unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n.29 del 24 settembre 2000

Lo Stato non vale una vita

Mentre ci apprestiamo a scrivere queste brevi note sulla pena di morte, una terribile paura ci assale: che Derek Rocco Barnabei non sia più l'ultima vittima (la 68ma dall'inizio dell'anno) dello Stato americano e che altri Paesi, come la Cina, l'Arabia Saudita, l'Iran, il Congo, il Guatemala, le Filippine, si siano già prestati ad oliare la lama della ghigliottina.

Nemmeno l'ipocrita Karol Wojtila, che a poco più di due settimane dalla beatificazione del boia Mastai ha cercato di impietosire il governatore della Virginia, Gilmore, è riuscito a dar voce alla protesta del Vecchio Continente contro la barbarie istituzionalizzata degli Stati Uniti. Del resto le prediche da un pulpito che in questi ultimi anni ha continuato a beatificare macellai come l'arcivescovo del genocidio in Croazia, Monsignor Stepinac, sembrano anche alle orecchie più stonate una nota fuori posto. Tanto valeva proporre un volo dalla carlinga di un aereo argentino con tanto di benedizione del prelato Pietro Stai. Sarebbe stato sicuramente più in linea con la diplomazia vaticana!

E che dire dei politici italiani, così preoccupati nel non voler ingerire nelle vicende giudiziarie di un Paese, da chiedere ignominiosamente clemenza per un "caso umanitario"? Vogliono sostenere, lor signori, che Derek Rocco Barnabei, non ha subito la violazione dei suoi diritti fondamentali da parte dello Stato dellla Virginia e per questo consentire al Governatore Gilmore di appellarsi al principio della "non ingerenza"? Davvero l'analisi dello sperma del condannato a morte gli avrebbe valso il diritto alla vita, al punto da giocare tutti i valori civili ed etici dell'intera umanità su di una cazzata del genere?

Sarebbe stato sufficiente acclamare con forza che "lo Stato non vale una vita", per uscire dalla putrida poltiglia del politically correct di una sinistra incapace persino di farsi promotrice di una cultura della civiltà e del rispetto della dignità umana, anche quella di un reo confesso, colpevole dei più efferati delitti, e non soltanto di un presunto innocente. Purtroppo nemmeno la difesa dei "diritti umani" sanciti dalla Carta Costituzionale dell'ONU, sembra stanare dalla codardia una sinistra veltroniana così preoccupata a non farsi dare del "comunista" dai suoi cialtroni avversari, da dimenticarsi che comunisti non si nasce. Lo si diventa, proprio a partire dalla difesa dell'individuo (qualunque sia la sua colpa o il suo merito) nei confronti dello Stato. Non certamente perché fino a qualche anno fa si credeva e si voleva uno Stato comunista, pronto al pari tutti gli Stati a poggiare la propria sovranità sulla minaccia di morte da parte del governo. Foss'anche un governo instaurato dalla dittatura del proletariato.

Jules Élysard



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