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Da "Umanità Nova" n.34 del 29 ottobre 2000

La guerra delle immagini

L'ordine perentorio è stato inoltrato la scorsa settimana ai giornalisti italiani corrispondenti a Gerusalemme, dopo che su un quotidiano arabo è apparsa la lettera di Riccardo Cristiano - giornalista Rai - nella quale, stigmatizzate le riprese televisive del linciaggio dei soldati israeliani a Ramallah compiute dalla concorrente Mediaset, aveva concluso la missiva con questo florilegio di bon-ton: "potete restare sicuri che questo non è il nostro modo di agire e che mai faremo una cosa del genere".

In tal modo anche in Italia si è potuto constatare che le immagini di guerra trasmesse dalle reti televisive mondiali rappresentano un'importante arma strategica con la quale da sempre si combatte la guerra delle immagini da giocarsi sui tavoli diplomatici dopo aver influenzato ed impressionato i telespettatori.

Dai tempi della guerra in Viet-Nam per arrivare ai recenti "interventi umanitari" in Kosovo e in Serbia, le immagini di guerra hanno fatto parte dell'armamentario bellico, ed il loro sapiente dosaggio ha sempre avuto un effetto deflagrante in territorio nemico, al punto che gli esiti dei conflitti sono stati scanditi anche - ed in alcuni casi soprattutto - dalla capacità mediatica di far apparire la guerra come una cosa "giusta", "necessaria", "inevitabile".

Che nel Levante arabo si combatta una guerra impari - perché ad affrontarsi sono il quarto esercito più potente del mondo e una popolazione armata di sassi, bottiglie molotov e ordigni rudimentali - non è certo questione recente, tanto più che dalla guerra del Kippur in avanti è difficile credere ad uno Stato d'Israele assediato e minacciato dal popolo palestinese e dai suoi "fratelli mussulmani". Pertanto la diplomazia americana dalla caduta del Muro di Berlino ha cercato di disinnescare la bomba israeliano-palestinese, considerando ormai maturi gli accordi per la costituzione di uno Stato palestinese, non sussistendo più i motivi di una politica armata nella zona, tanto più che la fine del mandato presidenziale di Clinton impone ormai la realizzazione della pace ad ogni costo.

Detto questo, gli incidenti provocati da Sharon se avevano avuto l'effetto di coalizzare all'interno di Israele gli oppositori degli accordi Barak-Arafat, a livello internazionale avevano però dato la possibilità alla diplomazia palestinese di isolare le frange estremiste contrarie alla pace presentandosi come gli unici rispettosi dei tempi dell'accordo. Cosicché, quando scoppiarono gli incidenti alla Tomba di Giuseppe e le immagini del padre implorante con in grembo il figlio morente fecero il giro del mondo, per gli israeliani - anzi, per tutti gli ebrei - non era più possibile presentarsi sulla scena mediatica come i "buoni", ma soprattutto come gli "eterni sofferenti"

È stato dunque necessario provocare un altro effetto mediatico per riequilibrare le sorti del conflitto, contrapponendo ai sassi innocenti dei ragazzi-bambini palestinesi il linciaggio colpevole degli uomini-terroristi di Hamas. Un linciaggio ripreso in diretta dalle telecamere Mediaset che ha tutto il sapore di una scena pre-organizzata al pari dell'invio dei soldati israeliani mandati come agnelli sacrificali, per giunta conosciuti dalla popolazione palestinese, in una zona a rischio dopo che i coloni e l'esercito israeliano si era ritirato.

Infatti, dove vi è in corso un conflitto armato non si gira liberamente e tantomeno si va a spasso con la telecamera in spalla a riprendere ciò che si vuole, perché se gli articoli dei corrispondenti di guerra possono considerarsi pallottole, le immagini dei cameramen sono bombe. Come allora poter credere alla "casualità" di quelle riprese che hanno fatto vedere a tutto il mondo il defenestramento dei soldati israeliani? Non è forse il caso di domandarsi come mai la troupe Mediaset non ha "rispettato le procedure giornalistiche con l'Autorità palestinese" di cui parla Cristiano nella sua incauta lettera?

Perché, al di là della spocchiosa strumentalizzazione fra l'emittente statale e l'emittente berlusconiana, ancora una volta si tenta di spostare l'attenzione sul vero problema, vale a dire sul fatto che il conflitto israeliano-palestinese è l'ennesima messa in scena di una politica internazionale scandita e condizionata dai tempi della campagna elettorale statunitense, israeliana, palestinese ed ora anche italiana.

Che poi il giornalismo abbia in comune con la prostituzione la capacità di fingere di sentire, l'abbiamo da lungo tempo appreso osservando ogni sera i volti degli speaker dei telegiornali di casa nostra.

Jules Élysard



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