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Da "Umanità Nova" n.34 del 29 ottobre 2000
Alluvione
Piove, governo ladro!
Finalmente il sole, dopo i lunghi e tristi giorni di pioggia della scorsa
settimana, è ritornato a fare capolino nelle regioni del Nord d'Italia.
Ora che la piena è passata e i fiumi -- a partire dal grande Po --
ritornano a fatica a stabilizzarsi nei loro alvei continuando lentamente la
corsa verso il mare, si fanno i primi conti ad incominciare dalle vittime (22),
dai dispersi (9), dagli sfollati (40.000), che stanno a poco a poco rientrando
nelle proprie abitazioni.
Finite le piogge torrenziali sono subito iniziate le piogge di cifre a nove
zeri per calcolare i danni prodotti dall'alluvione, a partire da quelli alle
infrastrutture, alle imprese, alle abitazioni. Per non parlare del rischio
occupazionale che coinvolge i lavoratori del Nord, per i quali si prevede la
cassa integrazione per oltre 50 mila dipendenti, senza tener conto dei quasi 7
mila a rischio nel settore terziario per la sola Lombardia, e degli ingenti
danni nel settore agricolo e artigianale in cui il ricorso alla cassa
integrazione non è neppure previsto.
Sicuramente le precipitazioni che si sono abbattute con furia intensa la scorsa
settimana hanno di gran lunga superato gli standard stagionali, al punto che i
climatologi segnalano un aumento secco del 10% delle piogge su scala annuale.
Tuttavia l'eccezionalità registrata nelle scorse settimane, a ben
vedere, non rappresenta un fenomeno improvviso ed inaspettato, se è vero
che non è passato neanche un mese dal disastro accaduto in Calabria,
neppure un anno dalla frana della Campania, e soltanto sei anni dall'ultima
alluvione che ha messo in ginocchio il Piemonte e la Lombardia.
Si sa che quando non si sa cosa dire si parla del tempo, finendo come sempre a
ribadire che "le stagioni non sono più quelle di una volta, per non
parlare delle mezze stagioni, ormai scomparse". Tanta spicciola saggezza, trova
però il suo fondamento scientifico nelle continue e ripetute analisi che
i climatologi compiono a proposito dell'innalzamento della temperatura di un
paio di gradi sull'intero pianeta. Surriscaldamento imputato prevalentemente
all'effetto-serra che l'inquinamento atmosferico ha causato a seguito
dell'emissione costante e su scala planetaria di biossido di carbonio, anidride
carbonica ed altri combusti generati dal sistema economico-produttivo, e che le
ripetute Conferenze Mondiali sul clima -- le ultime a Rio e a Kioto -- hanno
invano consigliato ai Paesi più industrializzati di ridurre.
Purtroppo non sono state ridotte le sostanze inquinanti determinanti
l'effetto-serra, ma l'industrializzazione nei paesi poveri
(un'industrializzazione eco-dumping) ne ha aumentato ancor più i
valori limite; cosicché gli effetti anche alle medie latitudini -- dove
si trova geograficamente l'Italia -- non si sono fatti attendere: aumento della
siccità nei periodi estivi, precipitazioni torrenziali concentrate,
innalzamento generale della temperatura.
Che non faccia più freddo come una volta, che le giornate di nebbia
(quelle giornate in cui -- per dirla con Totò -- "quando c'è la
nebbia non si vede") si contano sulle dita di una mano, sono senz'altro il
sentire comune e semplice delle persone, ma sono anche il riflesso di un
radicale ed inesorabile cambiamento del clima che non ha nulla di
eccezionale, ma tutto di prevedibile.
Orbene, se dunque il tempo non è più quello di una volta
perché il progresso produttivo incentrato sull'industrializzazione lo ha
sostanzialmente modificato, non è certo il ritorno alla natura
(che ormai non c'è più) a dover ispirare chi gestisce e controlla
il territorio; ma allo stesso modo non è pensabile di agire sul
territorio senza minimamente tener conto del cambiamento, bensì
aggravandolo ancor più attraverso opere di disboscamento,
cementificazione ed abbandono dell'agricoltura. Altrimenti ciò che viene
definito brutto e cattivo tempo, altro non è che una
brutta e cattiva amministrazione politica dell'ambiente, al
punto da farci ricredere sul qualunquistico "piove, governo ladro".
J.E.
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