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Da "Umanità Nova" n.29 del 24 settembre 2000
Integralismo cattolico
Lo spettro del Papa Re
Il cardinale Giovanni Mastai Ferretti divenne papa con il nome di Pio IX nel
luglio 1846. Un conclave relativamente breve, riportano le cronache; il nuovo
successore di Pietro salito al soglio pontificio aveva rapidamente sconfitto il
candidato cosiddetto conservatore dell'epoca - il cardinale Lambruschini,
creando attorno alla propria figura un clima di attesa. Qualche riforma, sulle
prime, Mastai Ferretti la concesse: istituzione della Guardia Civica (che poi
in sostanza fu la sua feroce Polizia), Consulta di Stato composta di laici e
soprattutto libertà di stampa con l'editto del 12 marzo 1847. Poteva
sembrare che lo Stato pontificio cercasse di entrare in sintonia con i tempi
delle grandi rivoluzioni europee, ma non fu così.
Pio IX, richiamato da Dio, abbandonò Santa Romana Chiesa nel 1878, dopo
aver vissuto anni fatidici della storia d'Italia; vi ricordo il più
importante, secondo la migliore tradizione storica liberal-conservatrice, vale
a dire la breccia di Porta Pia, nel settembre del 1870, attraverso la quale un
gruppo di indomiti bersaglieri conquistò la città di Roma. Il 2
ottobre successivo il "caput mundi" fu annesso al Regno d'Italia.
Di Pio IX si ricordano e si raccontano molte cose; di altre si parla poco.
L'accanimento nella conversione obbligatoria degli ebrei, ad esempio, che ebbe
nella Roma papalina una diffusione piuttosto preoccupante. Mastai Ferretti fu
uomo di politica e papa dalla diplomazia difficile, un personaggio dalle tinte
fosche a ricordarlo per le qualità umane, a quanto pare scarse.
Governò il suo Stato come avrebbe potuto fare qualsiasi monarca ben
consapevole del proprio potere e tanto più se si trattava
dell'autorità concessa sulla terra niente di meno che dal Padreterno.
Come avete già appreso dalle pagine di questo settimanale, una folla
inferocita di romani tentò senza successo di assalire il corteo funebre
di Pio IX per gettare la bara nel fiume; testimonianza evidente, questa, che
non si trattò di un pio cristiano amato dal popolo.
In quel periodo si giocavano, sulla pelle di classi subalterne vilmente ed
apertamente ridotte ad una condizione di quasi schiavitù, al di qua come
al di là del Tevere, beninteso, e in tutta Europa, gli interessi della
nascente borghesia nazionale e dell'aristocrazia di stretta osservanza
monarchica. Erano tempi nei quali la questione romana premeva sugli ideali
conservatori dei laici di ispirazione liberale e la soluzione, alla fine, venne
affidata alle armi che, come è noto, hanno saputo spesso dirimere le
faccende della politica e dell'economia.
Tuttavia, qualcuno potrebbe trovare questa breve ed imperfetta analisi storica
eccessivamente di parte. Volentieri, perciò abbandono il terreno
scivoloso dell'interpretazione dei fatti per spostare la vostra attenzione ai
nostri giorni. La recente beatificazione di Pio IX e di Giovanni XXIII,
unitamente alla giornata mondiale della gioventù ed alle polemiche
roventi scatenate durante il meeting di Comunione e Liberazione, rappresentano
una buona miscela di storia, fanatismo ed estremismo sulla quale è
necessario almeno fare qualche osservazione, nel silenzio di quella parte di
mondo laico che avrebbe perlomeno dovuto dire la sua.
Corrono tempi bui, davvero. Tempi di revisione storica che fanno impallidire la
polemica tedesca di qualche anno fa sul nazismo e lo stalinismo o quelle
più recenti sulla sorte riservata al patrimonio degli ebrei deportati.
