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Da "Umanità Nova" n35 del 5 novembre 2000

Umts. Una storia italiana

Tutti i commentatori finanziari del mondo si sono trovati concordi nel giudicare ridicola la gara italiana per i telefonini di terza generazione. Il Manifesto ha dimostrato ancora una volta di avere dei bravi titolisti, sintetizzando un pezzo con "I predatori dell'asta perduta". Il governo sperava di incassare almeno 50.000 miliardi e si è dovuto accontentare di 26.750. Viceversa le società che partecipavano alla gara temevano di doversi indebitare fino al collo, e si trovano in mano una licenza che durerà 15 anni a costi quasi irrisori. Vediamo cosa c'è dietro e perché quasi tutti, finito il breve spazio delle polemiche, finiranno per ritrovarsi contenti.

Innanzitutto, esaminiamo il business. Si tratta di gestire una nuova rete di telefonia mobile con una potenzialità molto maggiore nel volume e nella velocità di dati trasmessi. Il telefonino di nuova generazione supera le precedenti potenzialità dei protocolli GSM e WAP, permettendo di utilizzare il cellulare come un piccolo terminale internet, con annessa capacità di scaricare news, musica, video, immagini sportive e via fantasticando. La nuova tecnologia richiede un ingente volume di investimenti, che devono coprire sia l'acquisto vero e proprio della licenza (e di eventuali bande di frequenza aggiuntive), sia la costruzione delle infrastrutture (ripetitori, reti, centrali di smistamento del traffico). Le licenze concesse con questa gara saranno attive dal 1 gennaio 2002, ma la reale operatività prenderà avvio dopo il 2003. I primi ritorni economici effettivi potranno quindi verificarsi a partire dal 2004/2005. Difficilmente si raggiungerà il punto di pareggio prima del 2006/2007.

Era dunque fondamentale partire bene, cioè pagare poco il primo passaggio: le licenze Umts. Il governo aveva fantasticato di incassi molto alti, forte dell'esperienza inglese (dove la gara aveva fruttato a marzo 75.000 miliardi per cinque licenze) e tedesca (in agosto 100.000 miliardi per sei licenze). A conti fatti, un potenziale utente tedesco era stato valutato al prezzo di mercato di 630 euro, dunque era possibile che l'incasso italiano totale salisse almeno a 60-70.000 miliardi. Va considerato peraltro che la penetrazione dei cellulari in Germania è bassissima (appena l'11,5% della popolazione), mentre in Italia già oggi il 53% della popolazione è dotato di telefonino. Invece la gara si è chiusa con una valutazione di ogni utente italiano (potenziale) pari a 210 euro: un terzo appena di quella tedesca. Come è potuto avvenire un simile disastro?

Il primo elemento di cui tenere conto è il generale disincanto avvenuto nel frattempo su tutto ciò che riguarda le nuove tecnologie. A marzo un utente internet era arrivato a valere sul mercato 9.000 euro (18 milioni di lire). Adesso il multiplo utilizzato per valutare un utente internet è vicino ai 2.000 euro (meno di 4 milioni di lire). È evidente che il cambiamento di parametro si riflette anche sulle valutazioni riguardanti il potenziale di profitto ricavabile dalla gestione dei futuri utenti umts. La riduzione di interesse per le licenze umts riflette dunque il crollo della valutazione riguardante tutti gli Isn, gli internet service providers, a livello internazionale, a partire dalla statunitense Yahoo!, per arrivare alle europee Terra Networks, Wanadoo, Seat, Tiscali.

Tuttavia ci sono delle specificità tutte italiane che inscrivono la gara in un contesto molto meno trasparente e limpido. La storia parte infatti da lontano: la gara avrebbe dovuto svolgersi in primavera, ma la caduta del governo D'Alema ha finito per rinviare le modalità di svolgimento. A dire il vero, D'Alema intendeva utilizzare la licitazione privata e vendere le licenze a prezzi molto più bassi, si parlò di 2.500 miliardi per 5 licenze. Amato invece, reduce come Ministro del Tesoro dal collocamento piuttosto esoso del 35% di Enel a 34.000 miliardi, scelse l'asta per ottenere di più. Il meccanismo di gara prevedeva di avere almeno un concorrente in più delle licenze in palio ed un prezzo base di 4.000 miliardi a licenza da pagare cash: la parte riguardante i rilanci competitivi sarebbe stata pagata a rate. La gara sarebbe finita quando uno dei contendenti si fosse rifiutato di rilanciare per tre volte consecutive.

Dopo mesi e mesi di preparativi, la gara è finita in meno di 30 ore, fermandosi praticamente dopo il secondo giro di rilanci. Troppo presto per non pensare a comportamenti collusivi tra i contendenti, con il probabile avallo di qualche componente governativa. Vediamo come si sono svolti i fatti e chi ha vinto la partita.

