![]() Da "Umanità Nova" n.30 del 1 ottobre 2000 La borsa e la vita Tre morti in otto mesi nei cantieri navali di LivornoIl vescovo prende parola per ultimo, dopo il discorso del sindaco è lui che ha l'obbligo istituzionale di farsi garante dell'equipaggio e della nave "Mega Express Two" dinanzi alla cattiva sorte. Così la bottiglia di spumante può spaccarsi contro le fiancate della nuova nave della Corsica Ferries, la discesa dalla banchina alle acque è rapida, i tiranti sono lasciati, grossi anelli di catena ne frenano la corsa, una lunga onda accompagna l'ingresso della prua in mare. Pochissimi sono gli applausi che seguono alla cerimonia del varo. I colpetti delle mani delle autorità presenti sul palco stonano con l'atmosfera generale. Il popolo livornese, per la prima volta da quando il Cantiere Navale Luigi Orlando è gestito dalla Cooperativa dei Lavoratori, ha disertato lo Scalo Morosini. Sopra quei colpetti di applauso la voce del vescovo si alza gracchiante: "che Dio protegga la ciurma e la nave dalle minacce del mare". Peccato però che quattro giorni prima, inspiegabilmente, quel Dio, di cui si invoca adesso la fiducia e la protezione, si sia dimenticato di Luigi Pagliuso, operaio di 36 anni, morto mentre finiva il proprio lavoro a bordo della nave, precipitando da circa trenta metri e fracassatosi al suolo. Negli ultimi otto mesi è il terzo lavoratore che muore in Cantiere a causa di un organizzazione del lavoro sempre più asservita alle logiche della precarietà, dell'arricchimento senza regole, dello sfruttamento incessante della classe operaia. I tre lavoratori deceduti erano giovani, insieme non fanno un secolo, assunti in ditte che lavorano in subappalto, a ritmi massacranti e salari incerti. È questo il prezzo che in porto si deve pagare alla spregiudicata legge dell'impresa. Le posizioni dei sindacati confederali di categoria hanno tentato di spiegare l'accaduto parlando di fatalità dell'incidente, hanno fatto notare che le ditte subappaltatrici partecipano a regolare gara e hanno evidenziato i dati degli investimenti fatti dalla cooperativa sul versante della prevenzione degli infortuni. Questo richiamo alla "cultura della sicurezza", in realtà, finisce per scaricare tutta la responsabilità sul singolo lavoratore, unico soggetto che deve farsi carico della propria sicurezza, e trascura il fatto che il mandante di ogni lavoratore ucciso è l'esigenza di arricchimento dell'impresa, qualunque sia la sua struttura giuridica. In quale epoca, poi, le dirigenze sindacali parlavano con le stesse parole dell'azienda? Seguendo la logica del subappalto le stesse cooperative si allineano alla logica padronale. Sono questi i punti sui quali il collettivo Zero in Condotta insieme a diverse individualità anarchiche federate, ha promosso un volantinaggio davanti alle scuole e davanti al Cantiere durante la cerimonia del varo. Il collegamento tra i due mondi si presenta di facile intuizione: se un'organizzazione del lavoro fondata sul principio della flessibilità impone all'organizzazione del sapere lo stesso modello (riduzione dei processi di apprendimento a merce, clericalizzazione, flessibilità) non vorremmo che i risultati in termini di caduti fossero gli stessi. Negli ultimi cinque anni di governo di centrosinistra ci sono stati 5847 morti sul lavoro, di cui 1065 soltanto nel 1999. Questi dati forniti dall'INAIL sono inoltre sotto stimati perché non prendono in considerazione gli incidenti sul lavoro trasformati in "incidenti fuori lavoro" o malattia, e gli infortuni che avvengono nei settori al nero, del lavoro sommerso, non tutelato contrattualmente e che recluta prevalentemente manodopera immigrata. Questa guerra, come ha esclamato una collega quando ha letto le cifre, ci dice che ogni giorno più di tre persone muoiono in seguito ad attività lavorativa, e che mentre le imprese uccidono, la collettività paga di tasca propria. Nel 1997 le morti e gli infortuni sul lavoro sono costati 55 mila miliardi. Ciò vuol dire che ognuno di noi paga un milione l'anno per i costi sociali prodotti dal lavoro. E se da una parte il governo si nasconde dietro a leggi come la 626/'94, mentre con le politiche neoliberiste mette in moto processi di doppia flessibilità (del lavoro e del salario), di precarizzazione sempre più estesa, di distruzione delle tutele dei lavoratori sui luoghi di lavoro; dall'altra parte la Magistratura adempie in modo sublime al proprio compito, per cui il 70% dei procedimenti aperti per incidenti sul lavoro si concludono senza avere individuato responsabilità. Ecco così che le lavoratrici e i lavoratori pagano con la borsa e in taluni casi con la vita, e se anche non sembra troppo prossimo il momento in cui la stessa questione sarà posta questa volta ai padroni: o la borsa o la vita!, magari non dimentichiamoci di sabotare le prossime elezioni politiche, di rafforzare l'iniziativa sui posti di lavoro, di estendere con l'azione diretta le pratiche autogestionarie. Luca Papini
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