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Da "Umanità Nova" n.29 del 24 settembre 2000

Soverato: la melma del potere
Una tragedia "normale"

L'Italia è in prevalenza un paese montagnoso (il settanta per cento del territorio italiano è in rilievo) e come tale andrebbe rispettato, ma le istituzioni che si arrogano il diritto di rappresentarla, evidentemente hanno della stessa un'immagine di pianura: questa contraddizione, decisamente voluta per fare spazio agli scempi paesaggistici ed alla speculazione edilizia, scardinando alberi, rimuovendo alture e colando cemento a volontà (altro che "ira funesta" della natura!) è l'unica causa delle calamità che hanno determinato ovunque nel nostro territorio, dal nord al sud, una serie impressionante di tragedie. Ultimo dramma è questo di Calabria, dove tre giorni di pioggia incessante, non certamente quaranta come quelli del biblico diluvio, sono bastati a devastare il territorio dell'intera costa jonica: paesi ed SS 106 invasi da veri e propri fiumi di acqua e fango che hanno seppellito case private ed edifici pubblici, campagne allagate con intere coltivazioni andate in malora perché coperte da una melma di terra, pietre e rifiuti di discariche abusive, tratti ferroviari saltati. Ma l'occhio delle telecamere asservite allo Stato, come si sa, preferisce i morti. Ecco dunque spiegato perché soprattutto la tragedia di Soverato ha trovato l'alto onore delle cronache di regime, mentre il dramma di altre intere comunità, è vero, senza morti, ma pur sempre dramma, è stato con dovizia psicologica quasi occultato. A proposito di Soverato, si è sentito e letto che "l'ira funesta della natura ha seminato morte", mentre a pochi è venuto a dire che un torrente disceso dai monti al litorale ha distrutto un campeggio con precarie strutture, costruito a fianco della fiumara, per riprendersi il suo naturale letto. La realtà è amara, non c'è ombra di dubbio, a dimostrarcelo sono gli undici corpi coperti dalla melma, sino ad oggi venuti alla luce, ma nonostante l'amarezza riteniamo sia doveroso constatare che in fondo la natura altro non ha fatto che ribellarsi contro il sistema capitalistico che la calpesta riprendendosi ciò che era suo, ossia facendo ritornare fiume un posto che era fiume. Procura dolore pensare alle vittime di questa ennesima tragedia; ma la rabbia vince anche il dolore dinanzi al solito balletto delle autorità istituzionali (governo, regione, provincia, comune) sullo "scarico delle responsabilità" a cui veniamo costretti ad assistere in situazioni del genere. Comunque, se le molteplici accuse che si rivolgono vicendevolmente i diretti responsabili della tragedia che ha colpito Soverato, crea rabbia in coloro che le leggono o le ascoltano ma soprattutto in coloro che hanno vissuto il dramma sulla propria pelle perdendo abitazioni, parenti, amici, ancora più vomitevole risulta il senso che si prova dinanzi all'altro rituale del "bisogna punire i responsabili" che guarda caso viene dato in pasto alle masse paradossalmente, proprio da coloro che responsabili sono: da chi ha concesso le autorizzazioni al campeggio; da chi lo sovvenzionava con fondi pubblici; da chi ha permesso lo scempio urbanistico di quelle seconde case, abitate abusivamente o addirittura legalmente, che oggi a Soverato vengono alla luce scavando nella melma; da chi permetteva quelle montagne di discarica di rifiuti sparse qua e là sul letto della fiumara che, facendo da diga in più punti, hanno ostruito il passaggio alle acque; da chi se la prende, infine, con l'incultura e la cupidigia di massa che contribuiscono a innescare queste tragedie, dimenticandosi di essere di questa non cultura ed avidità ispiratore e cultore interessato per la mole d'affari che direttamente o indirettamente gli procurano. Una cosa è certa: per lo scolo delle acque di collina e di montagna, per la cura degli argini e del regolare corso delle acque, per il risanamento dei crinali, dei fossi interpoderali, si è certamente dimostrata molto più sapiente l'antica e quotidiana manutenzione contadina del territorio con piccone e vanga di questa odierna con mezzi tecnologici al servizio di un sistema sociale iniquo, semplicemente proteso a produrre denaro. Per prevenire le tragedie idrogeologiche ciò che necessita non è il versare fiumi di lacrime di coccodrillo e denaro in miliardi con cui riempire le voragini bensì un recupero della memoria collettiva in relazione al sapere e alle tecniche d'intervento, protesa alla manutenzione ordinaria ed al risanamento del territorio, unica e vera grande opera pubblica che nessuna politica istituzionale, né di destra né di centro né di sinistra, ha mai preso in considerazione e mai la prenderà, considerata l'atavica vocazione predatoria dell'ambiente naturale che il potere porta in sé. E recupero della memoria collettiva per intervenire in difesa delle caratteristiche idrogeologiche del territorio, intendiamoci, non significa ritornare al piccone ed alla vanga rifiutando l'uso dei mezzi di cui lo sviluppo tecnologico oggi dispone, in quanto certamente questi ultimi meglio della vanga e del piccone saprebbero intervenire per rispettare il corso naturale delle acque, risanare i crinali, rimboschire..., ma applicare nell'uso di questi mezzi la sapiente filosofia dei mezzi arcaici, liberando l'uso degli stessi dalla turpe filosofia del "fare quattrini", propria del sistema gerarchico in cui la società del capitale in ogni modo ci vuole costringere a vivere, occorre eccome, se si vuole realmente intervenire in difesa dell'ambiente e non per la sua distruzione. Di fronte a tragedie come quest'ultima di Soverato e dell'intero territorio della costa jonica calabrese, pertanto, a nulla serve sperare che giustizia sia fatta, che i responsabili vengano puniti: lo Stato non permetterà mai che le sue istituzioni repressive colpiscano quei burocrati e faccendieri che dello Stato rappresentano per l'appunto l'anima. Una cosa è certa: da questa melma non ne verremo mai fuori, finché non riusciremo radicalmente a mutare l'attuale nostro essere individui dominati dalla società in un nostro essere individui liberi che liberamente si associano per dare vita ad una società libera. E per fare ciò occorre che il governo del "territorio", parola quest'ultima con cui i politicanti oggi si sciacquano tanto la bocca, venga espropriato allo Stato, ai padroni, stimolando a tal fine azioni dal basso che mirino a trattare e risolvere i problemi di natura sociale in prima persona ed a coinvolgere coloro che nel territorio vivono e lavorano in una progettualità d'insieme che miri nel contempo a gettare le basi, qui ed ora, alla costruzione di una prassi comunalista libertaria.



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