Nell'immaginario collettivo europeo prendono forma le diligenti e
taglientissime prospettive d'analisi che un giovanotto dal cipiglio
intellettuale piuttosto aggressivo ha propinato ad un giornalista Rai che lo
intervistava a Rimini. A prescindere dalle varie attribuzioni lanciate a piene
mani contro Garibaldi, piuttosto che contro la cultura laica, colpevole di aver
dissacrato la figura imponente, sul piano della vita e delle opere, di Mastai
Ferretti, attribuzioni che ci possono tranquillamente lasciare indifferenti
trattandosi di uno scontro tra poteri che poco ci interessa, giacché le
vittime siamo stati comunque noi, cioè tutti quelli che l'Occidente
cristiano ha variamente indicato come sudditi, poi cittadini ed infine europei
ad origine controllata, si tratta di capire se e fino a che punto questa
ennesima crociata della cattolicità del terzo millennio proponga un
modello di azione politica di sapore schiettamente inquisitoriale, che sembra
affacciarsi ovunque nell'Europa della globalizzazione, dei diritti negati e del
rincaro del petrolio. Interessante da notare, per prima cosa, l'ostentazione,
da parte vaticana, di una certa leggerezza nella pratica della comunicazione di
massa: appena lo scorso anno un radicale messaggio da parte del papa polacco di
critica esplicita alla brutalità del capitalismo ed alle sue laceranti
contraddizioni che producono soltanto dolore e povertà: nell'estate del
Giubileo, al contrario, riappropriazione di alcuni capisaldi della dottrina
più reazionaria. Ma le voci che si sono levate alte dall'annuale
incontro ciellino in Emilia al quale hanno partecipato numerosi ospiti di tutto
riguardo, dal ministro della Sanità Veronesi allo stand della Coop,
hanno letteralmente scarnificato persino la tradizione risorgimentale, un
cavallo di battaglia della buona ed operosa borghesia di casa nostra.
Sono stati rispolverati così i vecchi, ed un po' acri, sapori del
fideismo papalino, pallottola in canna e baionetta innestata, per usare una
metafora logora ma tutt'altro che azzardata dato il tono delle dichiarazioni
rese.
Se considerate che, nel frattempo, una folla di giovani sesso-renitenti avevano
celebrato i fasti della Roma ultra-vaticana, legittimando un tremante Woytila
alla consacrazione del suo popolo di eletti, soldati di Gesù nel senso
pieno del termine, perché pronti ad una accecata lotta contro il maligno
che si annida ovunque nella società, vi si ritaglia una cornice poco
edificante sul prossimo futuro. Troppo occupata a reclamare una
visibilità culturale ed ideologica, la socialdemocrazia al centro del
centro-sinistra, d'altro canto, appare frastornata: nessuna polemica
indispettita per rintuzzare l'attacco alle radici storiche della borghesia
degli illuminati che di rosso, in centocinquanta anni di storia, avevano
accettato appena, appena le casacche dei garibaldini.
La rivisitazione del mito fondativo della cristianità violenta,
intransigente ed arrogante, mi riferisco all'esumazione dello spettro antico
del Papa Re, risveglia umori mai sopiti. Una linea impercettibile ma pulsante
che resiste nell'opacità sociale dei nostri giorni e che riattizza
altrettanto indimenticati fuochi invocando una diversa memoria del passato e
perciò stesso un diverso presente. Un attacco diretto ed
incontrovertibile all'idea stessa di Stato, che mette in discussione i
fondamenti stessi della costituzione in società della borghesia
post-industriale. Nessuno sembra preoccupato tra i logorroici difensori della
democrazia televisiva, e dunque nemmeno noi passeremo notti insonni. Eppure
quando i moti dello spirito dovessero trasformarsi in moti del corpo,
sarà difficile non essere travolti dalla follia del fanatismo religioso,
se non altro perché è già successo. E più di una
volta.
Mario Coglitore
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