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Da "Umanità Nova" n.36 del 12 novembre 2000
Tra differenzialisti ed organicisti
Destra profonda
Il fascismo originario e le varie componenti che dalla
costituzione del Regime, passando attraverso la Repubblica Sociale per
confluire poi nei vari gruppi e gruppuscoli della destra neo-fascista del
dopoguerra rivendicano una caratterizzazione di tipo anticapitalistico, laddove
per fascismo, ma ancor più per nazionalsocialismo si intenda una "terza
posizione" che superi sia il capitalismo liberale o socialdemocratico sia il
comunismo. Questa componente antiborghese, presente nel fascismo storico e di
cui tuttora sono eredi organizzazioni tra loro diversificate come Forza Nuova,
il Fronte Nazionale, il Movimento Sociale - FT, Lega Nord ecc., insomma tutte
le forze che si richiamano alla destra nazionalpopolare (in passato si fregiava
di essere nazional-rivoluzionaria), la conduce inevitabilmente ad essere contro
quella che comunemente viene definita come globalizzazione. Potremmo affermare,
quindi, che non vi è niente di nuovo sotto il cielo, che dietro queste
prese di posizione anti-sistema in fondo non vi è null'altro se non un
becero nazionalismo condito da retoriche scioviniste ed autoritarie classiche
del repertorio fascista di queste organizzazioni. Niente di più vero, ma
se non ci accontentiamo di rimanere in superficie ci accorgiamo che alcuni
degli "strumenti" di analisi utilizzati dai fascisti nostrani ed internazionali
li hanno "consegnati" (a partire dagli anni '60) componenti rilevanti di
movimenti sociali e politici caratterizzati fortemente a sinistra: movimenti
ecologisti, giovanili, pacifisti, femministe e così via.
Al centro delle analisi e delle proposte di alcune delle componenti
movimentiste sopracitate risiedevano e ad oggi pericolosamente dimorano due
quadri di riferimento teorico applicabili a differenti argomentazioni (di
genere, di natura, di etnia ecc.): il differenzialismo e l'organicismo. Con il
primo termine si intendono tutte quelle pratiche teoriche e politiche che
rimandano all'esaltazione acritica delle differenze come condizione necessaria
del progresso sociale dell'umanità. Con il secondo termine si intende
una visione del mondo e della società che afferisce alla struttura del
corpo umano e che pertanto non contempla né conflittualità
presenti nello stesso organismo né la possibilità di introdurre
corpi estranei: questa visione è maggiormente afferente ad alcune
pratiche di quella che va sotto il nome di ecologia "profonda".
Veniamo al differenzialismo: se è vero che le differenze (razza, etnia,
religione, lingua...) sono di per sé un valore è altrettanto vero
che esse debbano essere difese, anche quando queste siano inaccettabili. Uno
dei migliori modi perché esse vengano salvaguardate è
indubbiamente il fatto che non vengano a contatto tra loro, giacché in
quello stesso momento potrebbero essere contaminate e quindi inquinate.
Coerentemente con questa teoria non esisterebbero diritti ascrivibili al genere
umano, né tantomeno rivendicazioni internazionaliste e di classe, ma
soltanto quelle norme che ogni costruzione storica (vista in modo stabile) ha
consegnato ad un popolo: pratiche come l'infibulazione o il regime talebano
vengono, infatti, difesi nel nome della non ingerenza occidentale. Viceversa si
chiede agli extraoccidentali di non entrare nelle "nostre comunità"
modificando così le strutture secolari (cristiane ed umanistiche) che
hanno fondato l'Europa per oltre 3000 anni. In ultimo, ne deriva che
l'immigrazione straniera è esclusivamente una minaccia
all'identità politico - culturale (Lega Nord, cardinale Biffi...)
dell'Italia e dell'Europa in genere. Nessuna componente della destra radicale e
moderata parlerà oggi di superiorità razziale in maniera
esplicita, ma tutte faranno riferimento all'inconciliabilità delle
diverse etnie. Due slogan che riassumono bene questa visione differenziale
sono:
L'Europa agli Europei, l'Africa agli Africani.
Aiutiamoli, ma a casa loro.
Un mondo di mille colori sì, purché ogni colore sia ben separato
dagli altri.
Per quanto attiene alla visione organica della società tre sono le
conseguenze immediate di tale rappresentazione a priori:
la soppressione o esclusione (carcere, manicomi...) dell'elemento debole come
entità malata all'interno di un corpo sano, rimandando così ad
una visione biologica (darwiniana) e non sociale delle discriminazioni interne
ad una società;
l'espulsione del conflitto tra parti dello stesso corpo (classi), poiché
si danneggerebbe il corpo stesso (il fascismo non a caso rimanda ad una
conciliazione di classe attraverso la costituzione della camera delle
corporazioni di mestieri);
la difesa da elementi esterni (immigrazione, nazioni, idee...) che potrebbero
nuocere all'unitarietà dell'organismo sociale.
Una espressione politica di questa idea organistica della società
è ben incarnata dagli ultimi epigoni della Nuova Destra politica e
culturale, ovvero i comunitaristi: costoro si fanno forti di una visione
sociale che pensa nella costituzione di piccole comunità umane omogenee,
dal punto di vista razziale, religioso e in genere valoriale una difesa contro
la mondializzazione liberale disumanizzante e decodificante. I maggiori
rappresentanti di questa componente politica sono i comunitaristi americani,
ovvero l'estrema destra religiosa e politica, solitamente armata, che difende
le ragioni della supremazia anglosassone in territorio americano e i valori
cristiani (non papisti) dell'origine pionieristica dei primi coloni. In Europa
ed in Italia esistono componenti non irrilevanti del comunitarismo oltremanica
che fregiandosi di appellativi anarchici e libertari, rifacendosi a visioni
religioso-pagane del mondo e recuperando tradizioni ecologiche fondamentaliste
arrivano ad affermare, ad esempio, che epidemie, malattie e virus in genere
sono elementi naturali con cui la terra si difende e seleziona le specie atte
alla sopravvivenza.
Allora diviene prioritario, quando si discute ciò che si fa e come lo si
fa, parlare delle categorie di analisi che utilizziamo non solo e non tanto per
non essere confusi con elementi ripugnanti, ma per cercare di ricostruire una
prassi antagonista e rivoluzionaria che non cada nei vecchi errori
novecenteschi, ma che non vada neppure a rimorchio di nuovi espedienti teorici
che prestano il fianco ai fascismi rinnovati del terzo millennio.
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