unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n35 del 5 novembre 2000

Fine della leva
No a tutti gli eserciti!

Non contiamoci palle: l'unico e conseguente antimilitarismo è quello che lotta per la scomparsa di tutti gli eserciti volontari o popolari che siano. È triste, infatti, disgustoso direi, vedere come il pacifismo nostrano cerchi di salvare in tutti i modi l'esercito popolare per non vedersi togliere le oltre 100.000 unità di lavoro gratuito ogni anno: gli obiettori di coscienza. Tra la profusione di cazzate immani che sono uscite dal mondo associazionistico e volontario di questi giorni ne ricorderei una, ovvero la presa di posizione comune di Legambiente, Associazione nazionale alpini, Acli e Compagnia delle Opere (CL): esse sostengono che "in questo paese il servizio militare ha rappresentato anche uno strumento di costruzione dell'identità nazionale" e quindi "si deve individuare un nuovo servizio obbligatorio per i ragazzi e le ragazze, magari ridotto nel tempo".

No comment.

Ma passiamo dall'altra parte, ovvero nel nuovo mondo dei mercenari di professione: la fine fittizia della leva obbligatoria (ché rimane in caso di guerra o di crisi di particolare rilevanza) e la conseguente riorganizzazione dell'esercito sono funzionali ai nuovi compiti di polizia internazionale a cui sono preposte oggi le forze armate di tutti i paesi aderenti al blocco occidentale: NATO, UE, OCSE. Si potrebbe affermare che se fino ad ora, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, il compito militare dell'Italia è stato quello di avamposto bellico nell'Europa sud-occidentale, senza mansioni operative, se non di destabilizzazione interna ed internazionale, dove le partite belliche, conseguenti alla divisione dei blocchi ed alle rispettive influenze geopolitiche, venivano giocate in altre zone (Sud America, Africa, Estremo Oriente), ad oggi le viene richiesta una funzione "imperialistica attiva", di pronto intervento a difesa innanzitutto delle fonti di approvvigionamento energetico (guerra nel Golfo e guerra nel Kosovo) necessarie alle produzioni capitalistiche avanzate e poi a controllare le zone di influenza geopolitica utili anch'esse ad assicurare le migliori condizioni di sfruttamento economico del sud del pianeta: garanti delle condizioni di libero mercato sono le varie "missioni umanitarie" capeggiate dall'ONU e gli strumenti operativi sono quegli organismi sovranazionali preposti a tal fine: FAO, UNESCO, FMI, BM, WTO ecc. Nella "premessa" alla "Nota aggiuntiva allo stato di previsione per la Difesa per l'anno 2001", l'attuale ministro della Difesa, l'onorevole Sergio Mattarella ci conferma che "...il contributo al mantenimento di condizioni di pace in Europa, nel Mediterraneo e nelle aree strategiche incidenti e la garanzia della libertà di esercizio delle attività economiche e di scambio del Paese sono scopi essenziali della nostra politica di sicurezza e di difesa". Ed è in questo nuovo panorama che la spesa complessiva per la difesa trova nuovo vigore e nuovi adepti: lo stanziamento totale, comprese le spese per l'Arma dei Carabinieri, ammonta per il 2001 a 34.234,8 miliardi di lire, che significa, rispetto all'anno precedente, una variazione del + 4,2% in termini monetari e del 2,5% in termini reali. Se poi a questi bei soldoni aggiungessimo le spese con cui l'Italia contribuisce a foraggiare i vari organismi internazionali per le innumerevoli "missioni di pace" che li vedono protagonisti si arriva sicuramente ad oltre 40.000 miliardi l'anno. L'Italia è attualmente impegnata nelle seguenti operazioni belliche (molte altre si sono concluse nel recentissimo passato):

Missioni multinazionali. MFO: missioni di controllo dello stretto di Tiran (Mar Rosso - SINAI). ECMM: missione CEE di osservatori nella ex-Jugoslvia. TIPH 2: missione di presenza internazionale temporanea nella città di Hebron, per contribuire al consolidamento del processo di pace e, udite, udite per infondere sicurezza nei cittadini palestinesi.

Missioni ONU. UNFIL: missione di controllo del ritiro delle truppe israeliane dal Libano. IPTF: missione d polizia internazionale con giurisdizione Bosnia-Herzegovina.

Missioni UEO. MAPE: missione di supporto alle Autorità di Polizia Palestinesi.

Missioni NATO. SFOR: presenza militare (compresi Carabinieri) per la stabilizzazione ed il consolidamento della pace in Bosnia-Herzegovina. KFOR: presenza militare per fornire assistenza umanitaria in Albania.

Missioni nazionali. MIATM: missione di addestramento delle forze amate Maltesi. DIE: missione di assistenza e cooperazione alle Forze Armate Albanesi. ALBANIA 2: sorveglianza nelle acque territoriali ed interne albanesi al fine di prevenire e contenere il fenomeno dell'immigrazione clandestina dall'Albania. ALBIT: missione di cooperazione con l'aeronautica Albanese per la ristrutturazione ella scuola di volo in Valona. VI.PE. Adriatico: vigilanza delle attività di pesca in Adriatico.

Credo che l'elenco sopra riportato in aggiunta alle guerre poc'anzi terminate ci chiariscano le ragioni della professionalizzazione accelerata dei loro strumenti di morte. Non da ultime, come potete evincere all'elenco nelle missioni nazionali, le funzioni di polizia interne, ciò che abbiamo definito come "guerra sicuritaria", che comprende tutte le forme di repressione e di controllo nei e dei confini nazionali.

Un ultimo dato che mi sembra opportuno fornire ed estrapolare dagli oltre 34.00 miliardi della finanziaria destinati alle spese belliche è quello inerente alle spese inerenti alle voci Ricerca e Sviluppo e Ammodernamento e Rinnovamento bellico: in questi settori si parla di investire una somma pari a 6.193,3 miliardi di cui 673,6 in ricerca e sviluppo, 5.119,8 in mezzi e materiali e 399,9 in infrastrutture. Il ministero della Difesa ci rammenta però che siamo ben al di sotto di ciò che servirebbe per ammodernare le forze armate ovvero non meno di 9.000 miliardi di lire.

Per chi volesse i dati al completo consiglio di fare una visitina al sito della Difesa: http://www.difesa.it e di scaricare la "Nota aggiuntiva ..." citata, in formato pdf.

Per concludere: è chiaro che non può e non deve interessarci il falso dilemma tra esercito popolare ed esercito volontario perché la questione in essere è l'esercito tout court. Lo sforzo invece che dobbiamo fare è quello di analizzare e di trovare le forme più conseguenti alla lotta antimilitarista che i tempi attuali impongono. A fianco di vecchie prassi se ne devono trovare delle nuove in grado di rispondere efficacemente a "guerre umanitarie" ,"missioni di pace", militarizzazione dei territori, parificazioni rambesche uomo-donna e così via, giacché quando cambia il senso delle parole comuni (guerra si trasforma nel suo opposto e viceversa) vuol dire che il Potere ha svolto un ottimo lavoro di lobotomizzzione collettiva: sta a noi smontarlo.

Pietro Stara



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