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Da "Umanità Nova" n.29 del 24 settembre 2000
Millennium Summit
Una fastosa farsa
Il Corriere della Sera, giornale solitamente bene informato, ci passa
alcune statistiche della cui veridicità non abbiamo motivo di dubitare:
a) un miliardo di persone, circa un sesto della popolazione mondiale vive con
un reddito di un dollaro, dicesi un dollaro, al giorno ma in compenso un altro
miliardo, ben più fortunato, può sbarcare il lunario con il
doppio, vale a dire con ben due dollari al giorno; b) il patrimonio delle
duecento persone più ricche del mondo, tra cui possiamo annoverare
alcuni dei migliori rappresentanti del nostro capitalismo, è sette volte
superiore al reddito complessivo degli abitanti dei 43 paesi più poveri
del pianeta. Poiché sappiamo che alcuni di questi capitalisti sono stati
notoriamente vittime della perfidia comunista, viene da pensare che i comunisti
perfidi forse lo erano ma capaci sicuramente no; c) cinquant'anni orsono il
rapporto tra il pil del paese più ricco e quello del paese più
povero era di 35 a 1, oggi lo stesso rapporto è di 72 a 1.
A New York, nei giorni scorsi, in occasione del Millennium Summit, si sono dati
appuntamento i capi di stato di circa 170 paesi. Secondo le intenzioni
ufficiali questi signori sono stati convocati al palazzo di vetro delle Nazioni
Unite per cercare, tutti insieme, una possibile soluzione alle immani
contraddizioni di cui sopra, nel tentativo dunque di ridurre il grado di
povertà, semplicemente inimmaginabile, che opprime drammaticamente la
stragrande maggioranza dei popoli che vivono nel cosiddetto terzo mondo.
Spesso, anche su queste pagine, abbiamo potuto leggere convincenti spiegazioni
sul fatto che fintantoché gli appetiti economici e gli interessi
politici delle società multinazionali e dei paesi dominanti non
incontreranno una drastica opposizione, queste aspirazioni non saranno che
utopiche e irrealizzabili chimere, utili soltanto a mantenere tranquilli gli
sfruttati e in pace con la coscienza le anime democratiche e progressiste del
cosiddetto primo mondo.
Non credo che si possa negare al segretario dell'ONU Kofi Annan il
riconoscimento della tenace volontà con la quale si ostina ad attribuire
un significato etico all'organismo che presiede. Al tempo stesso voglio far
finta di credere che un qualche presidente africano od asiatico non sia
soddisfatto di come vanno le cose nel proprio paese e che ricerchi pertanto il
modo per migliorare le cose. Resta il fatto però che anche questa, come
le precedenti mastodontiche assemblee del massimo organismo mondiale, non
è servita ad altro che a creare un'immagine distorta di che cosa sia
veramente l'ONU, apparentemente un organismo sovranazionale e indipendente ma
nei fatti un ente subalterno e dipendente da chi veramente comanda. Se infatti
al dibattito sulla povertà hanno preso la parola come da programma
indistintamente tutti i capi di stato, i temi centrali del summit sono stati
affrontati e discussi solamente dalle potenze dominanti le quali, sfruttando
l'apparente pariteticità degli stati membri e la virtuale volontà
superiore da loro espressa, si sono serviti di questo organismo e delle sue
risoluzioni per riaffermare in maniera più credibile la propria
volontà egemonica.
Infatti il vero obiettivo di questo incontro così reclamizzato non
è stato quello, ufficiale, della creazione di uno sforzo comune per
ridurre significativamente l'attuale divario economico e tecnologico fra le
nazioni, bensì quello di ridefinire gli equilibri, le alleanze e le zone
di influenza nella futura composizione del consiglio di sicurezza delle Nazioni
Unite. In vista di un ampliamento delle sue funzioni e prerogative come
organismo deputato ad intervenire nei conflitti, la partita in gioco è
diventata davvero grossa e si è cominciato a giocarla proprio in questi
giorni: il fine ultimo, più o meno condiviso da tutte le maggiori
potenze, diventa quello di garantire maggiore legittimità ed efficacia
ai futuri interventi armati dei caschi blu, interventi, come si sa,
apparentemente gestiti dall'ONU in quanto tale ma in realtà, soprattutto
in questi ultimi anni, imposti e diretti dagli Stati Uniti. Per la superpotenza
americana i vantaggi di questa operazione sarebbero non indifferenti
poiché significherebbero: 1) il coinvolgimento "naturale" di più
paesi nella sua opera di gendarme internazionale; 2) una spesa militare ridotta
perché sarebbe la comunità internazionale a pagare per
salvaguardare gli interessi americani; 3) la patente di legittimità e
accettabilità di qualsiasi intervento armato in ogni parte del
pianeta.
Non a caso, se si esclude il cubano Fidel Castro (ma qui bisognerebbe aprire
una parentesi per riflettere sulle prospettive future del leader maximo e della
sua isola caraibica), gli unici assenti a questo summit sono stati i grandi
"cattivi" nemici dell'ordine mondiale: il libico Gheddafi, il serbo Milosevic,
l'iracheno Saddam Hussein, il nordcoreano Kim Yong Nam. Come si sa, gli assenti
hanno sempre torto e mai come in questa occasione la loro forzata assenza ha
permesso che a New York si gettassero unanimemente le basi per la creazione di
una sorta di "ministero della difesa" dell'ONU, il peacekeeping
department. Con questo strumento, dotato di maggiori finanziamenti,
sarà finalmente possibile dare legittimità ed efficacia a quella
politica di "ingerenza umanitaria" che fino ad oggi, anche se in modo
estremamente contraddittorio, ha rappresentato l'unica "efficace" forma di
intervento delle Nazioni Unite.
Come si vede, se Kofi Annan ha indetto questo vertice perché il mondo si
trovasse finalmente intorno a un tavolo per discutere su come ridurre la
miseria di miliardi di persone, ha dimostrato di conoscere ben poco la vera
natura dell'organismo che presiede. Ma forse la sua è stata solo una
manifestazione di "buona volontà" intesa a riempire di contenuti
virtuali quel guscio vuoto rappresentato dalla dichiarazione dei diritti dei
popoli. Popoli che costretti dall'ignoranza e dalla fame sono sempre più
l'ostaggio inerme di un ordine mondiale che non prevede, per loro, altro che
ulteriore fame e miseria. "Da noi la morte e la vita vivono insieme.
Letteralmente" ha scritto un bambino dello Zimbabwe descrivendo le condizioni
materiali del proprio villaggio. E dove trovare una verità più
disperata di quella concentrata in questa semplice frase?
C'è chi descrive l'ideale anarchico come una utopia irrealizzabile e gli
strumenti di lotta del nostro movimento come inefficaci o violenti. Può
darsi che sia così, ma sicuramente senza la forza di una idea che voglia
l'emancipazione dalla miseria e dalla fame, la vera utopia resta quella di chi
pensa che il riscatto di questi popoli possa arrivare dalle deliberazioni
solennemente sottoscritte in un qualsiasi fastoso, umiliante, offensivo
Millennium Summit.
Massimo Ortalli
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