Da "Umanità Nova" n.27 del 10 settembre 2000
Risorse umane
Una volta erano operai
Probabilmente poche saranno le sale cinematografiche che ospiteranno la
pellicola vincitrice del premio Cipputi. Nonostante Cofferati ne abbia elogiato
la fattura e il senso, infatti, poco gli si addice il contenuto del racconto,
il contesto sociale e il significato che con piacevole naturalezza si
può cogliere dalla visione del film.
Nella Francia odierna in una non ancora del tutto smantellata piccola fabbrica
metalmeccanica la dirigenza individua nel trasferimento all'est europeo la
propria produzione ed il treno della new economy una occasione da non lasciarsi
scappare, giusto almeno per non perdere l'occasione per ridimensionare il costo
del lavoro e incrementare il margine di profitto.
A fagiolo capita il protagonista, neolaureatosi figlio di operai giunto in
stage presso l'azienda, accolto con orgoglio dal padre ivi occupato e la
diffidenza della vecchia guardia operaista in costante allerta, sebbene in
difficoltà in termini di consensi, per verificare l'applicabilità
del decreto sulle 35 ore.
Sulle prime l'ottimismo porta il nostro stagista a scontrarsi anche duramente
contro il "conservatorismo" diffuso e il rigetto del suo piano di riduzione di
orario come mezzuccio utilizzato dai padroni per tagliare il personale. Ma
insiste, porta avanti il lavoro che si conclude con un referendum interno e la
perdita delle amicizie di infanzia lì occupati.
A colpi di elogi il direttore dell'impianto fa credere al padre che il figlio
avrebbe avuto una brillante carriera all'interno dell'azienda, mentre in
realtà prepara il piano di riduzione del personale a sua insaputa.
L'inganno viene reso pubblico anche grazie alla solidarietà di un
operaio di origine magrebina: 12 lavoratori devono essere licenziati. E qui,
per dire, comincia il film.
I ruoli vengono stravolti. Il padre che accusa il figlio di gettare via un
futuro, i coetanei rassegnati al destino di un epoca storica non seguono il
protagonista anche quando questi ora è schierato apertamente dalla loro
parte, le posizioni dei rappresentanti sindacali che si radicalizzano
nell'escalation dello scontro.
Senza andare oltre, non si sa mai potrebbe capitarvi di andare a vederlo, un
film che merita in particolare per il fatto che con estrema delicatezza e senza
fare della facile demagogia, riesce a rappresentare aspetti che vanno dritti
dritti al nocciolo di una questione qual è quella del lavoro, la sua
centralità, la sua cultura. Lo scontro, il divario, tra due diverse
generazioni e la necessità di trovare un tessuto solidale che è
difficile da riproporre attraverso schemi che inseguono una trasformazione non
ancora del tutto interpretata.
In un clima di arrendevolezza e concertazione quasi intenerisce vedere
rappresentata, un po' a mo di macchietta, l'ala dura della rappresentanza
sindacale attraverso una viscerale anziana militante della CGT che con
l'accetta all'inizio del film fa da cassandra all'iniziativa del protagonista:
i padroni sono sempre i padroni!
Tuttavia il giovane laureato è testardo e non molla. Lo scontro con il
servilismo e la riconoscenza che il vecchio padre prosegue a provare nei
confronti della fabbrica, del Lavoro, del Posto e del suo datore di lavoro
s'acuisce via via. Pur estraneo concettualmente all'operaismo classico è
attraverso l'azione diretta che riesce ad riaccendere una solidarietà
tra gli operai pur tra le mille differenziazioni e difficoltà che sino
alla fine, e senza risposte, vengono con la leggerezza, che i più
esperti mi suggeriscono alla "francese", poste all'attenzione di elementi e
fattori con cui sì nella realtà tocca fare i conti.
Da non perdere concluderebbero le critiche cinematografiche, e così
concludo anch'io.
mimi
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