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Da "Umanità Nova" n.31 del 8 ottobre 2000

L'ombra della verità
Iniziato il processo per la strage di Ustica

Il 27 Giugno 1980 alle ore 20.57 il DC-9 Itavia che volava con la sigla IH-870 imboccò l'aerovia Ambra 13, dopo aver sorvolato l'isola di Ponza. Da lì avrebbe proseguito fino a Palermo. L'ultimo contatto radio con il centro di Roma Fiumicino risultava positivo: il co-pilota Enzo Fontana confermò che nessun ritardo era previsto per l'atterraggio a Punta Raisi.

Alle 20.59 e 45 secondi i radar di Fiumicino registrarono l'ultima battuta dal trasfonditore del DC-9. Poi calò il silenzio, tutte le comunicazioni si interruppero all'improvviso e il volo Itavia 870 scomparve dagli schermi.

Quattro minuti più tardi a Fiumicino il controllore di volo Corvari, non essendosi accorto di nulla, cercò di rimettersi in contatto con il DC-9, ma senza risultato. C'era qualcosa non andava. Se Palermo, come accertò presto, non stava parlando con l'Itavia era insolito che nessuno rispondesse alle sue sollecitazioni via radio.

Nemmeno l'Air Malta che volava in quel momento sulla stessa aerovia, a 83 miglia di distanza, riuscì a contattare il Capitano Domenico Gatti ed il suo equipaggio. Ma nessuno avrebbe certamente potuto. Il DC-9 e le 81 persone a bordo erano già precipitate in mare al largo dell'isola di Ustica.

In quei minuti congestionati il panico non s'impadronì soltanto degli addetti al volo di Fiumicino ma anche dei centri radar militari di Marsala e Licola che poterono osservare tutto quanto avvenne nei cieli di Ustica nei momenti successivi e precedenti alla scomparsa del volo India Hotel 870.

Ci fu quasi subito un febbrile scambio di comunicazioni, come si è potuto ricostruire più tardi, tra i centri radar dell'Aereonautica Italiana e tra questi e il Comando della regione aerea di Martina Franca, in Puglia.

Perchè tutti avevano visto, ma nessuno riusciva a credere che fosse veramente accaduto.

C'era almeno un altro traffico, come si dice in gergo, un altro aereo in volo, nei pressi del DC-9 quella sera. Nelle ore successive al tragico incidente l'Aeronautica comprese perfettamente quanto era accaduto. Fu in quel momento che cominciò l'opera di eliminazione di ogni traccia. Alcuni nastri furono cancellati, la registrazione fonica effettuata a Licola fu fatta sparire e Martina Franca affermò di non aver mai ottenuto la trasmissione di quei dati che, secondo una prassi usuale, vengono inviati dagli altri centri sotto il suo controllo. Inspiegabilmente, ad eccezione di Roma-Ciampino, nessuno osò fornire una spiegazione. Per molti anni.

I soccorsi furono effettivamente allertati una decina di ore dopo il disastro: quello che si poté ritrovare del DC-9 furono soltanto frammenti e numerosi corpi che galleggiavano a pelo d'acqua, orribilmente mutilati.

La gran parte del velivolo era già affondata. Soltanto sette anni più tardi fu possibile avviare un'operazione di recupero, che curò l'IFREMER, una società francese legata, si seppe poi, ai servizi segreti di Parigi. Un recupero parziale di parti dell'aereo probabilmente trascurabili ai fini di un monitoraggio complessivo che potesse fornire qualche elemento decisivo per la comprensione della dinamica dell'incidente, come si continuava a definirlo.

Secondo uno dei massimi esperti mondiali di missili, l'americano Bud Sewell, non c'è ombra di dubbio sul fatto che il DC-9 sia stato colpito all'altezza della parte destra della cabina di pilotaggio da almeno due testate esplosive lanciate da un caccia in volo, approssimativamente distante dodici miglia.

Sewell ha personalmente lavorato, nel Maggio '93, sui resti del DC-9 Itavia ricostruito nell'Hangar di Pratica di Mare e sui rilevamenti radar di Fiumicino. Le ultime due battute di volo registrate, secondo il tecnico americano, sarebbero da attribuire a due aerei sconosciuti e non al DC-9 come si era sempre pensato. Lo scenario si squarcia all'improvviso: erano due i caccia presenti il 27 Giugno nei pressi del volo Itavia ed entrambi fecero fuoco. Immediatamente dopo con due manovre estremamente veloci si disimpegnarono dalla zona del combattimento e puntarono entrambi verso oriente per rientrare alla base.

