo il quale è un problema risolvibile in quindici minuti ma non nel senso dell'accettazione degli Accordi di San Andres. L'Ezln per l'occasione ha adottato una posizione pragmatica: astensionismo senza indicazione di voto, ma non boicottaggio del voto e del processo elettorale nelle aree cosiddette liberate. Più interessante una delle motivazioni adottate, per cui la democrazia ormai è una finzione regolata non dal voto ma dai sondaggi di opinione e dagli indici di borsa. E su questo credo che abbiano proprio ragione.

Massimo Tessitore



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