A candidarsi per la gara dell'Umts erano stati otto operatori: i quattro titolari di licenza gsm (Tim, Omnitel, Wind e Blu) e quattro consorzi outsiders (Ipse, Andala, Tu Mobil e Anthill). Decaduta Anthill per non avere i presupposti tecnologici e Tu Mobil per non aver prestato la fidejussione nei termini, restavano in corsa, al 19 ottobre, sei contendenti per cinque licenze. Se uno dei contendenti si fosse ritirato, il governo avrebbe dovuto ridurre a 4 le licenze e rinunciare subito a 4.000 miliardi, prima ancora di partire. È probabile quindi che il governo (nella persona del Ministro delle Comunicazioni Salvatore Cardinale, ex-sindaco dc di Mussomeli, Sicilia, personaggio al di sotto di ogni sospetto) abbia esercitato pressioni per convincere a partecipare alla gara anche Blu, società in multiproprietà con gravi contrasti strategici tra i soci (32% Autostrade, 20% British Telecom, 9% Edizioni Holding dei Benetton, Mediaset, Italgas, Caltagirone, Bnl, ecc.). In particolare British Telecom faceva resistenza ad un impegno finanziario più ampio (che avrebbe aumentato i suoi debiti già assai elevati), mentre i soci italiani temevano di dover tirare fuori dei soldi, anziché cedere le quote agli inglesi con qualche bella plusvalenza. In sostanza il consorzio vedeva la partecipazione di numerosi soci italiani, alcuni amici del governo (Benetton, Abete, ecc. ), altri dell'opposizione (Berlusconi, Caltagirone, ecc.), con l'inevitabile conseguenza che era assai scomodo tagliarli fuori dall'affare, mentre si presentava l'opportunità di usarli per rendere comunque valida la gara per tutte e cinque le licenze e tenere il prezzo basso con il loro prevedibile ritiro.

Tra i contendenti non mancava infatti una buona fetta di amici del governo. Tim appartiene a Telecom, cioè ad Olivetti, cioè al gruppo Colaninno, l'imprenditore di riferimento del centro-sinistra subito dopo De Benedetti. Colaninno ha scalato Telecom un anno e mezzo fa con l'appoggio determinante di Bersani e di D'Alema, ha mantenuto l'italianità di Telecom, si appresta a comprare (tramite Seat) TMC e dopo magari anche la Rai privatizzanda, sottraendola in tempo al ritorno del Polo al governo e mettendola a disposizione dell'Ulivo-insieme-per-l'Italia. Olivetti ha contratto già abbastanza debiti con la scalata a Telecom, dunque è meglio che paghi poco la licenza e si tenga i soldi per operazioni "amiche" future.

Omnitel appartiene a Vodafone, tramite Mannesman, il gruppo che rilevò la telefonia di Olivetti da Colaninno, salvando De Benedetti dal disastro. I piaceri prima o poi si restituiscono.

Wind appartiene ad Enel (per il 57%), dunque a Franco Tatò, l'uomo scelto da Prodi e D'Alema per privatizzare, smembrare e diversificare il monopolio energetico italiano, valorizzandone gli assets sul mercato. Adesso New Wind si compra anche Infostrada (sganciando 22.000 miliardi), dunque è bene che non si indebiti più di tanto per l'Umts. Una licenza a buon prezzo, un sigaro ed un attestato di buona condotta non si nega a nessuno.

Ipse è un consorzio cui partecipa Acea (municipalizzata elettrica di Roma), di cui è presidente Fulvio Vento, ex-segretario Cgil del Lazio, famoso per aver indetto una festa dopo aver randellato a dovere i compagni in una delle tante manifestazioni del '92 (la stagione dei bulloni): un dirigente organico della sinistra. Insieme ad Acea ci sono la spagnola Telefonica, la finlandese Sonera e la Atlanet della Fiat-Ifil. Un gruppo di signori cui non si può dire di no.

Infine Andala è partecipata al 25% da Tiscali, l'azienda messa su dal sardo Renato Soru, vulcanico esponente della nuova economia intervenuto al convegno D.S. del Lingotto per dare la linea, politica e telefonica. Una licenza umts non si può certo negare ad un tipo così.

Così alla fine tutti sono stati serviti: il governo incassa 22.750 miliardi dalle licenze e 4.000 miliardi dalla fidejussione di Blu (con uno scarso fondamento giuridico e la quasi totale certezza che in sede giudiziaria debba restituire anche quella), gli operatori hanno ottenuto quello che volevano ad un prezzo molto conveniente, con la prospettiva di buoni utili, anche se non a breve. Blu potrebbe rientrare in partita con una ristrutturazione societaria ed un accordo con uno dei vincitori (sia Ipse che Andala potrebbero avere interesse ad allargare la compagine, condividendo i debiti e gli investimenti con nuovi soci).

Gli operatori consolidati non avranno difficoltà a ripartire i costi della nuova tecnologia sull'ampio parco clienti già acquisito per il gsm (20 milioni Tim, 13,4 milioni Omnitel, 4 milioni Wind). Passate le polemiche, il governo include nella finanziaria i miliardi acquisiti e si prepara a concludere le privatizzazioni ancora da fare già nel 2001 (Eni5, Enel2, Alitalia, Rai, Finmeccanica). Dopo le elezioni il governo (qualunque governo), scaricherà su pensioni e sanità una nuova ondata di tagli che compenseranno in modo più che proporzionale i mancati incassi dell'umts. Intanto imprenditori amici provvederanno a "razionalizzare" i settori privatizzati, come sta accadendo in Telecom. Il gruppo ha già annunciato di voler procedere a 1.000 nuove assunzioni, sorvolando elegantemente sul recente accordo sindacale che utilizza la c.i.g. e la mobilità lunga per far fuori 13.500 persone.

La tradizione non solo italiana di socializzare le perdite e privatizzare gli utili pare destinata a riprodursi anche nel nuovo secolo e millennio. Quando si tratta di ridurre il numero degli occupati, i rilanci non si esauriscono mai...

Renato Strumia



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