Per l'Aeronautica italiana, che del resto aveva già dato per conclusa l'inchiesta nel Dicembre del 1980, si trattò comunque di una bomba esplosa dentro al Dc-9, nonostante tutte le ipotesi di collocazione si rivelassero improbabili: vano bagagli, cabina passeggeri, toilette. Un vero e proprio mistero nel mistero.

La stessa Commissione Stragi nella relazione sull'inchiesta condotta sulle vicende connesse al disastro di Ustica, presentata al Parlamento nell'Aprile 1992, conclude che: "anche l'innocenza avrebbe avuto difficoltà ad emergere dal groviglio di menzogne, leggerezze, arroganza e disprezzo che ha avviluppato sin dall'inizio l'accertamento dei fatti".

In un momento politico e sociale così delicato per l'Italia e per il mondo intero, erano gli anni del sequestro D'Urso, della rivolta nel carcere speciale di Trani, della strage alla stazione di Bologna, il 2 agosto 1980, la vicenda di Ustica non tardò a scomparire dalle cronache e dall'attenzione collettiva.

Il depistaggio sistematico operato dai servizi di informazione nostrani, dal SISMI al SIOS aeronautica in particolare, trova ampia conferma nelle parole del senatore Mazzola, sottosegretario con delega per i servizi, rese dinanzi alla Commissione stragi.

"Sulla vicenda di Ustica io sono certo che noi - ed intendo la Presidenza del Consiglio, perché solo di questo posso testimoniare - siamo stati tenuti all'oscuro e se è successo qualcosa, come voi state accertando, questo qualcosa è stato fatto all'oscuro e ci hanno sostanzialmente presi, come suol dirsi, per il bavero."

Lo stesso ministro della difesa Lagorio non ritenne di dover attivare i Servizi perché li giudicava "...deboli, male organizzati, privi di tecnologia, dispersi in modo incoerente sul territorio d'azione, senza autorità e senza credibilità negli affari internazionali perché ripetutamente devastati dagli scandali."

Il 30 Dicembre 1992, il giudice Rosario Priore, incaricato delle indagini sulla tragedia di Ustica ha inviato 13 comunicazioni giudiziarie ad alti ufficiali dell'aeronautica e del SISMI tra i quali il generale Tascio, all'epoca dei fatti direttore del SIOS aeronautica, e i generali Ferri, Bortolucci e Pisano.

A 20 anni di distanza la verità galleggia ancora su quel mare, rincorsa strenuamente dalla tenacia dell'Associazione Parenti delle Vittime di Ustica e da tutti coloro che non riescono ancora a dimenticare. Il processo che è iniziato la scorsa settimana a Roma - gli imputati sono adesso nove e sono accusati di depistaggio, falsa testimonianza e omissioni - sembra l'atto finale di una terribile pagina della storia italiana degli ultimi cinquant'anni. Ma non sarà così, probabilmente. Quello che è successo sul mare di Ustica va ben oltre ogni immaginazione possibile; se è vero, come sostengono molti, che l'area del Mediterraneo fu a un passo dalla guerra durante quelle febbrili ore, è altrettanto evidente che, alla fine, qualcuno si doveva pur sacrificare all'altare della memoria collettiva.

È probabile che nessuno vi racconti che i due ufficiali piloti delle Frecce Tricolori morti nell'incidente di Ramstein, in Germania, negli anni Ottanta erano gli stessi che quella notte si alzarono in volo per controllare lo spazio aereo teatro della strage del DC 9. È altrettanto probabile che nessuno vi ricordi che altri ufficiali e sottufficiali dell'Aeronautica sono morti in circostante misteriose negli anni successivi e che tutti avevano avuto in qualche modo a che fare con l'abbattimento di India Hotel 870. Le ragioni di una pace presunta, in piena Guerra Fredda, meritavano più di qualche bugia e, se occorreva, anche il sacrificio di 81 innocenti a cui si è aggiunto quello di testimoni scomodi e pericolosi. Non so se sia davvero importante sapere quale ennesimo conflitto locale o internazionale si sarebbe potuto scatenare, o se siano più colpevoli gli americani, gli inglesi, i francesi o gli italiani. Gli scenari possibili non fanno alcuna differenza. Perché è la verità che è stata sottratta, come mille altre volte è accaduto: la verità del potere, intendo, che almeno da mezzo secolo detiene con arroganza il controllo su persone e cose. Una verità che si fa sempre ombra.

Mario Coglitore



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