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Da "Umanità Nova" n.37 del 19 novembre 2000
Un mare di bombe
Adriatico: ripescato ordigno nella Jettison Area
Il primo allarme è arrivato via radio alla Capitaneria di Porto di
Chioggia attorno alle 13 del 30 ottobre: il peschereccio "Mare
Primo" della marineria chioggiotta aveva tirato su un grossa bomba aerea
con la rete a strascico, a circa 30 miglia dal porto di Chioggia e solo 23 da
Punta Maistra. L'ordigno che, secondo la testimonianza dell'equipaggio e del
comandante, era lungo 170-190 cm. e con un diametro di circa 80 cm., è
immediatamente apparso come una delle tante bombe rilasciate nel mare Adriatico
dagli aerei NATO durante la guerra contro la Serbia: inequivocabile l'ottimo
stato di conservazione, con la vernice verde ancora lucida, e le scritte in
inglese.
Il giorno dopo, un dragamine della Marina Militare ha provveduto ad individuare
il punto dove la bomba era stata segnalata e quindi l'ha fatta esplodere.
Ovviamente, da parte delle cosiddette autorità militari nessuna
informazione riguardo le caratteristiche della bomba né sul tipo (Mk?)
di carico esplosivo: tritolo, fosforo bianco, uranio impoverito?
Di certo questo ennesimo ritrovamento conferma quello che tutti i pescatori
sanno ormai da tempo: le bombe della Nato ancora sul fondo sabbioso dell'alto
Adriatico sono innumerevoli, anche sotto costa; inoltre le famose operazioni di
bonifica compiute dalla Marina Militare Italiana (per le quali nel `99 era
stato solennemente assegnato a questa il premio "Barbotin d'oro"
per la salvaguardia del mare) sono state un intervento più spettacolare
che altro, senza efficacia tecnica e senza alcun controllo civile; infine, le
cosiddette "jettison areas" indicate dalla NATO come le zone di
mare in cui i bombardieri hanno scaricato le proprie bombe non sganciate si
sono rivelate come l'ennesima menzogna di Stato.
Troppe volte infatti, da quel tragico 10 maggio `99, quando in piena guerra del
Kossovo tre pescatori del motopeschereccio "Profeta" rimasero
feriti - di cui uno, Gino Ballarin, in modo grave e con lesioni permanenti -
dall'esplosione di una piccola BLU 97, ossia di una delle 202 bomblet contenute
in ogni "Cluster bomb", la verità è rimasta sepolta
dai top secret.
Basti ricordare i primi affannosi tentativi di depistaggio compiuti dopo
l'incidente, miranti ad accreditare la tesi del residuato bellico della Seconda
Guerra Mondiale, inizialmente avallati anche dal magistrato incaricato
dell'indagine - il PM Matteo Stuccilli - sulla mancata strage, mandati a picco
solo grazie all'iniziativa, ai limiti della temerarietà, di altri
pescherecci che di proposito andarono a pescare centinaia di bombe, avvertendo
gli organi d'informazione prima che i militari.
Per mesi quindi si sono susseguite le notizie di nuovi ritrovamenti nelle reti
dei pescatori di Chioggia e Caorle, ma anche in numerose altre località
adriatiche (Porto S. Giorgio, Pescara, Termoli, Lesina, Rodi Garganico,
Calenella, Margherita di Savoia, Molfetta, Bari, Brindisi, Cerano, Castro
Marina, Gallipoli... come riferito su "Liberazione" del
10.2.2000), senza dimenticare le bombe ancora giacenti sul fondo del Lago di
Garda, mentre le autorità militari italiani, il ministero della Difesa e
il Comando Nato da Bruxelles hanno continuato a "dare i numeri"
riguardo il numero effettivo delle bombe sganciate in mare e di quelle
recuperate e fatte brillare: numeri imprecisi, contraddittori e sovente
smentiti da altri dati ufficiali, finché nell'ottobre `99
dall'Aereonautica Militare viene posto il "segreto di Stato"
sulla documentazione relativa richiesta dalla magistratura, segreto che il
governo D'Alema si era impegnato a rimuovere in tempi brevi, ossia lo stesso
governo che aveva candidamente dichiarato di essere all'oscuro di tutto, quando
invece anche i piloti dei caccia-bombardieri italiani erano soliti sganciare
nell'Adriatico le bombe non utilizzate prima di atterrare, come confermato dal
portavoce militare della NATO, Walter Jertz, secondo il quale le
autorità italiane erano "perfettamente informate".
Sovente, a rendere difficile il diritto all'informazione, si sono pure aggiunti
alcuni infortuni giornalistici che hanno confuso le sunnominate
"bomblet" e i rispettivi contenitori "Cluster",
come accaduto quando (ahinoi) su Il Manifesto dello scorso 24 febbraio venne
scritto che il peschereccio "El Moro" aveva pescato in un colpo
solo "10mila bombe a frammentazione" (sic).
Ufficialmente, dallo scorso febbraio, quando era stato
"catturato" un grappolo di alcune decine di bomblet, non si era
avuta più notizia di altri ritrovamenti, se si eccettuano alcune
segnalazioni a metà dello scorso giugno al largo di Caorle ad opera del
peschereccio chioggiotto "Marco M." ("La Nuova
Venezia" del 17.6.2000); ma purtroppo dietro all'apparente silenzio vi
è una realtà inquietante che ormai è il segreto di...
Arlecchino: a fronte del danno economico e dei fantomatici rimborsi governativi
per i periodi di "fermo pesca", molti equipaggi di pescherecci
hanno ormai l'ordine di ributtare in mare le bombe che
"normalmente" continuano a ritrovare nelle loro reti, e
così ancora una volta la logica del profitto e la sua supina
accettazione da parte dei lavoratori stanno producendo, assieme alle evidenti
complicità istituzionali, un nuovo crimine contro l'ambiente e la salute
collettiva.
A cura del Centro di Documentazione Chioggia (VE)
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